Macron è partito in quarta
È presidente della Francia da sole due settimane e si è già mostrato molto diverso da Hollande, almeno in politica estera
Il nuovo presidente francese Emmanuel Macron è in carica solamente da due settimane eppure ha già fatto parlare di sé diverse volte: non tanto per le sue iniziative di politica interna o il programma del suo nuovo governo – non c’è ancora stato tempo di fare quasi niente – quanto per alcuni suoi incontri con i leader mondiali. Negli ultimi giorni, fra le altre cose, Macron ha stritolato pubblicamente la mano del presidente americano Donald Trump, avviato una fitta collaborazione col primo ministro canadese Justin Trudeau – che CNN e altri hanno scherzosamente definito una bromance, un rapporto di amicizia molto stretto e affettuoso fra uomini – e accusato il governo russo di fare propaganda aggressiva durante una conferenza stampa con Vladimir Putin.
Durante questi incontri Macron ha ripreso e ampliato alcuni grossi temi di politica internazionale già citati nella sua campagna elettorale, come la necessità di rafforzare il rapporto fra i cittadini europei e l’UE, e la possibilità di intervenire in Siria in caso di nuovi attacchi chimici da parte delle forze del presidente Bashar al Assad, o dei suoi alleati. Il New York Times ha fatto notare che Macron «ha rapidamente assunto un atteggiamento presidenziale».
L’atteggiamento di Macron da duro – o da macho, come l’ha definito Politico – ha preso alla sprovvista giornalisti e osservatori, e forse è anche per questo che se ne sta parlando molto. Inoltre, è un atteggiamento in aperto contrasto con quello più prudente dell’ex presidente francese François Hollande, in carica dal 2012 fino all’elezione di Macron.
Sitting down with @EmmanuelMacron for the first time, talking jobs, security & climate – looking forward to more conversations, my friend. pic.twitter.com/8ih8iEZ4aw
— Justin Trudeau (@JustinTrudeau) May 26, 2017
Hollande era noto per comportarsi in maniera molto informale, sia con i giornalisti che nelle uscite pubbliche, e per i suoi toni spesso scherzosi e dimessi (nella campagna elettorale del 2012 aveva promesso di essere un presidente “normale”, al contrario dell’allora presidente uscente Nicolas Sarkozy). Macron invece «non è un chiacchierone, tiene a distanza i media e non fa battute», scrive il New York Times, che aggiunge: «nella conferenza stampa tenuta sabato dopo il vertice del G7 a Taormina, Macron ha parlato a lungo e a braccio di argomenti come la Libia e lo sviluppo in Africa, senza i tentennamenti, le esitazioni e i sorrisini tipici di Hollande».
Non erano in molti ad aspettarsi un atteggiamento così diverso da parte di Macron, che in passato è stato vicino a Hollande (fra il 2012 e il 2014 fu uno dei suoi più stretti collaboratori). Sarah Wildman, che si occupa di esteri per Vox, ha spiegato che Macron «in teoria non doveva essere così bravo in questo. I suoi critici lo accusavano di essere troppo nuovo, inesperto e concentrato sull’economia, di non avere idee sulla politica estera, e ancora meno esperienza internazionale».
Secondo il New York Times, la «aura di autorevolezza» che Macron sta cercando di trasmettere è una specie di meccanismo di reazione al contesto piuttosto agitato della politica internazionale. Macron stesso ha parlato in questi termini delle ragioni dietro alla fortissima stretta di mano che ha dato a Trump: ha detto di avere insistito appositamente nella stretta di mano per «far vedere che non faremo piccole concessioni, nemmeno simboliche», e che in generale ha preso atto del fatto che Trump, il presidente russo Vladimir Putin e quello turco Recep Tayyip Erdoğan «vivono in una logica di rapporti di forza», e che quindi bisogna adattarsi.
«Dobbiamo far vedere che non faremo piccole concessioni, nemmeno simboliche, ma nemmeno dare a queste cose troppo risalto mediatico. Donald Trump, il presidente turco o il presidente russo vivono in una logica di rapporti di forza, e la cosa non mi spaventa. Non credo alla diplomazia dell’invettiva pubblica, ma al contempo nei dialoghi bilaterali non concedo niente: è così che ci si fa rispettare»
Va detto che Macron è nel periodo di più alta popolarità della sua breve carriera politica: ha molti più margini di un presidente logorato in carica da tempo, e in futuro potrebbe decidere di abbandonare questa retorica nel caso non abbia più la necessaria credibilità, oppure semplicemente perché potrebbe essere costretto a prendere decisioni su questioni complicate di governo. Secondo il New York Times, comunque, nelle ragioni dell’atteggiamento di Macron non c’è solo un atteggiamento di reazione: la base per questa teoria è un’altra dichiarazione di Macron piuttosto sorprendente di due anni fa, in cui Macron disse che «nel processo democratico manca qualcosa come la figura di un re, la cui morte [l’ultimo re francese, Luigi XVI, fu decapitato il 21 gennaio 1793] non era stata voluta dal popolo». Quella di Macron è stata una dichiarazione rischiosa, ma che forse racconta qualcosa della sua idea di leadership intesa come guida morale del paese.
Non c’è il rischio di una deriva “autoritaria”: i collaboratori di Macron lo descrivono come una persona aperta e pragmatica, disponibile al compromesso. Una settimana fa Macron ha convocato all’Eliseo diversi leader dei sindacati per presentare loro la sua proposta di riforma del lavoro. I capi dei sindacati hanno detto di avere apprezzato il suo atteggiamento: Laurent Berger della CFDT, il più grande sindacato francese che in passato è stato vicino al Partito Socialista, ha detto che Macron «ha mostrato determinazione ma al contempo è rimasto aperto e ha ascoltato». Jean-Claude Mailly, leader del sindacato centrista Force Ouvrière, ha raccontato che «almeno in superficie ha dimostrato di voler fare le cose insieme: non ha avuto un atteggiamento autoritario».