Quindi sembra che Trump abbia bruciato una fonte di Israele
Le informazioni riservate che ha dato alla Russia riguarderebbero una spia infiltrata nello Stato Islamico: con quali conseguenze?
Da ieri sappiamo che il paese che aveva fornito le informazioni altamente confidenziali che Donald Trump ha condiviso con una delegazione russa in visita alla Casa Bianca, creando un grosso caso politico, è Israele. Il sospetto era circolato quasi subito ed è stato successivamente confermato da vari giornali americani: l’intelligence israeliana è una delle più potenti al mondo, ed è anche nota per le sue operazioni che alcuni considerano spericolate. Il governo israeliano non ha confermato di aver fornito le informazioni ma raramente commenta pubblicamente cose del genere. In molti, ora si stanno chiedendo se e quali conseguenze ci saranno sui rapporti fra Israele e gli Stati Uniti, almeno a livello di intelligence.
Cosa sappiamo sull’operazione israeliana
Sulle informazioni condivise da Trump non c’è alcuna notizia ufficiale, e i pochi dettagli disponibili sono contenuti in un articolo pubblicato ieri sera da ABC News che cita diversi funzionari ed ex funzionari governativi americani. Secondo queste fonti, Israele era riuscito a inserire una propria “spia” dentro lo Stato Islamico: questa persona «ha fornito informazioni su una trama dell’ISIS per abbattere un aereo civile diretto verso gli Stati Uniti con una bomba su un computer portatile, che secondo alcuni funzionari americani sarebbe riuscito a passare i controlli all’aeroporto», scrive ABC News. Un altro dettaglio importante lo ha aggiunto il New York Times: nel colloquio coi russi, Trump ha specificato la città dove è stata raccolta questa informazione, che si trova in Siria, assieme ad altri “dettagli” sul piano dello Stato Islamico. Diversi giornali americani hanno deciso di non pubblicare informazioni più dettagliate su questo piano per evitare di mettere ulteriormente a rischio la sicurezza nazionale, come spiegato loro da alcuni funzionari. I principali giornali israeliani, per ora, non hanno pubblicato altre informazioni sul piano.
La cosa più vicina a una conferma è arrivata ieri durante una conferenza stampa del consigliere americano per la sicurezza nazionale H.R. McMaster, secondo cui Trump e i russi «hanno discusso di una serie di minacce ai due paesi, incluse quelle che riguardano l’aviazione civile». Una minaccia del genere era nota ai funzionari americani ed europei da alcune settimane, tanto che il 10 maggio il Daily Beast ha pubblicato una notizia secondo cui il divieto di portare dei computer portatili in cabina – già attivo da mesi per i voli diretti negli Stati Uniti da Nord Africa e Medio Oriente – sarebbe stato esteso anche in Europa.
Fin da subito si sospettava che la fonte delle informazioni fosse Israele. Nonostante formalmente non abbia partecipato alla guerra in Siria – un paese con cui comunque non ha mai avuto rapporti diplomatici – le sue agenzie di intelligence sono attive sin dall’inizio del conflitto per evitare che la guerra abbia conseguenze sulla sua sicurezza. Il più grande rivale di Israele nell’area, cioè l’Iran, è alleato della Russia in Siria; e in questi anni l’esercito israeliano ha bombardato alcuni obbiettivi militari in Siria legati a Hezbollah, un gruppo sciita estremista alleato del presidente siriano Bashar al Assad e storico rivale di Israele (contro cui nel 2006 ha anche combattuto una guerra nel sud del Libano). Sappiamo inoltre che Israele considera lo Stato Islamico una minaccia rilevante per la sua sicurezza: soprattutto nella regione egiziana del Sinai, dove controlla alcuni territori e da dove ad esempio un mese fa ha lanciato un razzo nella regione israeliana di Eshkol. Il fatto che Israele stia conducendo delle operazioni contro lo Stato Islamico, quindi, non è così strano.
Le possibili conseguenze
L’articolo di ABC News, fra le altre cose, dice che a questo punto «la vita di una spia israeliana dentro l’ISIS è a rischio». L’operazione che ha prodotto le informazioni viene ormai data per compromessa da diversi funzionari e analisti, che però non hanno a disposizione molti dettagli in più per giudicare come stanno le cose (stiamo parlando pur sempre di un’operazione di cui erano a conoscenza in pochissimi, anche fra i dirigenti delle agenzie di intelligence americane). Qualcosa di più preciso si può dire sulle conseguenze che potrebbe avere la decisione di Trump sui rapporti con Israele.
Nonostante stamattina il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman abbia detto che i rapporti con gli Stati Uniti continueranno a essere «senza precedenti, nel contributo che danno alla nostra forza», circola qualche preoccupazione sulla futura cooperazione fra le intelligence dei due paesi, che negli anni dell’amministrazione Obama è stata eccellente (è una delle poche cose che riconoscono anche i molti critici di Obama sui suoi rapporti con Israele).
Ilan Goldenberg, un ex funzionario e analista per il rispettato centro studi americano Center for a New American Security, ha spiegato che il danno causato dalle affermazioni di Trump è “profondo”. Goldenberg spiega che la cooperazione fra membri dell’intelligence americana e israeliana è preziosa per entrambi i paesi soprattutto per la franchezza e confidenzialità con cui è stata gestita. «Ora però quella fiducia è andata», scrive Goldenberg: «i funzionari israeliani si fideranno ancora dei loro colleghi americani, ma sapranno anche che ogni informazione che condivideranno con loro potrebbe arrivare al presidente americano. Di conseguenza non hanno scelta se non diminuire la condivisione e la sincertà, cosa che danneggerebbe questi scambi», e in ultima analisi un minore livello di sicurezza garantito dai due paesi. «Il risultato è che gli americani e gli israeliani saranno meno sicuri di prima».
https://twitter.com/ilangoldenberg/status/864609918636224512