Cosa vuol dire “laico”
Lo è uno stato che si dichiara neutrale dal punto di vista religioso, ma anche una scuola libera da ogni ingerenza ecclesiastica
di Massimo Arcangeli
Uno Stato è laico se dichiara la sua neutralità in campo religioso, non discriminando né mostrando di preferire in alcun modo, e sotto nessuna forma, una confessione rispetto alle altre, e se le sue decisioni sono indipendenti da un qualunque condizionamento da parte della Chiesa; una scuola è laica se tiene al riparo la libertà d’insegnamento da ogni influenza o ingerenza ecclesiastica, per esempio in campo etico. Due sinonimi di laico, se il significato è questo, sono areligioso o aconfessionale; due contrari sono confessionale e clericale. Quando le scelte in campo politico o scolastico sono più nette o radicali parliamo di laicismo, prossimo ad anticlericalismo. Suggerisce l’indipendenza dello Stato dalla Chiesa, ma in termini meno antagonistici, anche laicità, più blanda e generica.
Un individuo è laico se è battezzato, e fedele alla Chiesa cattolica, ma non riveste alcun ufficio all’interno delle gerarchie ecclesiastiche. I laici si contrappongono in questo caso ai chierici. Possono continuare a vestire l’abito civile (o secolare), o decidere di indossare quello religioso; in genere, se sono frati o fratelli laici (o conversi), oppure suore o sorelle laiche (o converse), svolgono attività manuali o di assistenza in un ordine religioso. Può dirsi laico, ancora, un partito, un ente, un movimento, ecc., ma anche una singola persona, che preservi e difenda la propria autonomia, e l’autonomia delle forme (logiche, coerenti, razionali) del proprio pensiero, da qualunque condizionamento politico, o di altro genere, di carattere dogmatico:
tra gli anni ’50 e ’80 del Novecento, nello schieramento politico italiano, si definivano partiti l[aici] quei partiti (repubblicano, liberale, socialista, socialdemocratico, radicale) che si riconoscevano autonomi dalle grandi ideologie comunque ritenute confessionali, sia quella cattolica sia quella marxista.
Dall’estraneità a una confessione si è sviluppata l’idea dell’estraneità, dell’appartenenza provvisoria a un organo, un’istituzione, un’adunanza di persone. Così quando parliamo di un giudice laico, o di un membro laico del Consiglio Superiore della Magistratura: il secondo si riferisce a ciascuno dei giudici eletti al CSM, fra i non magistrati, dal Parlamento riunito in seduta comune; il primo è perlopiù il giudice popolare, non professionista (si contrappone a togato), introdotto anche nei tribunali ecclesiastici, che può essere chiamato, in qualità di esperto (psicologo, geologo, avvocato, commercialista, ecc.), presso la Corte d’Appello, o la Corte d’Assise, per i procedimenti che vedano coinvolti minorenni o per alcune specifiche materie (tributaria, ambientale, ecc.). Un prete laico è infine un “assistente spirituale” non credente (ateo, agnostico o altro) che si pone al servizio di persone malate o sofferenti, anch’esse non credenti.
Così Pietro Giannone, nell’Istoria civile del Regno di Napoli (1723), descrive l’Italia al volgere del Nono secolo:
Tutto era disordine, tutto era confusione: solamente in Roma, nel che tutta l’obbligazion devesi a’ Romani Pontefici, ed a’ Monaci, e Chierici, si ritenne qualche letteratura, e la lingua latina non rimase affatto estinta, almeno nelle scritture. Quindi avvenne, che gli uomini di lettere fossero stati poi chiamati Cherici, siccome gl’illetterati si nomavano Laici; onde nacque, che presso gli Scrittori della più bassa età, come in Dante, in Passavanti, ed in altri, per Cherici intendevansi i Letterati, e per Laici gl’idioti.
Da una parte i laici ignoranti, dunque, e dall’altra i chierici istruiti. Potrebbe sembrare che i primi abbiano ereditato, dal latino tardo laicus (“comune”, “popolare”, “non consacrato a Dio”) che ha dato origine al termine italiano, il senso dell’inferiorità culturale normalmente legata al “volgo”. In realtà se l’aggettivo greco da cui quello latino dipende (λαϊκός) è un derivato di λαός, e questo indicava, nelle Sacre Scritture, il popolo di Dio, in età ellenistica λαός era stato adoperato per tenere distinto quel popolo da chi lo governava: «l’idea che è “laico” colui che non esercita nessun ufficio è, quindi, molto antica» (Giuseppe Rivetti, Il fenomeno associativo nell’ordinamento della Chiesa tra libertà e autorità, Milano, Giuffrè, p. 160).
Alla vigilia del Festival “Parole in cammino” che si è tenuto ad aprile a Siena, il suo direttore Massimo Arcangeli – linguista e critico letterario – ha raccontato pubblicamente le difficoltà che hanno i suoi studenti dell’università di Cagliari con molte parole della lingua italiana appena un po’ più rare ed elaborate, riflettendo su come queste difficoltà si estendano oggi a molti, in un impoverimento generale della capacità di uso della lingua. Il Post ha quindi proposto ad Arcangeli di prendere quella lista di parole usata nei suoi corsi, e spiegarne in breve il significato e più estesamente la storia e le implicazioni: una al giorno.
Il nuovo libro di Massimo Arcangeli, “La solitudine del punto esclamativo“, è uscito il primo giugno per il Saggiatore.