Alcune città americane vogliono rispettare l’accordo sul clima di Parigi
E insieme a loro anche tre stati e alcune importanti aziende, guidati dall'ex sindaco di New York Michael Bloomberg
Negli Stati Uniti un gruppo di 30 sindaci, tre governatori statali, più di 80 rettori universitari e più di 100 società stanno trattando con le Nazioni Unite per poter sottoscrivere l’accordo sul clima di Parigi nonostante il presidente Donald Trump abbia annunciato che il paese non manterrà gli impegni previsti. Il gruppo è guidato dall’ex sindaco di New York e inviato speciale dell’ONU per le città e i cambiamenti climatici Michael Bloomberg, che ha detto che raddoppiando i propri sforzi di risparmio energetico le città, gli stati e le aziende che fanno parte del gruppo potrebbero raggiungere o addirittura superare gli obiettivi sulla riduzione di emissioni di gas serra decisi dall’amministrazione Obama. Non esiste però un vero protocollo che permetta a enti diversi dagli stati di firmare l’accordo.
Le città e gli stati americani hanno vari modi per ridurre le emissioni di gas serra, come per esempio negoziare degli accordi con le aziende energetiche locali per aumentare la quota di energia prodotta con fonti rinnovabili e investire in progetti di sostenibilità ambientale. Le società invece possono impegnarsi ad alimentare i propri uffici e stabilimenti con fonti di energia rinnovabile, o assicurarsi che le aziende con cui lavorano siano rispettose di determinati parametri ambientali. Tra i membri del gruppo guidato da Bloomberg ci sono i sindaci di Los Angeles, Atlanta, Salt Lake City e Pittsburgh, la città che Trump ha nominato nel suo discorso sul ritiro dall’accordo di Parigi, dicendo: «Sono stato eletto per rappresentare i cittadini di Pittsburgh, non quelli di Parigi». Tra le società del gruppo ci sono Hewlett-Packard e Mars, la multinazionale produttrice di dolciumi, mentre i tre governatori che si sono dissociati dalla decisione di Trump – tutti Democratici – sono Jay Inslee dello stato di Washington, Andrew Cuomo dello stato di New York e Jerry Brown della California.
L’ex funzionaria delle Nazioni Unite sulle questioni climatiche Christiana Figueres ha spiegato al New York Times che i risultati ottenuti dal gruppo guidato da Bloomberg potrebbero essere inclusi nei futuri rapporti sul raggiungimento degli obiettivi dell’accordo di Parigi – il principale è mantenere l’aumento di temperatura inferiore ai 2 gradi centigradi, e compiere sforzi per mantenerlo entro 1,5 gradi. In teoria gli Stati Uniti dovrebbero continuare a farlo nei prossimi anni visto che il ritiro dall’accordo di Parigi non sarà una procedura immediata, ma può anche darsi che non lo facciano visto che il trattato non è vincolante.
La decisione di Trump di ritirarsi dall’accordo di Parigi potrebbe avere serie conseguenze sul mantenimento degli impegni da parte degli altri stati e più in generale sullo stato del pianeta, considerato che il riscaldamento globale si sta già verificando e ogni anno perso per contrastarlo fa aumentare il rischio di produrre effetti irreversibili sul clima. La procedura per uscire dal trattato – che è entrato in vigore il 4 novembre del 2016 – richiede quasi quattro anni per essere completata, ma gli Stati Uniti potrebbero interrompere da subito tutte le loro attività di collaborazione, non partecipare alle nuove riunioni sul clima dei paesi dell’ONU e isolarsi dal resto della comunità internazionale su questo tema; l’amministrazione successiva a quella attuale, se lo volesse, potrebbe tornare indietro e sottoscrivere nuovamente l’accordo.
Non è ancora chiaro cosa avverrà ora esattamente, cioè quali saranno le ripercussioni immediate dell’annuncio di Trump e tra le varie cose non si sa se gli Stati Uniti daranno il loro contributo economico per il budget dell’agenzia dell’ONU che coordina l’attuazione dell’accordo di Parigi. L’organizzazione no profit di Bloomberg, la Bloomberg Philanthropies, ha promesso di donare 14 milioni di dollari, la quota statunitense del budget per i prossimi due anni, se il paese non dovesse farlo.