Gli Stati Uniti e la Russia rischiano davvero di farsi la guerra in Siria?
Se ne è parlato dopo le tensioni degli ultimi giorni: il rischio esiste, ma ci sono anche buone ragioni per credere il contrario
di Elena Zacchetti – @elenazacchetti
Da ieri si parla con insistenza del rischio di uno scontro armato tra Stati Uniti e Russia in Siria. La tensione tra i due paesi è aumentata molto dopo l’abbattimento di un aereo del regime siriano di Bashar al Assad, alleato dei russi, da parte degli americani. Il governo statunitense ha giustificato la sua azione – la prima di questo tipo dall’inizio della guerra in Siria – parlando di legittima difesa: ha sostenuto che gli aerei di Assad stessero bombardando le Forze Democratiche Siriane (SDF), una coalizione di arabi e curdi alleata degli Stati Uniti nella guerra contro lo Stato Islamico (o ISIS).
Nelle ore successive all’abbattimento, la situazione è peggiorata rapidamente. Il governo russo ha annunciato di voler sospendere la sua linea diretta di comunicazione con gli statunitensi sulla Siria, quella che permette di coordinare le attività degli aerei militari ed evitare collisioni nello spazio aereo siriano. Poi il ministro della Difesa russo, Sergey Shoygu, ha detto che la Russia avrebbe cominciato a trattare gli aerei della coalizione anti-ISIS che volano a ovest del fiume Eufrate come potenziali obiettivi militari. In pratica, ha scritto Reuters, Shoygu si è fermato a poca distanza dal dire che la Russia abbatterà gli aerei americani in Siria.
Non è la prima volta che in Siria si creano tensioni tra Stati Uniti e Russia, impegnati su fronti diversi: gli americani contro lo Stato Islamico, i russi per garantire il successo di Assad (anche la coalizione di Assad si è scontrata con lo Stato Islamico, ma finora in misura notevolmente minore). Raramente però in passato si era raggiunto questo livello di animosità. Ma quindi, c’è davvero il rischio che Stati Uniti e Russia si facciano la guerra in Siria?
La situazione nel nord della Siria. Il grigio è lo Stato Islamico e in mezzo alla mappa c’è Raqqa, circondata su tre lati dalle Forze Democratiche Siriane (SDF). A ovest di Raqqa, attorno al lago Assad, si toccano in diversi punti le SDF e le forze alleate di Bashar al Assad, in rosso. È in questa zona che gli Stati Uniti hanno abbattuto l’aereo siriano, che si pensa stesse bombardando proprio le SDF (Liveumap)
La premessa necessaria è che a questa domanda non c’è una risposta certa: non esiste un livello predefinito di tensione oltre il quale scatta automaticamente una guerra tra due paesi. Il fatto che si arrivi a uno scontro armato dipende da moltissimi fattori diversi e nessuno è in grado di prevedere ciò che succederà da qui a sei mesi. Qualcosa però si può mettere in fila, per capire meglio quali siano i rischi della crisi iniziata domenica.
Il primo rischio da considerare è legato a quello che decideranno di fare gli alleati di Stati Uniti e Russia, che hanno mostrato in diverse occasioni di essere poco controllabili. Al momento la situazione più complicata è probabilmente quella dei russi, che devono tenere a bada, diciamo così, sia Assad che l’Iran. Secondo alcuni analisti, gli attacchi aerei di domenica compiuti dal regime di Assad contro le SDF hanno mostrato la volontà del governo siriano di confrontarsi sempre più direttamente con le forze della coalizione guidata dagli Stati Uniti. Nicholas Heras, analista del Center for a New American Security, ha detto al Washington Post: «Il jolly in questa situazione è la logica di un regime di Assad che ha deciso che non vuole più essere confinato in un piccolo stato della Siria occidentale», quindi che vuole spingersi sempre più a est, territorio conteso anche dagli alleati degli americani. L’Iran ha mostrato di voler stabilire la propria influenza nell’est della Siria, al confine con l’Iraq, come sembra avere dimostrato il lancio dei missili contro le posizioni dello Stato Islamico a Deir Ezzor (l’avevamo spiegato qui) e il sempre maggiore coinvolgimento delle milizie sciite nella guerra.
La coalizione di Assad, in un’infografica del Syria Institute rifatta dal Post
Un discorso simile si potrebbe fare per le SDF, che dopo i bombardamenti subiti domenica hanno annunciato che in futuro risponderanno a qualsiasi attacco contro di loro. La domanda è: cosa farà la Russia se l’esercito di Assad e le milizie sciite decideranno di attaccare gli alleati degli Stati Uniti in Siria? E, ancora, cosa faranno gli Stati Uniti se le SDF ingaggeranno degli scontri armati con le forze alleate di Assad? Entrambi i paesi si troverebbero a equilibrare due necessità diverse: proteggere i loro alleati da una parte, ed evitare l’inizio di una guerra più ampia dall’altra.
Un altro rischio legato alla situazione di tensione che si è creata dipende dalla mancanza di una precisa strategia americana in Siria. Potrebbe sembrare un problema da poco, ma non lo è. Sia l’amministrazione di Obama che quella di Trump si sono concentrate esclusivamente sulla sconfitta dello Stato Islamico, ma non si sono preoccupate troppo di quello che succederà dopo. Ora che lo Stato Islamico sta subendo una sconfitta dietro l’altra, sia in Iraq che in Siria, il tema del dopo sta cominciando a diventare urgente e le forze sul terreno – sia quelle appoggiate dagli Stati Uniti che quelle appoggiate dalla Russia – hanno cominciato a competere tra loro per ottenere il più possibile. L’abbattimento dell’aereo siriano, hanno sostenuto diversi analisti e funzionari del governo statunitense, non ha fatto parte di una precisa strategia sviluppata dall’amministrazione per limitare le ambizioni di Assad: è stato piuttosto il risultato di una decisione tattica, quindi presa dai militari in Siria. Quasi improvvisata, insomma. Non c’è un piano americano di lungo periodo, mentre c’è grande confusione sul cosa fare quando il problema è Assad, o le milizie sciite che lo appoggiano.
Il fatto che esistano questi rischi, che vanno aggiunti alla generale inimicizia che si è sviluppata tra Stati Uniti e Russia negli ultimi anni, non significa che americani e russi cominceranno a combattersi in Siria. Ci sono molte ragioni per pensare che non avverrà.
Anzitutto le minacce della Russia vanno prese con prudenza. Il governo russo aveva già minacciato di interrompere le linee di comunicazione con gli Stati Uniti ad aprile, dopo la ritorsione americana per l’attacco chimico compiuto dal regime di Assad nella provincia siriana di Idlib. Poi però, piano piano, la crisi era rientrata e americani e russi avevano ripreso e ampliato le loro comunicazioni. All’interno del governo russo, inoltre, ci sono segnali che la linea dura per ora non sia del tutto condivisa. Lunedì il ministro degli Esteri russi, Sergei Lavrov, ha ignorato le dichiarazioni bellicose del ministro della Difesa e ha chiesto che gli Stati Uniti e tutti gli altri paesi coinvolti nella guerra in Siria “coordinino le loro azioni”. Un discorso simile è stato fatto da Sean Spicer, portavoce della Casa Bianca, che ha detto: «L’escalation di ostilità tra le molte fazioni che operano nella regione non aiuta nessuno». Insomma: non sembra che ci sia la volontà del governo americano e di quello russo di peggiorare la crisi.
L’impressione di diversi analisti è che se dovesse verificarsi uno scontro tra Stati Uniti e Russia non sarà per volontà dei due governi, ma sarà il risultato di deficienze strategiche e della confusione della guerra siriana, con alleanze e inimicizie che cambiano e si sovrappongono. E comunque, almeno per ora, sembra che americani e russi vogliano evitare di andare troppo oltre, fino a un punto dal quale poi sarebbe difficile tornare indietro.