«Smettete di fare finta di non essere ricchi»
Un editoriale pubblicato sul New York Times addossa le colpe delle diseguaglianze economiche statunitensi alla classe medio-alta e progressista (cioè sui lettori del New York Times)
Una teoria sociologica ed economica che si è diffusa soprattutto negli ultimi anni è che la società degli Stati Uniti sia molto più rigida e classista di quanto il mito del “paese delle opportunità” voglia far credere. Non è un problema che riguarda solo i più ricchi dei ricchi, il famoso un per cento della popolazione che si trova in cima alla piramide dei redditi, ha spiegato Richard V. Reeves in un articolo pubblicato sul New York Times e intitolato “Smettete di far finta di non essere ricchi”: è una questione che riguarda almeno il 20 per cento più ricco della popolazione, una fascia che appartiene alla classe medio-alta, che guadagna stipendi a sei cifre, ma che spesso non ha nessuna coscienza di essere un gruppo privilegiato.
Reeves è un ricercatore del Brookings Institute, un centro di ricerca americano, ed è specializzato nei temi della mobilità sociale. È nato nel Regno Unito, una società dove, ha raccontato, la divisione tra classi sociali è ancora molto sentita. Reeves, ad esempio, racconta che quando lui e suo fratello erano piccoli, la madre li minacciava di mandarli a scuola di dizione se non avessero perso l’accento rustico che, secondo lei, avrebbe rischiato di danneggiare la loro ascesa sociale. Reeves racconta di aver sempre ritenuto “deprimente” il classismo della società inglese, che è stata una delle ragioni che lo hanno spinto a trasferirsi negli Stati Uniti, dove ha cresciuto i suoi figli.
Nella società americana i confini tra classi sociali differenti sono apparentemente meno marcati. Non c’è un accento “giusto”, necessario per avere successo. Ma, come Reeves scrive di aver scoperto «con orrore», la società americana «è molto più calcificata di quanto immaginassi, specialmente nella sua parte più ricca», cioè la classe medio-alta, che nella sua definizione è composta da coloro che guadagnano più di 200mila dollari l’anno, circa 180mila euro.
È tra le persone che compongono questo gruppo che emergono le principali differenze tra Stati Uniti e Regno Unito, scrive Reeves: «la maggior parte delle persone che negli Stati Uniti si trova sul gradino più alto della scala sociale non si rende conto di essere privilegiata. Il mito della meritocrazia americana permette loro di attribuire la propria posizione sociale alle proprie doti e al proprio zelo, piuttosto che alla fortuna o a un sistema che favorisce chi è già ricco. I ricchi inglesi, almeno, hanno la decenza di sentirsi in colpa».
Reeves fa alcuni esempi pratici di questa situazione. Ad esempio, nel Regno Unito è complicato per un politico mandare i propri figli in una costosa scuola privata: verrebbe attaccato dai suoi avversari per non averli mandati alla scuola pubblica e per aver approfittato dei suoi privilegi. Negli Stati Uniti, invece, scrive Reeves: «Anche alcuni dei miei amici più progressisti mandano i figli in licei che costano 30 mila dollari l’anno. Non è sorprendente che lo facciano, ma che lo facciano senza nemmeno un mormorio di inquietudine morale».
Secondo Reeves: «La retorica del “Siamo il 99 per cento” [uno slogan utilizzato in molte proteste contro le diseguaglianze economiche] è in realtà piuttosto pericoloso, poiché permette a persone che hanno stipendi a sei cifre di convincersi di essere sulla stessa barca dei normali cittadini americani e che le uniche colpe siano quelle dei super-ricchi». E invece, secondo Reeves, la classe medio-alta nel suo complesso ha altrettante responsabilità e mette in atto altrettante pratiche anti-meritocratiche per assicurarsi che i propri privilegi vengano tramandati per via ereditaria.
Reeves elenca una serie di esempi. Gli Stati Uniti sono per esempio l’unico paese avanzato in cui entrare in un’università prestigiosa è più facile se quell’università è già stata frequentata da uno dei propri parenti, un privilegio che nel Regno Unito è stato abolito a metà del secolo scorso. La classe medio-alta americana vive in comunità spesso separate dal resto della popolazione, e questo a sua volta porta alla perpetuazione delle divisioni attraverso il sistema scolastico: le scuole di solito sono frequentate dai figli delle famiglie che abitano nelle zone circostanti, così le scuole migliori finiscono con l’essere quelle delle zone abitate dai più ricchi. Gli Stati Uniti favoriscono indirettamente questa separazione, visto che sono poi uno dei pochi paesi sviluppati a permettere di dedurre dalle tasse gli interessi pagati per il mutuo, un meccanismo che favorisce chi ha stipendi alti, paga molte tasse e investe in abitazioni costose.
Ci vogliono politici molto coraggiosi, scrive Reeves, per intaccare questo tipo di privilegi. Città liberali come Seattle, e stati come la California e il Massachusetts hanno provato a introdurre leggi per limitare questi fenomeni. La possibilità di dedurre gli interessi del mutuo dalle tasse, invece, sembra invece inattaccabile (nel Regno Unito, sottolinea Reeves, questo sconto è stato eliminato gradualmente con il contributo tanto dei Conservatori quanto dei Laburisti). Un altro meccanismo apparentemente impossibile da abolire è lo sconto fiscale sui piani di risparmio per l’istruzione. Negli Stati Uniti, i soldi messi da parte per investire sull’educazione dei propri figli non vengono tassati. È un beneficio sfruttato quasi esclusivamente per la classe medio-alta, che ha denaro da risparmiare e può permettersi di mandare i propri figli in istituti costosi. Il presidente Barack Obama tentò nel 2015 di mettere fine a questo privilegio, ma il suo piano venne immediatamente bloccato.
A fermare questi tentativi di riforma sono, ovviamente, coloro che più ne beneficiano, che però spesso si identificano con valori liberali e di sinistra progressista: «Difendere i propri interessi è naturale – scrive Reeves – ma quelli che formano la classe medio-alta americana non vogliono soltanto mantenere in vita i vantaggi di cui godono: armati della loro fede in una società meritocratica e priva di classi sociali, pensano di meritarseli». Questo è il cuore del problema, secondo Reeves, oltre ad essere un elemento che distingue la società classista britannica da quella apparentemente meritocratica degli Stati Uniti. Nel Regno Unito, nessuno dubita che le classi sociali siano un normale fatto della vita. Molto probabilmente, un ricco inglese avrà pochi dubbi sul fatto che la sua ricchezza è anche frutto del caso e della fortuna. Gli americani invece, secondo Reeves, se vogliono iniziare a risolvere i loro problemi di diseguaglianza e di crescenti divisioni tra le classi sociali dovranno iniziare ad ammettere che queste classi sociali esistono e che ci sono americani liberali e moderatamente ricchi che fanno di tutto per perpetuare queste distinzioni. Reeves, che ha scritto il suo articolo per il New York Times, un giornale letto in larga parte da questo tipo di persone, conclude rivolgendosi ai suoi lettori: «Sì, sto parlando proprio a voi».