Cosa fa Richard Ford quando lo stroncano
Sputa in faccia ai recensori o spara ai loro libri: è tornato a parlarne con l’uscita del suo nuovo memoir
Il modo migliore per rispondere alle critiche è ignorarle e minimizzarle facendo finta che non ti tocchino. Il modo peggiore è rispondere offesi e indignati e ancora peggio ritirarle fuori 15 anni dopo, come ha fatto la scorsa settimana lo scrittore americano Richard Ford, conosciuto per i racconti brevi e i grandi-romanzi-americani che descrivono la desolazione della classe media. Ford ha rivangato in un pezzo sulla rivista Esquire, intitolato “A Novelist Takes on His Critics“, la stroncatura che ricevette nel 2002 dallo scrittore afroamericano Colson Whitehead sul New York Times. Whitehead – che ha 47 anni e quest’anno ha vinto il premio Pulitzer per la narrativa con il suo romanzo The Underground Railroad, tradotto in Italia da Sur con il titolo La ferrovia sotterranea – aveva commentato non troppo favorevolmente la raccolta di racconti brevi A Multitude of Sins, dicendo che i personaggi erano tutti uguali: maschi bianchi di classe medio-alta, senza amici, alle prese con il tradimento: «Quasi ogni storia ha a che fare con l’adulterio, in una di queste due fasi: gli ultimi giorni infernali di una scappatella, o i giorni successivi alla scappatella. Se fossi un epidemiologo, direi che una sorta di epidemia spirituale ha colpito un pezzo della nostra società, i maschi bianchi della classe media, e ha iniziato ad affliggere anche quelli della classe medio-alta».
Ford sul momento non rispose nulla ma quando, due anni dopo, incontrò Whitehead a una festa gli si avvicinò dicendo cose come «sei soltanto un ragazzino, vedi di crescere» e «ho aspettato due anni per questo! Tu hai sputato sul mio libro!» e gli sputò in faccia. Whitehead commentò con una certa compostezza dicendo «Consiglio a tutti gli altri che hanno stroncato il libro di prendersi un k-way, nel caso di un Ford inclemente».
Colson Whitehead a Colonia nel 2014 (Rolf Vennenbernd/picture-alliance/dpa/AP Images)
Non era comunque la prima volta che Ford andava in escandescenze davanti a una critica. Il Guardian ricorda che dopo una recensione poco entusiasta della scrittrice Alice Hoffman, Ford prese un suo libro, lo portò in giardino e gli sparò contro; poi lo spedì a Hoffman. Scrive anche che nel 1976 lo scrittore Larry McMurtry aveva fatto a pezzi – metaforicamente, lui – il suo primo romanzo: Ford alcuni anni dopo insistette comunque «a spiegargli i miei sentimenti su quella recensione», che McMurtry non ricordava nemmeno di avere scritto.
L’incidente con Whitehead finì lì e sarebbe stato dimenticato se Ford, che ha 73 anni, non ci fosse ritornato su Esquire, dove ha difeso il suo comportamento scrivendo che «ancora oggi, non penso niente di diverso sul signor Whitehead, la sua recensione e la sua risposta». Questa volta più di uno scrittore è intervenuto a difesa di Whitehead e qualcuno ha anche sostenuto che la disputa letteraria fosse prima di tutto un episodio di razzismo. Il giamaicano Marlon James, vincitore del Booker Prize con A Brief History of Seven Killings, (Breve storia di sette omicidi, pubblicato da Frassinelli) ha scritto su Facebook: «Dice di non essersi pentito di aver sputato in faccia a Colson Whitehead. Ehi, voi siete davvero scrittori più civili di me perché quello stronzo avrebbe avuto un necrologio, se fosse stato per me. Pensa un po’ spiegare a mia mamma che ho permesso a qualcuno di sputare in faccia al suo tesoro. Non oggi, dio santo». La saggista Rebecca Solnit è convinta che non si tratti di «una lite. È solo un bianco strambo che ha sputato su un uomo nero, come facevano i razzisti bianchi alle contromanifestazioni. Se Whitehead gli avesse spaccato la mandibola lo avrei perdonato, ma non penso gli sarebbe andata bene con la polizia e i tribunali».
Marlon James premiato col Booker Prize a Londra, nel 2015 (Eamonn M. McCormack/Getty Images)
Ford non è estraneo alle accuse di razzismo: in quanto bianco del Mississippi ha detto lui stesso più volte di essersi dovuto ripulire da secoli di pregiudizi razzisti. Nel 1999 raccontando di un’escursione fatta con un altro scrittore lungo il Mississippi sulle orme di Huckleberry Finn, il personaggio di Mark Twain, accennò ad alcune lettere scritte nei primi anni Ottanta in cui usava «insulti razzisti». Una volta parlando di sé in una sorta di auto-denuncia disse che «da ragazzino ero certamente un po’ razzista, se non decisamente un razzista convinto». Ha toni simili anche la risposta che diede nel 2001 alla Kenyon Review che gli chiese quale fosse il rapporto coi suoi personaggi: «Padrone di schiavi. A volte li sento di notte mentre cantane nelle loro capanne».
Bisogna vedere quanto le accuse di razzismo e il brutto caratteraccio danneggeranno Ford, che è considerato uno dei migliori scrittori contemporanei, conosciuto soprattutto per i grandi romanzi: Sportswriter (The Sportswriter, 1986), e i suoi sequel, Il giorno dell’Indipendenza (Independence Day, 1995) e Lo stato delle cose (The Lay of the Land, 2006). Sportswriter fa parte dell’elenco di Time sui 100 migliori romanzi scritti in lingua inglese dal 1923 a 2005; con Independence Day Ford ha vinto il premio Pulitzer e il premio PEN/Faulkner per la narrativa, diventando il primo scrittore a ottenerli entrambi. A maggio è uscito il suo ultimo libro Between Them, che racconta la storia dei suoi genitori, e che in Italia sarà pubblicato da Feltrinelli con il titolo Tra di loro.