Tre scenari possibili per la legge elettorale

Cosa succede ora, dopo il fallimento della legge su cui sembravano tutti d'accordo?

(ANSA/ CIRO FUSCO)
(ANSA/ CIRO FUSCO)

La scorsa settimana, il Movimento 5 Stelle ha deciso di votare contro la nuova legge elettorale su cui si stava accordando con PD, Forza Italia e Lega Nord. Senza più l’appoggio dei parlamentari del M5Si, gli altri tre partiti non sono riusciti a portare avanti il la legge a causa dei cosiddetti “franchi tiratori”, cioè i parlamentari dei loro stessi gruppi che hanno deciso di sabotare l’accordo e votare contro sfruttando il voto segreto (ricordate la storia dell’errore del tabellone in Parlamento?). La legge elettorale, nonostante le ripetute dichiarazioni di tutti i partiti sulla necessità di cambiarla, al momento è quella uscita dalle sentenze della Corte Costituzionale dello scorso febbraio, ma non è sicuro che non succeda niente da qui alle elezioni, che siano anticipate come si diceva fino a pochi giorni fa o che siano a marzo 2018 quando arriverà a termine la legislatura corrente. Ci sono tre grandi scenari possibili: il Parlamento potrebbe naturalmente lasciare tutto com’è, cercare di fare qualche piccola modifica alla legge oppure ricominciare tutto dall’inizio e tentare di approvare una nuova legge elettorale.

Primo scenario: si vota con le leggi in vigore
Oggi sono in vigore due legge elettorali, entrambe frutto di sentenze con cui la Corte Costituzionale ha modificato le precedenti leggi elettorali approvate dal Parlamento. Questo sistema a volte viene chiamato dai giornali “Consultellum”, una latinizzazione di “Consulta”, un termine usato come sinonimo di Corte Costituzionale (è il nome del palazzo a Roma dove ha sede la corte).

Alla Camera è in vigore una versione modificata dell’Italicum, la legge elettorale approvata nel 2016. Si tratta di una legge proporzionale con una soglia di sbarramento al 3 per cento. La lista che raggiunge almeno 40 per cento dei voti ha diritto a un premio di maggioranza che la porta ad avere il 55 per cento dei seggi. Sono previste le preferenze, ma i capilista sono bloccati. Significa che sulla scheda l’elettore troverà il simbolo di un partito con accanto una lista di nomi di candidati. Il primo della lista, il capolista bloccato, sarà in ogni caso il primo ad essere eletto per quel partito mentre si potrà esprimere una preferenza sugli altri nomi della lista. Se in quel collegio un determinato partito eleggerà più di un parlamentare, saranno eletti quelli che hanno ottenuto più preferenze. L’elettore dovrà obbligatoriamente esprimere due preferenze, una per una femmina e una per un maschio.

Al Senato è in vigore una versione modificata del cosiddetto Porcellum, la legge elettorale approvata nel 2006 dal governo Berlusconi e giudicata incostituzionale nel 2013. È una legge proporzionale con una soglia di sbarramento variabile: 3 per cento per i partiti all’interno di coalizioni, 8 per cento per quelli che corrono da soli. La soglia di sbarramento per le intere coalizioni è del 20 percento. Sono previste le preferenze, senza capilista bloccati: l’elettore potrà scegliere liberamente a quale candidato nella lista del suo collegio dare il suo voto. Al Senato non sono previste preferenze di genere.

Secondo scenario: si cambia la legge, ma poco
La Corte Costituzionale ha scritto nelle sue sentenze che è possibile andare a votare con questo sistema – in gergo si dice che le sue sentenze sono “auto-applicative”. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, però, non sembra essere completamente d’accordo e ha detto in più di un’occasione che le attuali leggi andrebbero modificate o almeno “armonizzate” prima di andare a votare. Mattarella, così come molti altri, sottolinea che il sistema attuale rischia di portare a risultati caotici.
Ad esempio: la bassa soglia di sbarramento alla Camera farebbe entrare anche molti piccoli partiti, che sarebbero invece bloccati al Senato dalla soglia altissima. Alla Camera i partiti correrebbero da soli, mentre al Senato potremmo trovarci di fronte ad alleanze e coalizioni. Alla Camera un partito potrebbe raggiungere il 40 per cento e ottenere così il premio di maggioranza, mentre il Senato sarebbe quasi certamente molto frammentato tra numerose forze politiche.

Armonizzare l’attuale sistema significherebbe probabilmente rendere più omogenee le due leggi elettorali, ad esempio uniformando le soglie di sbarramento, il sistema delle preferenze e la possibilità di presentare o meno le coalizioni. Secondo alcuni, questa “armonizzazione” potrebbe avvenire per decreto: cioè con un provvedimento del governo che il Parlamento dovrebbe ratificare in un secondo momento. Secondo altri, come il costituzionalista Stefano Ceccanti, non ci sarebbero i requisiti di “necessità e urgenza” che giustificherebbero il ricorso a questo strumento. Ad armonizzare le leggi dovrebbe quindi provvedere il Parlamento. Che però, come abbiamo visto, ha grosse difficoltà ad accordarsi su qualsiasi argomento che riguardi il sistema elettorale.

Terzo scenario: si fa una nuova legge
Un’altra possibilità è quella di ricominciare da capo e tentare di approvare una nuova legge elettorale. Viste le grosse difficoltà che i vari partiti hanno nel mettersi d’accordo e nell’assicurarsi la fedeltà dei propri deputati su un tema così delicato, sembra lo scenario più improbabile – ma le ultime settimane ci hanno dimostrato, se ce ne fosse stato il bisogno, che il Parlamento italiano è molto imprevedibile. Da oggi, la commissione Affari Costituzionali della Camera tornerà ad esaminare il testo della legge elettorale che era stato affossato la settimana scorsa. Il Movimento 5 Stelle sarà quasi certamente escluso dalle trattative. PD, Forza Italia e Lega Nord potrebbero trovare un nuovo accordo, ma sarà difficile.