Perché il Torino rivuole lo Scudetto del 1927?
Gli venne revocato dopo il primo grande scandalo del calcio italiano, una storia su cui non è mai stata fatta davvero chiarezza
Nell’albo d’oro del più importante campionato italiano di calcio, che da più di mezzo secolo si chiama Serie A ma in passato, quando era strutturato in modo diverso, si è chiamato anche Prima Categoria, Prima Divisione e Divisione Nazionale, risultano solamente due titoli revocati. Il più recente è quello della stagione 2004/2005, vinto dalla Juventus ma revocato nell’ambito dell’inchiesta “Calciopoli” e poi non assegnato a nessun’altra squadra. L’altro è quello della stagione 1926/1927, in cui si svolse il primo torneo non più diviso tra nord e sud. Quel campionato finì a luglio e lo vinse il Torino, ma la vittoria gli venne riconosciuta ufficialmente solo per pochi mesi: in autunno la FIGC lo revocò dopo che venne alla luce “il primo grande scandalo del calcio italiano”, che coinvolse un giocatore della Juventus e la dirigenza del Torino, accusata e poi sanzionata per aver cercato di assicurarsi, dietro il pagamento di un giocatore avversario, la vittoria in un’importante partita. Ma su quello che accadde in quella stagione non è mai stata fatta chiarezza – c’era il regime fascista, la sentenza della FIGC fu molto criticata – e da alcuni mesi l’attuale presidente del Torino, Urbano Cairo, sta cercando di ottenere ufficialmente la riassegnazione di quello che per il Torino sarebbe l’ottavo Scudetto.
Gran parte dei successi e di quello che conosciamo ora della lunga storia del Torino si può far risalire alla presidenza del conte Enrico Marone di Cinzano, erede della nota azienda produttrice di liquori fondata nel Cinquecento nei dintorni di Torino. Fu presidente della squadra solamente per quattro anni, fra il 1924 e il 1928, ma nel corso della sua presidenza costruì lo Stadio Filadelfia – noto allora con il nome di “Campo Torino” – e fece partecipare la squadra al primo campionato italiano unificato, dopo che nel 1926, in seguito a una stagione di scioperi e liti fra arbitri e dirigenti, il regime fascista volle riorganizzare il campionato di calcio con la Carta di Viareggio.
La Prima Divisione iniziò quindi in ottobre, unificata e non più organizzata in base alla provenienza geografica dei club, ma solamente divisa in due gironi. La riorganizzazione del campionato non aveva modificato solo la struttura del calcio italiano ma anche introdotto nuove cariche e nuovi status per giocatori e club. Una delle riforme più influenti fu l’istituzione di due separate categorie di calciatori, i dilettanti e i non dilettanti, cosa che di fatto introdusse il professionismo nel calcio italiano e la conseguente legalizzazione di quello che oggi conosciamo come “calciomercato”. In questo modo le grandi squadre dell’epoca, in particolar modo Torino, Juventus, Inter, Milan, Genoa e Bologna, si rafforzarono come forse non era mai successo prima, acquistando alcuni dei migliori giocatori dalle altre squadre del campionato, quelle più piccole e meno ricche.
Il divario creatosi fra le squadre venne rispecchiato nell’andamento del campionato e nelle classifiche finale dei due gironi, dove le sei squadre principali si qualificarono tutte alla fase finale con un netto distacco. L’ultima fase del campionato fu molto combattuta, con Torino, Bologna e Juventus che si contesero il primo titolo unificato fino alle ultime giornate. Ma il Torino prese la testa della classifica a dieci giornate dal termine e non la lasciò più fino al 10 luglio del 1927, quando nonostante un pesante sconfitta per 5-0 in casa dei rivali del Bologna, vinse il primo campionato della sua storia. La stagione si concluse quindi con la vittoria del Torino, che già quattro mesi più tardi avrebbe iniziato a difendere il titolo nella nuova stagione.
Ma pochi giorni dopo la conclusione del campionato 1926/1927, un giornale romano dell’epoca, ll Tifone, uscì con un articolo – dal titolo “C’è del marcio in Danimarca” – in cui si contestava la regolarità della vittoria del Torino, sostenendo che avesse pagato un giocatore avversario con l’intento di garantirsi la vittoria nel derby di ritorno contro la Juventus, giocato il 5 giugno, quando il Torino si trovava in testa con tre punti di vantaggio su Bologna e Juventus. Viste ora, le circostanze in cui il giornalista del Tifone scrisse l’articolo, tale Renato Farminelli, sembrano perlomeno fantasiose, diciamo.
Farminelli scrisse infatti che poche ore dopo il derby fra Torino e Juventus, vinto dal Torino 2-1, nel palazzo di via Lagrange in cui era residente riconobbe e poi sentì un’animata discussione tra il dottor Nani, dirigente del Torino, e Luigi Allemandi, terzino della Juventus residente nel suo palazzo. Nella discussione riportata da Farminelli, Nani accusava Allemandi di non aver rispettato l’accordo stretto alcuni giorni prima della partita, e di non voler per questo pagargli la seconda parte della somma pattuita. Farminelli scrisse che il dottor Nani aveva in precedenza contattato Luigi Allemandi servendosi di uno studente siciliano, anche lui residente nel palazzo di via Lagrange, promettendogli dei soldi in cambio di una brutta prestazione nel corso della partita. Allemandi però, stando alle cronache dell’epoca, fu uno dei migliori in campo per la Juventus, e questo bastò al dottor Nani per ritenere saltato l’accordo.
In seguito all’articolo del Tifone, la Federazione Italiana Giuoco Calcio, presieduta da Leandro Arpinati, podestà di Bologna e vicesegretario del Partito Nazionale Fascista, aprì un’indagine, al termine della quale decise di revocare lo scudetto al Torino senza però assegnarlo al Bologna, secondo classificato, dato che con una scelta del genere Arpinati si sarebbe attirato critiche e accuse: fra le altre cose tifava Bologna e stava per diventare sottosegretario al ministero degli Interni.
In un comunicato ufficiale pubblicato il 4 novembre del 1927, la FIGC scrisse: “Il Direttorio federale, accertato anche per confessione del dottor Nani, consigliere del Torino, che egli ha versato al signor Gaudioso [lo studente siciliano], pure confesso, lire 25.000 destinate a taluno dei giocatori della Juventus per assicurare illegittimamente al Torino la vittoria nella gara del 5 giugno, delibera di togliere al Torino il titolo di campione assoluto d’Italia, per l’anno sportivo 1926/27”. Un’altra delle prove prese in considerazione dalla FIGC furono le parti di una lettera strappata recuperate da un cestino del palazzo di via Lagrange dal vice presidente della federazione, Giuseppe Zanetti, nel corso di una ispezione. Secondo la FIGC dell’epoca, nella lettera ricomposta veniva confermato l’avvenuto pagamento tra Nani e Allemandi.
Oltre alla revoca del titolo vinto dal Torino, la FIGC squalificò a vita Allemandi, ignorando apparentemente le voci sulla complicità di altri giocatori juventini. Dei fatti accaduti a Torino fra l’estate e l’autunno del 1927 si tornò a parlare nel dopoguerra, con il Torino che si adoperò per ottenere la riassegnazione del titolo contestando le circostanze e i modi in cui si svolsero le indagini e il “processo” sportivo, condotto in prima persona da uno dei dirigenti più rilevanti del partito fascista, con tutto quello che ne consegue. Negli anni Cinquanta, dopo la tragedia di Superga, la FIGC disse di essere disponibile ad aprire il caso, ma poi non se ne fece più nulla. Recentemente l’attuale presidente della FIGC, Carlo Tavecchio, ha reso la federazione nuovamente disponibile a discuterne. Nel 2015, in occasione della posa della prima pietra del nuovo Stadio Filadelfia, Urbano Cairo ha ribadito la volontà del Torino di riottenere il suo primo Scudetto. Pochi giorni fa, in occasione dell’inaugurazione del Filadelfia, ha detto alla stampa e ai tifosi presenti che la società ha fatto richiesta formale alla FIGC di istituire una commissione d’inchiesta.