Fare un festival vietato ai bianchi è razzista?
La sindaca di Parigi ha chiesto l'annullamento di un festival femminista riservato per la maggior parte a donne nere, facendo molto discutere
Domenica 28 maggio la sindaca di Parigi Anne Hidalgo ha fatto sapere su Twitter di aver chiesto l’annullamento di un festival femminista organizzato a Parigi perché «vietato ai bianchi». Il festival – si chiama “Nyansapo” – non è completamente interdetto ai bianchi o riservato ai neri, ma utilizza la pratica politica del separatismo, ancora oggi molto diffusa all’interno di alcuni movimenti politici: dei quattro spazi previsti uno solo è aperto a tutti, mentre gli altri sono riservati alle sole donne, alle sole donne nere e infine a donne e uomini neri. La posizione di Hidalgo, che fa parte del Partito Socialista, è condivisa da alcune associazioni antirazziste (secondo cui il separatismo non aiuta la lotta al razzismo) e da movimenti di estrema destra (secondo cui il separatismo è una sorta di razzismo al contrario), ma è invece stata molto criticata dai movimenti femministi che ritengono la pratica giusta e giustificata.
Nyansapo è un festival culturale organizzato dal collettivo afro-femminista Mwasi e dovrebbe tenersi dal 28 al 30 luglio a La Générale, un centro culturale nell’XI arrondissement concesso dall’amministrazione comunale di Parigi. Sul sito del festival è spiegato che Nyansapo è organizzato in quattro spazi: uno in cui è prevista la «non mescolanza per donne nere»; uno dedicato alla «non mescolanza per persone nere», dunque per persone nere indipendentemente dal sesso; un terzo per la «non mescolanza di donne che hanno subito atti di razzismo» e l’ultimo aperto a tutti e a tutte. “Non mescolanza” è un altro modo per definire il separatismo, cioè la pratica di organizzare spazi riservati a un certo tipo di persone ritenute in qualche misura vulnerabili o oppresse, e quindi bisognose di uno spazio protetto in cui non sussistano le normali condizioni di oppressione o vulnerabilità.
Nel caso di Nyansapo la “non mescolanza” sarebbe servita per creare spazi riservati a gruppi di persone a diverso modo vittime di forme di abuso o razzismo, e questo passa attraverso l’esclusione di altri gruppi di persone: tutti gli uomini in certi casi, tutti i bianchi in altri. Anne Hidalgo, la sindaca di Parigi, domenica sera ha scritto su Twitter di «condannare fermamente» l’organizzazione di un festival «vietato ai bianchi», aggiungendo che ne avrebbe chiesto l’annullamento e che avrebbe considerato la possibilità di perseguire le associazioni organizzatrici «per discriminazione». La Ligue internationale contre le racisme et l’antisémitisme (Licra, un’associazione che combatte contro il razzismo e l’antisemitismo in Francia) ha criticato il festival dicendo che la lotta contro il razzismo era diventata un alibi per un’affermazione identitaria e, per motivi diversi, lo stesso aveva fatto Wallerand de Saint-Just, membro del partito di estrema destra Front National, che venerdì scorso aveva pubblicato un comunicato in cui denunciava «un festival vietato ai bianchi in locali pubblici».
Domenica, dopo l’annuncio di Hidalgo, sui social network si è però diffuso l’hashtag #JeSoutiensMwasi, usato da chi sosteneva invece le ragioni del collettivo Mwasi, e la decisione di Hidalgo è stata contestata anche dai gestori di La Générale e dal collettivo Mwasi, che ha commentato dicendo: «Siamo addolorate nel vedere alcune associazioni antirazziste che si lasciano manipolare così». Chi difendeva l’organizzazione del festival ha fatto notare che il separatismo non è una pratica nuova, e che ridurla alla sola questione razziale è deviante. Il separatismo è considerato fondamentale per la nascita e l’evoluzione di certi movimenti politici, soprattutto a partire degli anni Sessanta: è stato usato come strumento di emancipazione nel 1960 dal movimento nero per i diritti civili negli Stati Uniti, e poi nel 1970 dalle femministe di mezzo mondo. Più di recente, una serie di incontri riservati alle donne e alle minoranze di genere si sono tenuti anche all’interno di “Nuit debout”, movimento nato in Francia lo scorso anno contro la legge sul lavoro voluta dall’ex presidente socialista François Hollande.
Già lunedì in tarda mattinata, sempre su Twitter, la sindaca Hidalgo ha scritto di aver trovato una mediazione con il collettivo Mwasi, spiegando che il festival verrà comunque organizzato a La Générale – in uno spazio pubblico, quindi – ma che gli eventi riservati a certi tipi di persone saranno organizzati in un posto diverso, in spazi privati.
Le festival organisé dans un lieu public sera ouvert à tous. Des ateliers non-mixtes se tiendront ailleurs, dans un cadre strictement privé.
— Anne Hidalgo (@Anne_Hidalgo) May 29, 2017
Cos’è il separatismo, dal punto di vista filosofico
Per comprendere che cos’è il separatismo praticato e pensato all’interno del festival va tenuta presente la storia dei movimenti femministi. Dopo la sua nascita e fino a un certo punto il femminismo, nei suoi vari orientamenti, non aveva considerato in modo specifico le problematiche delle donne nere o di altre minoranze e quando aveva fatto dei paragoni fra l’oppressione delle donne, sottintendendo “donne bianche”, e oppressione dei neri aveva ricompreso nella definizione “neri” sia gli uomini che le donne, indistintamente. Dalla seconda metà degli anni Settanta le donne nere che nei primi anni del femminismo avevano preso coscienza della loro specifica condizione di oppressione fondarono una loro corrente – la cui rappresentante più famosa è Angela Davis – arrivando anche a denunciare in alcuni scritti il razzismo del movimento femminista bianco e di classe media. Nacquero in quel periodo anche la corrente del femminismo lesbico, e quella di alcune minoranze latino-americane, solo per fare degli esempi: e tutti questi orientamenti (storicamente fondamentali per la lotta e l’acquisizione dei diritti dei soggetti coinvolti) iniziarono a esistere attraverso una pratica separatista.
Il separatismo femminista fu dunque uno strumento, non l’obiettivo, e consisteva nel sottrarsi per un certo periodo o in alcuni momenti alle relazioni con gli uomini, la cui presenza in quegli stessi ambiti pregiudicava i rapporti e quindi la piena e autentica espressione delle donne. La filosofa italiana Teresa de Lauretis, docente negli Stati Uniti, ricorda che «nel femminismo statunitense il separatismo era inizialmente separatismo dagli uomini, poi però il termine è stato usato per ogni forma di separatismo anche tra donne, per esempio separatismo delle donne lesbiche dalle donne eterosessuali o delle donne nere dalle donne bianche». Da subito il separatismo femminista venne criticato in quanto considerato una pratica politica identitaria, ma l’intenzione non era un’esclusione di qualcuno da qualcosa. L’esclusione era una conseguenza: necessaria, secondo molte attiviste che ancora oggi lo praticano.
Il separatismo nero funzionò allo stesso modo partendo dalla consapevolezza che le donne nere, oppresse in quanto donne e anche nere, dovevano lottare contro gli uomini in generale ma anche insieme agli uomini neri per la liberazione razziale: con i neri contro il razzismo, dunque, ma contro i neri contro il sessismo e il sistema patriarcale. Gli spazi del festival dovrebbero replicare, nelle intenzioni degli organizzatori, esattamente questi posizionamenti e comprendevano anche l’obiettivo finale: uno spazio di discussione comune, seppur come punto di arrivo.
Secondo le organizzatrici del festival di Parigi, chi lo criticava ha fatto confusione tra diverse forme di non mescolanza. C’è una non mescolanza subita, quella che viene chiamata segregazione, e nasce innanzitutto come imposizione all’interno di un sistema patriarcale contro le donne che vengono tenute fuori da una serie di diritti e di luoghi. C’è poi la mescolanza senza uguaglianza, all’interno della quale rimangono attivi molti meccanismi di dominazione, nonostante la mescolanza stessa e anzi talvolta grazie a essa: la sociologa francese Christine Delphy, citata da uno dei più importanti collettivi francesi “Osez le féminisme!”, fa l’esempio del paradosso della parità numerica come garanzia di parità sostanziale. Infine c’è la non mescolanza come scelta, cioè il separatismo, visto come necessario per l’auto-emancipazione sia che si parli di classi sociali, di razzismo o di patriarcato o di altro ancora.
Sempre Christine Delphy spiega che questa separazione torna ciclicamente nei movimenti politici poiché permette, a un certo punto, che l’esperienza della discriminazione e dell’umiliazione venga espressa senza timore di ferire i rappresentanti “buoni” del gruppo dominante e perché permette che il risentimento possa essere espresso. Il terzo guadagno del separatismo è infine evitare che si sviluppi una sorta di ammirazione degli oppressi da parte dei rappresentanti del gruppo dominante, e dunque un atteggiamento di vittimizzazione: «Nei gruppi misti, neri-bianchi, uomini-donne, è la visione dominante del pregiudizio subito dal gruppo dominato che tende a prevalere. Gli oppressi devono non solo rivolgere la loro lotta contro gli oppressori, ma devono prima definire quella stessa oppressione e loro stessi come soggetti dominati. Ed è per questo che la non mescolanza voluta deve essere la pratica di base di tutte le lotte: è solamente così che i momenti misti della lotta – che ci sono e che ci devono essere – non saranno suscettibili di sbandare verso una riproposizione dolce della dominazione».