Il grande equivoco della spending review
È cosa voglia dire "tagliare" le spese: perché spesso quello che si fa è solo dar loro un nome diverso
Lunedì, nella sua newsletter, il segretario del PD Matteo Renzi ha scritto: «Dai tempo al tempo e si scopre che la revisione della spesa in tre anni ha prodotto quasi 30 miliardi di euro di risparmio: altro che spending review inutile». Negli stessi minuti, la pagina Facebook Matteo Renzi News riprendeva la stessa notizia, scrivendo che tra il 2014 e il 2017, grazie alla “lotta agli sprechi”, erano stati recuperati “30 miliardi di euro”.
Si tratta in realtà di un equivoco sul significato del termine “risparmi”. Come ha scritto il deputato PD e commissario alla spending review Yoram Gutgeld nella relazione ufficiale sulla revisione della spesa presentata lunedì: «È doveroso sottolineare che lo spazio di bilancio creato attraverso l’eliminazione e la riduzione di specifici capitoli di spesa non corrisponde automaticamente ad una pari riduzione della spesa pubblica complessiva». In altre parole, i 30 miliardi non sono stati “tagliati”, ma sono stati spostati da una voce di bilancio all’altra: sono stati “risparmiati” da una parte e spesi da un’altra.
Questo equivoco si era già verificato un anno fa, quando Renzi, all’epoca presidente del Consiglio, disse che nei primi anni del suo governo erano stati tagliati 25 miliardi di euro di spese. All’epoca, la studiosa di economia Veronica de Romanis era stata la prima ad accorgersi che i documenti ufficiali del governo erano molto più prudenti delle dichiarazioni di Renzi. Si citava una “revisione” della spesa e veniva specificato che «questi interventi non sono semplicemente “tagli”». Anche all’epoca, infatti, la spesa non era stata tagliata, ma soltanto spostata da un capitolo di bilancio all’altro. Tra il 2014 e il 2016, la spesa pubblica è rimasta stabile passando da 830,1 miliardi di euro nel 2014 a 829 miliardi di euro nel 2016. Secondo gli ultimi documenti di finanza pubblica, la spesa rimarrà più o meno stabile anche nel 2017, arrivando a 826,9 miliardi di euro.
Tagliare la spesa pubblica non è necessariamente meglio che spostarla da una parte all’altra del bilancio. Ma, come nel 2016, anche quest’anno non è semplice capire da dove provengano esattamente i 30 miliardi e dove siano andati a finire. Ad esempio, nella relazione di Gutgeld viene citata la riduzione dei dipendenti pubblici grazie al blocco del cosiddetto “turn over”, ossia la sostituzione automatica dei dipendenti che vanno in pensione, la centralizzazione di alcuni acquisti della pubblica amministrazione e l’adozione di costi standard in campo sanitario. Non viene però specificato quanti risparmi abbiano prodotto queste misure. Nella relazione non vengono citate, ma dalle analisi della Corte dei Conti e della Ragioneria dello stato risulta che una parte significativa dei risparmi derivi da tagli ai trasferimenti agli enti locali e tagli lineari ai ministeri.
Circa metà del totale dei risparmi, inoltre, sembra provenire da un’operazione contabile piuttosto criticabile. Secondo Gutgled, circa metà dei risultati della spending review proviene dal bonus 80 euro (tabella a pagina 9). Come fa il bonus da 80 euro ad essere una riduzione di spesa? Gutgeld, in questo caso, considera gli 80 euro una riduzione della pressione fiscale: se sono uno “sconto” sulle tasse, però, non sono più una vera spesa (sono uno sconto, appunto) e devono essere “tolti” dal totale della spesa pubblica che quindi diminuisce di circa una dozzina di miliardi di euro l’anno. Facciamo un esempio: ipotizziamo che la spesa pubblica in Italia sia 100 miliardi e che il governo decida di cambiare la classificazione contabile di 10 di quei miliardi da “spesa pubblica” a “sconto fiscale”. Il risultato è una riduzione della spesa pubblica, che, formalmente, cala a 90 miliardi. Si tratta però di un escamotage contabile visto che a quei 90 miliardi andrebbero aggiunti i 10 miliardi che sono stati dati in forma di sconto fiscale: il risultato alla fine è che comunque lo stato “spende” 100.
Non solo: nella tabella successiva (pagina 10), in cui viene spiegato come sono stati utilizzati i risparmi, gli 80 euro compaiono altre due volte. Sono indicati contemporaneamente come un abbassamento delle imposte e come una prestazione sociale, cioè come maggior spesa dal governo. In sostanza, secondo le slide del governo, gli 80 euro sono contemporaneamente: un taglio della spesa, una riduzione delle imposte e una prestazione sociale che comporta maggiore spesa pubblica.
Riassumendo: La spending review non ha prodotto tagli significativi, ma secondo la relazione di Gutgeld ha “mosso” da una parte all’altra circa 30 miliardi di euro negli ultimi anni. Da dove siano stati presi e dove siano finiti non risulta sempre chiarissimo. Circa una metà di questi spostamenti, però, sembra provenire da un’operazione contabile che riguarda il modo in cui vengono classificati gli 80 euro.