Perché Israele attira così pochi pellegrini cristiani
Eppure è il posto dove è nato Cristo: il quotidiano Haaretz ha provato a darsi qualche risposta
Ogni anno centinaia di migliaia di persone vanno in Israele per ragioni legate alla religione cristiana. Più che turisti, si considerano “pellegrini”: sono cioè più interessati ai luoghi che hanno un legame con la vita di Gesù Cristo – che si è svolta interamente nell’arco dei duecento chilometri che vanno dal lago di Tiberiade, a nord, a Gerusalemme – che ai luoghi del turismo convenzionale, come spiagge e musei. Secondo una stima delle agenzie viaggi israeliane, ogni anno arrivano in Israele fra i 500mila e i 700mila pellegrini cristiani: un quarto del numero totale di turisti in Israele. Ma potrebbero essere molti di più: visto quanti sono i cristiani al mondo, secondo alcune stime raccolte da Haaretz potrebbero essere 10 milioni, una cifra 15 volte superiore alla stima più ottimista sulla loro presenza. Lo stesso giornale israeliano ha provato a mettere insieme i motivi per cui questo settore specifico del turismo non è ancora così sviluppato.
Un primo problema si intuisce dal nome stesso che i pellegrini cristiani usano per definire le mete del loro viaggio, “Terra Santa”. Oltre a essere una questione di sensibilità religiosa, c’entra anche la geopolitica: diversi luoghi legati alla vita di Gesù si trovano infatti in Cisgiordania o in zone palestinesi controllate da Israele come la parte est di Gerusalemme. Organizzare un tour che preveda alcune soste in queste zone, banalmente, significa accettare una mole aggiuntiva di burocrazia e la possibilità che le autorità israeliane impediscano l’accesso a questi posti per ragioni di sicurezza.
La Basilica della Natività, che si crede sia stata costruita sul luogo di nascita di Gesù, si trova per esempio a Betlemme, la prima importante città palestinese che si incontra a sud di Gerusalemme. Per via della presenza della Basilica e della storica presenza dei cristiani in città, Betlemme è la città più attrezzata a gestire il turismo dei pellegrini: ha 55 hotel, qualche decina di case disponibili su Airbnb e un centro storico con negozi di souvenir, ristoranti e un centro informazioni per turisti. Nonostante questo, rimane un posto piuttosto scomodo da raggiungere: i mezzi pubblici e i collegamenti con Israele sono poco frequenti, e i controlli ai checkpoint e l’atteggiamento di sospetto delle autorità israeliane verso chi va in Cisgiordania scoraggia qualche pellegrino. È un atteggiamento che dura ancora oggi: qualche settimana fa il ministero del Turismo israeliano aveva proibito alle agenzie viaggi israeliane di accompagnare i turisti in Cisgiordania, salvo poi bloccare l’ordinanza. Parlando con Haaretz, la sindaca Vera Baboun ha spiegato: «Betlemme è completamente sicura, ma i checkpoint con Gerusalemme danno l’idea che non lo sia. Vorrei che fossero rimossi, e che i turisti possano passare liberamente».
La Basilica della Natività è in ristrutturazione da circa tre anni, cosa che ha reso ancora più difficoltoso l’accesso per turisti e pellegrini (THOMAS COEX/AFP/Getty Images)
Altri ritengono che sia un problema di priorità: secondo Noga Collins-Kreiner, un esperto di turismo religioso che insegna all’università di Haifa, il governo israeliano non ha mai fatto investimenti per attrarre questo tipo di turismo, al contrario di altre popolari mete di pellegrinaggi cristiani: «questa fetta di mercato non è mai stata rilevante, forse per il carattere ebraico dello stato, forse perché alcune delle principali attrazioni come Kafr Kana [la città dove secondo i Vangeli Gesù convertì l’acqua in vino] sono lontani dal centro del paese. Forse alcuni sono preoccupati delle possibili resistenze dei partiti legati agli ebrei conservatori, ma forse c’entra anche la trascuratezza delle periferie».
Kafr Kanna si trova in una zona piuttosto remota nel nord di Israele: per arrivarci da Tel Aviv ci vogliono due autobus, e più di due ore di tempo, nonostante disti poco più di 100 chilometri
La carenza di infrastrutture è un altro problema noto da tempo. Hana Bendcowsky, che lavora come guida per pellegrini cristiani, spiega che «i guai iniziano col Monte Tabor», cioè dove secondo i Vangeli è avvenuta la cosiddetta “trasfigurazione di Gesù”. «È così difficile costruire una strada agevole, con un parcheggio per i pullman? Perché i turisti devono dipendere dai trasporti locali, che hanno una capacità di 200 persone per volta?». Un altro esempio molto familiare per chi ha visitato Gerusalemme: mentre il quartiere ebraico della Città Vecchia ha decine di bagni pubblici, il quartiere cristiano – che fra le altre cose ospita la chiesa dove secondo la tradizione è seppellito Gesù Cristo – ne ha solamente due.
Il direttore generale del ministero del Turismo, però, ha spiegato ad Haaretz che considerare la questione in maniera così schematica – da una parte i turisti “normali” e dall’altra i pellegrini – è sbagliato, perché non inquadra bene il flusso più recente di turisti:
«Abbiamo realizzato che quando consideravamo il nostro target unicamente come “religiosi”, ci scontravamo contro un muro: attiravamo solo gli anziani. I più giovani vogliono visitare la Terra Santa, ma anche fare un po’ di vacanza. Se i leader religiosi ci chiedono di passare un po’ di tempo sulle spiagge di Tel Aviv, è un grosso segno. Ogni giorno vediamo sempre più turisti che non sono definiti dall’etichetta di “pellegrini” ma che combinano la visita ai luoghi religiosi con altre cose. Non possiamo misurare quante sono queste persone, ed ecco che le cifre [sul turismo religioso] sono fuorvianti»