A Mindanao c’è la legge marziale
Il presidente delle Filippine l'ha imposta a causa degli scontri tra esercito e militanti islamisti
La sera di martedì 23 maggio il presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, ha imposto per due mesi la legge marziale nell’isola di Mindanao, la più grande nel sud del paese. Duterte, soprannominato il “Punitore”, si trovava in Russia per una visita ufficiale e ha preso la decisione (prevista dalla costituzione) dopo una giornata di guerriglia urbana a Marawi tra l’esercito e alcuni gruppi di ribelli legati al fondamentalismo islamico e alla pirateria marittima che chiedono maggiore autonomia. Marawi è una città di circa 200 mila abitanti per lo più musulmani.
Durante gli scontri, secondo quanto ha riferito il ministro della Difesa filippino da Mosca, Delfin Lorenzana, sono morti due soldati e un poliziotto mentre altri dodici sono rimasti feriti. Dopo essere stato eletto, poco meno di un anno fa, Duterte ha chiesto alle forze armate di eliminare alcuni gruppi di ribelli di Mindanao: il gruppo storico Abu Sayyaf e l’altro, nato nel 2013, chiamato Maute. L’operazione è stata però meno facile del previsto. Lo scorso gennaio l’esercito aveva attaccato i militanti di Maute nella loro roccaforte dopo aver ricevuto delle segnalazioni sulla presenza del leader di Abu Sayyaf, Isnilon Hapilon, che si è autoproclamato “emiro” e rappresentante dello Stato Islamico nelle Filippine. Secondo alcune notizie nell’attacco di gennaio Isnilon Hapilon sarebbe rimasto ferito e la guerriglia di ieri sarebbe la diretta conseguenza di questo episodio.
Marawi Mayor: Police station, city jail not burned https://t.co/8iZ7HrDzHb pic.twitter.com/LA8hFDYBXG
— CNN Philippines (@cnnphilippines) May 24, 2017
Da Mosca, il ministro della Difesa ha spiegato che Isnilon Hapilon era a Marawi e che diversi militanti a lui vicini erano riusciti a infiltrarsi «facendosi passare per dei civili, perché a Marawi ci sono molti loro sostenitori». Quando l’esercito si è avvicinato al nascondiglio per arrestare Isnilon Hapilon sono iniziati i combattimenti: «Non sapevamo che fosse protetto da un centinaio di combattenti armati». I ribelli avrebbero a quel punto chiamato rinforzi occupando l’ospedale, il municipio, la prigione della città, dando fuoco a diversi edifici e issando anche una bandiera dello Stati Islamico su almeno una macchina della polizia. La situazione a Marawi è tutt’ora critica e le operazioni sono ancora in corso: l’intera città è senza luce. Martedì l’esercito ha inviato dei rinforzi e sta cercando di non perdere terreno: «Saremo in grado di contenere l’avanzamento dei ribelli nei prossimi due giorni», ha assicurato il ministro della Difesa.
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Nel corso della sua storia e fin dagli anni Novanta, il gruppo Abu Sayyaf ha rapito centinaia di filippini e di cittadini stranieri per finanziarsi con i riscatti. A fine febbraio i militanti avevano decapitato un uomo tedesco che era tenuto in ostaggio dal novembre scorso e nel 2016 avevano ucciso due cittadini canadesi sempre dopo che le richieste di riscatto non erano state soddisfatte. Il gruppo è stato anche accusato di attacchi terroristici compreso quello del 2004 a un traghetto a Manila Bay in cui erano morte più di 100 persone. Secondo alcuni analisti l’attacco di questi giorni a Marawi è una mossa di pura propaganda decisa da questi gruppi ancora minori per ottenere attenzione a livello internazionale.