A Marawi non si riesce ancora a sconfiggere l’ISIS
Storia e foto dell'operazione militare ordinata dal presidente filippino Duterte per liberare la città conquistata dagli estremisti
Da una settimana nella città di Marawi, nel sud delle Filippine, vanno avanti scontri molto violenti tra miliziani affiliati allo Stato Islamico (o ISIS) ed esercito filippino. Negli ultimi giorni sono stati uccisi altri 19 civili, facendo salire il numero dei morti dall’inizio delle violenze a 85. Gli scontri erano cominciati martedì scorso, quando i ribelli appartenenti al gruppo Maute, il cui obiettivo è la costruzione di un Califfato islamico nella regione, avevano conquistato un pezzo della città di Marawi, sull’isola di Mindanao: tra le altre cose avevano anche decapitato un capo della polizia, dato fuoco ad alcuni edifici, preso in ostaggio un prete cattolico e diversi fedeli e issato una bandiera dello Stato Islamico in città.
Attenzione, ci sono un paio di foto un po’ forti:
Lunedì il portavoce dell’esercito delle Filippine, Restituto Padilla, ha negato che i miliziani controllassero ancora metà del territorio di Marawi, come annunciato invece dal gruppo Maute. Secondo Padilla, le forze armate e la polizia delle Filippine hanno già riconquistato quasi tutta la città, «a eccezione di alcune aree che continuano a essere controllate» dai ribelli. Non è chiaro quanto andranno ancora avanti le operazioni militari e non si sa nemmeno dove si nasconda Isnilon Hapilon, considerato il leader dello Stato Islamico nelle Filippine e super-ricercato dalle forze di sicurezza nazionali. L’esercito, comunque, sospetta che Hapilon possa ancora trovarsi a Marawi. Hapilon, 51 anni, è uno dei “Most Wanted” degli Stati Uniti, cioè uno dei ricercati più importanti: l’FBI ha promesso 5 milioni di dollari di ricompensa in cambio di informazioni che possano portare alla sua cattura.
Intanto migliaia di persone hanno già lasciato Marawi, per scappare dalle violenze. Il giornalista Simon Tisdall ha scritto sul Guardian che la polizia filippina ha trovato i corpi di dieci uomini nella periferia di Marawi, uno di fianco all’altro. Gli uomini avevano le mani legate ed erano stati uccisi con dei colpi di pistola alla testa; su uno dei corpi era stato appeso un cartello con la scritta “munafik”, che significa “traditore”. Un portavoce della polizia ha detto che gli uomini erano stati fermati dai miliziani mentre cercavano di lasciare Marawi, e uccisi perché non avevano saputo recitare alcuni versi del Corano.
Secondo diversi analisti, Maute starebbe cercando di accreditarsi agli occhi dello Stato Islamico come principale gruppo jihadista dell’Asia sud-orientale. Fino a poco tempo fa i gruppi jihadisti filippini, compresi quelli che avevano rotto i rapporti con al Qaida per dichiararsi vicini allo Stato Islamico, non erano riusciti a ottenere grande attenzione dai vertici dell’ISIS. Di recente però le cose hanno cominciato a cambiare. La scorsa settimana lo Stato Islamico ha rivendicato la conquista di un pezzo di Marawi tramite Amaq, la sua agenzia di stampa semi-ufficiale, di fatto riconoscendo pubblicamente il ruolo di Maute nel jihadismo filippino. La situazione non ha provocato preoccupazioni solo nel governo di Manila, con la decisione del presidente Rodrigo Duterte di imporre la legge marziale sull’isola di Mindanao, dove si trova Marawi; anche alcuni paesi vicini, come per esempio Malesia, Indonesia e Singapore, temono che i miliziani dei gruppi estremisti dei loro paesi possano unire le forze sotto la bandiera di Maute, nel tentativo di destabilizzare i rispettivi governi e combattere più efficacemente il jihad.