I migliori film del 21esimo secolo, secondo il New York Times
Li hanno scelti i due critici di cinema Anthony Oliver Scott e Manohla Dargis, mettendoci due film d'animazione, molta Asia e altri che forse rivaluterete
I due capi dei critici di cinema del New York Times, Anthony Oliver Scott e Manohla Dargis, hanno deciso di fare una lista dei venticinque film più belli dal 2000 a oggi, ora che siamo circa a un sesto del 21esimo secolo. Hanno fatto scelte personali, aiutandosi in qualche caso con qualche sondaggio su Facebook: «anche se siamo quasi sicuri che tutti saranno d’accordo con le nostre scelte, siamo ugualmente sicuri che chi non lo sarà ce lo farà sapere». Ci sono due film d’animazione che molto probabilmente avete visto, diversi film asiatici – di cui due taiwanesi – e diversi europei, oltre che a una delle commedie più trasmesse negli ultimi dieci anni sulle televisioni italiane, che forse finora avete un po’ snobbato.
25. 40 anni vergine, di Judd Apatow (2005)
Dargis scrive che quando uscì 40 anni vergine non si aspettava fosse un film così importante e profondo sulle presunte mancanze di virilità, e Scott è d’accordo: «la paura delle donne, della sessualità femminile in particolare, è una costante delle commedie sugli uomini-bambini, a volte evidente e a volte lasciata più implicita». Secondo Scott, 40 anni vergine riesce a unire con equilibrio due modi di raccontare la battaglia di alcuni uomini contro la maturità: quello più serio e quello più ingenuo. Il regista del film è Judd Apatow, al suo esordio al cinema: da allora è diventato uno dei più apprezzati autori di commedie di Hollywood, che spesso ha messo il femminismo nei suoi film (è tra gli autori di Girls di Lena Dunham, e il regista di Un disastro di ragazza con Amy Schumer).
24. Se mi lasci ti cancello, di Michel Gondry (2004)
Dargis e Scott hanno fatto un sondaggio su Facebook «molto poco scientifico (e incredibilmente affascinante» sulla migliore commedia romantica del 21esimo secolo, e hanno scoperto che la stragrande maggioranza di chi ha partecipato preferiva i film che non finiscono bene: come Her, o Lost in Translation, o (500) Giorni Insieme, e naturalmente La La Land. C’erano comunque alcune eccezioni, come Il Diario di Bridget Jones, Crazy Stupid Love e Love Actually. Ma sia i partecipanti al sondaggio sia Dargis e Scott sono d’accordo nel ritenere Se mi lasci ti cancello il vincitore, per come mescola «risate a malinconia, nostalgia e speranza», per il suo essere una specie di canzone pop (Gondry è effettivamente un grande regista di videoclip) da vedere e rivedere consecutivamente, con un cast eccezionale. «L’unica cosa migliore di rivederlo sarebbe cancellarlo dalla vostra memoria e guardarlo di nuovo per la prima volta».
23. Luz Silenciosa, di Carlos Reygadas (2007)
È un film di un regista messicano che racconta la storia di una famiglia mennonita – un movimento anabattista molto conservatore – in cui il padre si innamora di un’altra donna. Narrativamente, nel film succede poco, ma formalmente c’è una grande cura nella fotografia e nelle inquadrature: e racconta «cosa significa amare, avere fede, vivere nel mondo». Mostrando l’isolamento dei protagonisti, Reygadas riesce a far empatizzare gli spettatori con loro, anche attraverso il realismo della recitazione. Vinse il premio della giuria a Cannes.
22. Io non sono qui, di Todd Haynes (2007)
Il film di Todd Haynes su Bob Dylan non è un vero biopic, perché ha una struttura frammentaria e discontinua, a partire dalla scelta di far interpretare il cantante da diversi attori, tra cui Richard Gere, Heath Ledger e Cate Blanchett, la cui interpretazione fu celebrata dai critici. Dargis e Scott hanno deciso di descrivere il film con una serie di combinazioni di testi tratti da canzoni di Bob Dylan: vi rimandiamo all’originale.
21. Wendy and Lucy, di Kelly Reichardt (2008)
La protagonista del film, interpretata da Michelle Williams, è una donna con pochi soldi che percorre la costa Ovest degli Stati Uniti per andare in Alaska e cercare lavoro, insieme al suo cane. Quando la sua auto si rompe in Oregon, capitano una serie di cose che li separano. Williams ha raccontato a Scott che le piacciono i personaggi del regista Kelly Reichardt perché «non si svelano subito», ma mantengono molta dignità e rispetto per se stessi».
20. Moonlight, di Barry Jenkings (2016)
Il premio Oscar 2017 per il miglior film – che per un po’ non lo è stato – racconta la storia di un uomo afroamericano in tre parti, da quando è bambino a quando è un giovane adulto: è stato da subito promosso da Scott, che spiega che fin dalla prima volta che l’ha visto ha provato «un’affezione insolitamente intensa e intima». Secondo lui dipende dal fatto che il film non prova a far empatizzare lo spettatore con il protagonista Chiron, ma a farglielo sentire vicino. Secondo Dargis ci riesce anche perché lo presenta quand’è un bambino in difficoltà. Il film, dice Scott, dimostra che una «narrazione onesta e consapevole e l’originalità formale possono avere implicazioni politiche. Come Chiron, il film non alza mai la voce o prende una posizione dichiarata».
19. Mad Max: Fury Road, di George Miller (2015)
Anche per sondare quali fossero le opinioni sul miglior film d’azione del 21esimo secolo Dargis e Scott hanno usato Facebook: e nonostante siano stati citati molti titoli, dalla trilogia di Jason Bourne al reboot del Pianeta delle Scimmie, il vincitore è stato Mad Max: Fury Road, distanziando gli altri «di un miglio polveroso dell’Outback australiano». «Perché George Miller è un coreografo vecchia scuola del caos, che preferisce gli effetti speciali fisici a quelli digitali. Ma anche perché il film riprende il ringhiante, antiautoritario spirito punk-rock dei primi film di Mad Max trascinandolo in una nuova era, rinnovando e conservando con un singolo gesto». E poi ovviamente per Furiosa, il personaggio di Charlize Theron.
18. Les glaneurs et la glaneuse, di Agnès Varda (2000)
L’autorevole rivista britannica Sight and Sound lo votò come ottavo migliore documentario di sempre: prende ispirazione dal quadro di Jean-François Millet Le spigolatrici, e racconta le vite delle persone che raccolgono cose per terra, che siano le spighe sfuggite alla mietitura nei campi o quelle che raccolgono oggetti di recupero nelle città. “La glaneuse” del titolo è la stessa Varda, che compare spesso nel suo documentario e raccoglie le storie delle persone che riprende. Scott dice che anche se può sembrare «disordinato, anche se in modo affascinante – è un tour per libera associazione della sensibilità e della testa dell’autrice – ha un’innegabile coerenza e rigore, come un’esibizione in un museo o un’installazione artistica».
17. Three Times, di Hou Hsiao-Hsien (2006)
Il regista taiwanese Hou Hsiao-Hsien, spiegano Dargis e Scott, è celebrato dai critici ma non riscuote un gran successo di pubblico: il suo film più bello, secondo i critici del New York Times, è «visivamente meraviglioso ed emotivamente delicato», e racconta la storia di tre coppie – interpretate dagli stessi attori – in tre diversi periodi storici del Taiwan, mischiando le loro storie personali al contesto storico. Barry Jenkings ha detto che il film e la sua struttura in tre parti è stata la «sola ispirazione» per Moonlight.
16. Munich, di Steven Spielberg (2005)
Dargis e Scott espongono l’insolita teoria secondo la quale Steven Spielberg – tra i registi più di successo e stimati degli ultimi quarant’anni – sia in realtà sottovalutato, perché dopo la sua fase più commerciale – quella di Lo squalo ed E.T., per intendersi – e la sua svolta più impegnata – Schindler’s List e Salvate il Soldato Ryan – non ha più raggiunto lo stesso successo. Oltre a Lincoln, Munich è probabilmente il film più rappresentativo dell’ultima parte della carriera di Spielberg, anche se secondo Dargis e Scott andrebbero tenuti in considerazione anche A.I. Intelligenza artificiale e Il ponte delle Spie. Secondo loro Munich, che racconta del piano del Mossad per vendicare gli attentati palestinesi alle Olimpiadi di Monaco 1972, è in buona parte incompreso e racconta bene una storia di violenza, integrità e vendetta, oltre a essere un thriller pieno di suspense.
15. White Material, di Claire Denis (2010)
La protagonista del film è Isabelle Huppert, che interpreta la proprietaria di una piantagione di caffè in Africa, che decide di provare a mandarla avanti mentre intorno scoppia una guerra civile. È una storia «frammentata sull’amore, sulla forza, sul prezzo dell’eredità dell’essere bianchi e sui danni ancora tangibili del post colonialismo. Un grande fan del film è Robert Pattinson, che ha anche detto che «è difficile pensare a qualcuno che sia meglio» di Huppert.
14. L’Enfant, di Jean-Pierre e Luc Dardenne (2006)
I fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, spiega Scott, hanno influenzato diversi altri film in questa lista, come Timbuktu o Wendy and Lucy. L’enfant è una storia crime su un ladro la cui fidanzata rimane incinta: Scott dice di averlo rivisto recentemente e di essersi ritrovato a trattenere il respiro anche se si ricordava la trama. La parte di contesto più importante nella trama del film è la fine del comunismo nell’Europa dell’Est, intorno alla quale i Dardenne sviluppano alcune riflessioni sull’essere padre, sull’universalità di alcuni valori di umanità indipendentemente dalle posizioni politiche: «per dirla come farebbe Netflix, se vi piace The Wire e il cinema straniero, voilà!».
13. In Jackson Heights, di Frederick Wiseman (2015)
È un documentario su un quartiere del Queens, a New York, seguendo le vicende di una scuola musulmana, di un centro ebraico, di un ritrovo LGBT, un comitato politico ispanico e un ufficio del comune: secondo il New York Times Frederick Wiseman non è soltanto uno dei migliori documentaristi in attività, ma anche uno dei migliori registi.
12. Timbuktu, di Abderrahmane Sissako (2015)
È ambientato in una città del Mali dove arriva un gruppo islamista e impone la Shari’a, e racconta le reazioni e i tentativi della comunità di aggirare e resistere ai divieti: in una scena piaciuta molto a Dargis un gruppo di ragazzi gioca a calcio con una palla immaginaria. Il regista ha deciso di girare il film dopo che una coppia non sposata del Mali fu lapidata a morte nel 2012, per fare un tributo alle vittime del terrorismo islamico, compiuto da persone che secondo Sissako «trasformano l’Islam in qualcosa di immaginario».
11. A proposito di Davis, di Joel ed Ethan Coen (2013)
Dargis e Scott dicono che anche se Non è un paese per vecchi è il film che ha riscosso il maggiore successo di critica, per i fratelli Coen, a loro sono piaciuti di più il metafisico A serious man e il malinconico A proposito di Davis. Per scegliere tra i due hanno perfino provato a chiedere consiglio ai fratelli Coen, senza successo, e alla fine hanno scelto quello che racconta la storia di un musicista folk di New York negli anni Sessanta «per il gatto. Per l’astuta circolarità della storia. Per la colonna sonora. Per gli occhi tristi di Oscar Isaac e per il suo talento alla chitarra».
10. The Hurt Locker, di Kathryn Bigelow (2009)
La vittoria dell’Oscar per la migliore regia di Kathryn Bigelow nel 2010, la prima donna nella storia a ottenere il riconoscimento, è stata molto importante «in un settore dominato dagli uomini che rimane patologicamente resistente all’equità di genere», spiega Dargis. Nella storia raccontata da Bigelow in realtà ci sono poche donne: si parla di una squadra di artificieri in Iraq. Ma secondo Dargis The Hurt Locker smentisce un vecchio aforisma di Francois Truffaut, secondo il quale «ogni film sulla guerra finisce per essere un film pro-guerra».
9. Ore d’estate, di Olivier Assayas (2009)
È un film francese di un regista amatissimo dai critici, che secondo Dargis è molto abile a raccontare le storie: questa ruota intorno a una madre morta, e alle difficoltà dei figli nel decidere cosa fare delle sue cose, che riportano alla loro memoria i ricordi d’infanzia. «È una lettera d’amore al cinema francese, ma anche uno sguardo duro sul suo futuro», fatto da un regista che prima era un critico, e il cui amore per la storia «è intrecciato a quello per i film».
8. Boyhood, di Richard Linklater (2014)
È stato uno dei film più discussi e ambiziosi degli ultimi anni, girato nell’arco di 12 anni per raccontare l’infanzia e l’adolescenza di un ragazzo, interpretato da Ellar Coltrane. Dato che se ne è già parlato molto, Scott e Dargis hanno chiesto un parere al regista Linklater, che tra le altre cose ha detto che è un film che «ti porta a preoccuparti delle persone e a sentire com’è il passare del tempo, il cambiare della vita e delle relazioni».
7. Inside Out, di Pete Docter e Ronnie del Carmen (2015)
Come nessun altro, dicono Scott e Dargis, la Pixar ha ridefinito il concetto di “film per tutti”: e questo significa anche che tutti hanno un film della Pixar preferito, hanno capito da un altro sondaggio su Facebook. Ma loro hanno avuto pochi dubbi nel scegliere il migliore: «Inside Out è di gran lunga il più inventivo, commovente, coinvolgente e filosoficamente astuto film di animazione sulla maturazione psicologica delle persone del 21esimo secolo». E come capita spesso con i film Pixar, il messaggio di fondo è comunicato i un modo che fa tanto piangere quanto ridere.
6. Yi Yi, Edward Yang (2000)
Edward Yang è stato uno dei registi che negli anni Novanta ha portato l’attenzione della critica internazionale su Taiwan: Yi Yi è stato il suo primo film a essere distribuito negli Stati Uniti, e anche l’ultimo che ha girato prima della sua morte nel 2007. Parla di tre personaggi: un padre, una figlia e un figlio, che è un fotografo specializzato nello scattare foto alla nuca delle persone, per far vedere loro parti di se stessi che diversamente non vedrebbero: un po’ come Yang cerca di mostrare la vita da ogni angolazione nei suoi film. C’è molta Taipei, così tanta che «invocare il vecchio cliché secondo il quale le città sono veri e propri personaggi dei film sarebbe sottostimare la sua importanza».
5. La morte del signor Lazarescu, di Cristi Puiu (2006)
Nel titolo del film c’è un enorme spoiler: quando comincia, infatti, il protagonista del film ha solo un mal di pancia, e nel giro di due ore e mezza – il tempo della vicenda è quasi uguale alla durata del film – morirà. Quando fu proiettato a Cannes, racconta Scott, ne parlarono tutti, e servì a portare l’attenzione della critica sul cinema romeno, che stava attraversando un gran momento. È una storia di un uomo comune alle prese con la burocrazia dell’Est Europa post-comunista, che in mezzo al disinteresse del sistema nei suoi confronti trova un alleato soltanto nell’autista della sua ambulanza.
4. Il tocco del peccato, di Jia Zhangke (2013)
È un film diviso in quattro parti, che raccontano storie diverse in un’atmosfera generale «di crescente e palpabile disagio», in cui la violenza è intervallata da momenti surrealisti, spesso con in mezzo animali. Si ispira a storie di cronaca accadute realmente, raccontati con grande crudezza e realismo. Ed è un gran ritratto della Cina contemporanea, secondo Dargis.
3. Million Dollar Baby, Clint Eastwood (2004)
Secondo Scott, Clint Eastwood è una buona risposta a chi sostiene che non si facciano più i film di una volta: e nonostante i suoi film siano molto vari – dai musical ai biopic su Mandela – quelli che gli riescono meglio sono i più classici. I western, per esempio, ma anche i film di pugilato: un genere molto esplorato, nel quale Eastwood secondo Scott ha saputo inserirsi con sapienza, aggiungendo però cose e sfumature come nessun altro prima.
2. La città incantata, di Hayao Miyazaki (2000)
Il film più famoso del più famoso studio di film d’animazione giapponese – lo studio Ghibli di Hayao Miyazaki – è finito al secondo posto della lista di Dargis e Scott, che hanno fatto parlare per loro il regista Guillermo Del Toro. «Miyazaki ha un approccio nel fare i mostri che è unico. Sono completamente nuovi nel design, ma sembrano basati su quelli delle vecchie leggende. Sembra che rappresentino forze primordiali e, in molti casi, spiriti che vivono sulla Terra, nel vento, nell’acqua». Secondo Del Toro, i suoi disegni funzionano perché non cerca per forza di connotare i suoi personaggi in base al fatto se sono buoni o cattivi, e ha il potere di farti pensare che «niente che incontrerai in natura possa essere più puro» dei suoi disegni.
1. Il petroliere, di Paul Thomas Anderson (2007)
«Il petroliere di Paul Thomas Anderson è un capolavoro del 21esimo secolo, sull’amore, la morte, la fede, l’avidità e il petrolio e il sangue che hanno percorso l’America del 20esimo secolo», dice Scott, secondo il quale il protagonista Daniel Day-Lewis incarna il meglio degli Stati Uniti «soltanto per poi diventarne il peggio». Secondo Dargis, per il film – che racconta di un minatore che trova il petrolio e si arricchisce, nella California di inizio Novecento – Anderson si è ispirato al cinema classico di Hollywood e a quello d’autore europeo. «Non mi stanco mai di pensare al Petroliere. Ma ogni volta che lo vedo, scopro che è più veloce di qualsiasi mio pensiero. Non capita con molti film», scrive Scott.