Il comunicato dei giornalisti dell’Unità, per l’ultimo numero
L'editore ha deciso di interrompere le pubblicazioni, e il comitato di redazione della versione cartacea ha pubblicato un editoriale molto critico
Oggi gli abbonati all’Unità – lo storico quotidiano del Partito Comunista Italiano, diventato poi del Partito Democratico – possono scaricare la versione in PDF dell’ultimo numero dell’edizione cartacea del giornale, che ha annunciato la sospensione delle pubblicazioni. Il cartaceo dell’Unità, che ha una direzione e una gestione diversa dal sito, ha problemi economici che vanno avanti da mesi, e che sono stati spiegati frequentemente dal direttore Sergio Staino. Il giornale aveva già chiuso nel luglio del 2014, dopo mesi di crisi di vendite e di introiti pubblicitari che avevano portato la società editoriale in liquidazione. Le pubblicazioni ripresero nel giugno del 2015, quando fu rilevato da Piesse, la società edile presieduta da Massimo Pessina e amministrata da Guido Stefanelli, che ne comprò l’80 per cento, mentre il 20 per cento rimase al PD. I guai del giornale sono ricominciati negli ultimi mesi, in cui era emerso un rapporto complicato con la redazione del sito e in cui i giornalisti avevano lamentato il mancato pagamento degli stipendi. Massimo Franchi, giornalista della versione cartacea dell’Unità, ha scritto su Facebook che «questo – a meno di sorprese che sono sempre state negative – è l’ultimo numero». La prima pagina dell’Unità di oggi ha come titolo “Così si calpesta una storia”, ed è accompagnata da una foto di alcune persone che tengono la copia del quotidiano che annunciò la vittoria della Repubblica al referendum del 2 giugno 1946.
Il comitato di redazione ha diffuso oggi un comunicato molto critico, in cui si dice che l’editore «incontrerà la Federazione nazionale della stampa, Stampa Romana e il Cdr per illustrare la situazione economico-finanziaria del giornale e la “conseguente decisione di interrompere volontariamente la pubblicazione”».
Ci sono storie che non dovrebbero finire, per la storia che hanno raccontato e testimoniato, per quella che hanno cercato di capire, per chi ci ha creduto, per chi ci ha messo passione, professionalità e attaccamento. Questa storia, la nostra, hanno deciso di chiuderla nel modo peggiore, calpestando diritti, calpestando lo stesso nome che porta questa testata, ciò che ha rappresentato e ciò che avrebbe potuto rappresentare. L’editore ha comunicato, con una lettera spedita alle ore 22,49 del 1° giugno, che incontrerà la Federazione nazionale della stampa, Stampa Romana e il Cdr per illustrare la situazione economico-finanziaria del giornale e la “conseguente decisione di interrompere volontariamente la pubblicazione”.
“Riteniamo – aggiunge l’amministratore delegato Guido Stefanelli – che questa sia la scelta più giusta da fare in attesa di portare a compimento le procedure di ristrutturazione aziendale”. Una decisione grave, arrivata dopo giorni di assenza del giornale dalle edicole perché lo stampatore ha fermato le rotative per la mancata riscossione dei crediti maturati e per i quali da mesi chiedeva il relativo pagamento. Se si è arrivati fino a questo punto non è stato per un improvviso fatto esterno, ma per una decisione più volte annunciata dallo stesso stampatore. Nel silenzio più totale da parte dell’amministratore delegato abbiamo tuttavia continuato a svolgere il nostro lavoro confezionando un giornale che nessuno ha potuto acquistare in edicola, destinato soltanto agli abbonati che per alcuni giorni neanche riuscivano a scaricarlo nella sua versione online. Nel silenzio più assoluto da parte di un’azienda che non ha neanche ritenuto di dover comunicare che non avrebbe pagato gli stipendi ai lavoratori e alle lavoratrici. E che oggi dà notizia di una ristrutturazione annunciata da mesi ma mai avviata davvero. In questi mesi l’azienda, la stessa che in due anni non ha presentato un seppur minimo piano industriale, ha solo più volte minacciato licenziamenti collettivi, come se a pagare il conto della mancata gestione aziendale dovessero essere i lavoratori e le lavoratrici.