Il gioco di Zeman
Le idee e il lavoro che hanno occupato per tutta la vita un uomo che oggi compie settant'anni, e che hanno cambiato il calcio che vediamo
di Pietro Cabrio
«Non credo il mio gioco sia il migliore. Però è mio, ci ho passato la vita, ho cercato di fare il meglio possibile, ho cercato di migliorare, ho cercato di fare di tutto per poter dare soddisfazioni a chi ci viene a vedere, e anche ai giocatori, che se si accorgono che riescono a migliorarsi sono contenti anche loro». Da allenatore di calcio, Zdeněk Zeman è diventato così noto perché ha studiato ed elaborato un sua precisa e originale idea di gioco. Con quest’idea è partito ventenne dalla Cecoslovacchia, è venuto in Italia, nel campionato in cui si vedeva il miglior calcio del mondo e in cui ci giocavano i migliori calciatori del mondo. È partito dalle serie semiprofessionistiche siciliane – Bacigalupo, Cinisi, Carini – ed è arrivato a raggiungere il secondo posto della Serie A, con la Lazio nel 1995, negli anni in cui la Serie A era il miglior campionato del mondo.
Non ha mai vinto niente, ha ottenuto grandi vittorie e sconfitte rovinose, si è attirato a sé le antipatie di molti, soprattutto per le critiche e le accuse nei confronti della Juventus, ma ha ispirato decine di altri allenatori, lanciato moltissimi giocatori ed è diventato uno degli allenatori più importanti nella storia del calcio italiano. Tra quelli che ha influenzato ci sono anche ex giocatori da lui allenati, che ora sono a loro volta fra gli allenatori più apprezzati, anche in Serie A, come nel caso di Eusebio Di Francesco del Sassuolo. Ancora oggi, giorno in cui compie settant’anni, Zeman allena e fa parlare di sé pur trovandosi a Pescara, una piccola squadra di provincia già matematicamente retrocessa in Serie B.
«Ci ha detto che nel primo tempo avevamo fatto riscaldamento, e che era arrivata l’ora di cominciare a giocare»
Andrea Seno, centrocampista del Foggia, al termine della partita vinta 2-1 contro la Juventus di Trapattoni.
La storia di Zeman è iniziata da Praga, la città in cui nacque settant’anni fa. Nonostante quelli fossero anni in cui l’Europa era sostanzialmente divisa in due, e la Cecoslovacchia facesse parte dell’area sotto l’influenza sovietica, l’Italia e il calcio italiano hanno sempre accompagnato la storia della sua famiglia. Suo zio, Čestmír Vycpálek, era infatti un noto calciatore cecoslovacco, che dopo i primi anni di carriera passati allo Slavia, una delle principali squadre di calcio di Praga, si trasferì nel campionato italiano, per giocare prima con la Juventus e poi con Palermo e Parma, fino al suo ritiro, avvenuto alla fine degli anni Cinquanta.
Grazie allo zio Čestmír, Zeman si avvicinò sempre di più allo sport e al calcio. Non lo vide mai giocare veramente, perché quando si ritirò aveva poco più di dieci anni, ma fu presente quando iniziò la sua carriera da allenatore, partendo da Palermo e dalla Sicilia, dove si stabilì una volta ritiratosi, fino ad arrivare ad allenare la Juventus, dal 1971 al 1974. Intanto, a Praga, Zeman aveva vent’anni e giocava ad hockey, pallavolo e pallamano. Oltre a questo, passò degli anni a giocare nelle giovanili dello Slavia Praga, come fece a suo tempo lo zio Čestmír.
«Abbiamo preso due gol, che è una macchietta, però nell’insieme penso che possiamo essere soddisfatti»
Zdeněk Zeman, allenatore della Lazio, dopo aver vinto 8-2 contro la Fiorentina.
È negli anni passati nelle giovanili dello Slavia Praga — dove non andò oltre qualche presenza con la primavera — che in Zeman cominciò a formarsi la sua idea di calcio. In quegli anni infatti erano ancora forti le idee del “calcio danubiano”, uno stile di gioco introdotto e sviluppatosi nei paesi in cui scorre il Danubio nella prima metà del Novecento e poi perfezionato negli anni a venire, fino a raggiungere il massimo della sua espressione fra gli anni Cinquanta e Sessanta, per esempio con l’incredibile Ungheria di Ferenc Puskás. Lo stile di calcio danubiano fu il primo passo del calcio europeo verso la modernità: introdusse la spettacolarità nel gioco, senza tralasciare la sua efficacia. Le squadre della regione danubiana, dai club alle nazionali, in controtendenza con il resto d’Europa iniziarono a preferire le azioni costruite tramite più passaggi, più corti e più veloci, ai tradizionali lanci lunghi, e ad includere più giocatori nei movimenti offensivi della squadra. In poche parole, un calcio più tecnico e di squadra. Il modulo per eccellenza del calcio danubiano fu il 4-3-3. Nei campionati cecoslovacchi, giovanili comprese, si è giocato così per decenni. Zeman giocò così nelle giovanili dello Slavia Praga.
Allo stile di gioco danubiano, Zeman ha aggiunto nel tempo alcune caratteristiche del calcio olandese, l’altro grande stile di gioco introdotto in Europa nella metà del Novecento, quello dell’Ajax, della nazionale olandese e di Johan Cruijff, per intenderci. Le introduzioni più importanti hanno riguardato i movimenti continui dei giocatori in campo, tanto da rendere il gioco di squadra meno rigido e più fluido. Nelle idee di Zeman, il 4-3-3 abbinato ai continui movimenti in campo dei giocatori dovrebbe permettere alle sue squadre di creare un “triangolo” dopo l’altro, cioè i passaggi fra due o più giocatori le cui direzioni “disegnano” un triangolo in campo, per avanzare e aggirare gli avversari. Zeman, inoltre, dà molta importanza al gioco creato sulle fasce esterne del campo e ai passaggi in verticale; quando attacca porta nella metà campo avversaria anche sette o otto giocatori, rischiando di scoprirsi parecchio in difesa. Queste sono le idee alla base del calcio di Zeman, a cui si aggiunge poi una preparazione atletica che – quando funziona, e non sempre funziona – permette alle sue squadre di correre mediamente molto più delle altre, soprattutto nelle stagioni più calde. Ci si può fare meglio un’idea guardando un’azione del Pescara nella stagione 2011/2012, l’ultimo grande successo di Zeman.
«Per me basta che si vince contro l’Inter a Milano e vuol dire che si può giocare ancora così»
Zeman alla domanda se il suo calcio fosse ancora moderno e all’avanguardia, dopo aver vinto 4-1 a San Siro contro l’Inter.
Quando si parla di Zeman lo si fa spesso definendolo un grande allenatore oppure un allenatore sopravvalutato e perdente, senza grandi vie di mezzo. Ci sono allenatori ed ex giocatori che non lo apprezzano particolarmente, per le rigidità dei suoi metodi e per le polemiche in cui è stato coinvolto negli anni, tutte riguardanti la Juventus. E ce ne sono altri che appena hanno l’occasione ne parlano benissimo, come per esempio fece Pep Guardiola nel 2011 commentando i suoi successi a Pescara, quando disse: «Mi sembra che da sempre veda il calcio nella stessa maniera, lui va avanti. E trovare gente così per il calcio fa molto bene. Le sue squadre sono belle da vedere, rispettano la gente. Vanno avanti, non importa con chi giocano».
Per Zeman soltanto con il bel gioco si vincono le partite, perché «il risultato è casuale, la prestazione non lo è». Questa filosofia in Italia è tradizionalmente minoritaria, dato che nel gergo calcistico “giocare all’italiana” significa concentrarsi soprattutto sulla difesa e fregarsene dello spettacolo. Per questa mancanza di cinismo Zeman viene spesso accusato di essere soltanto un esteta del pallone e uno a cui in fondo non importa davvero vincere.
«Oggi è successo qualcosa di talmente contraddittorio che è difficile per noi, per l’allenatore ma anche per i giocatori darsi una spiegazione. Abbiamo subito due ganci in faccia, al mento, e siamo andati giù»
Walter Sabatini, direttore sportivo della Roma, dopo la sconfitta in casa contro il Bologna alla prima di campionato.
Come si è potuto vedere nella sua carriera, Zeman ha sempre avuto bisogno di tempo e fiducia per poter fare qualcosa di buono nelle squadre in cui ha allenato. Probabilmente questo è il motivo principale – forse anche il suo più grande limite – per cui non ha ottenuto i successi che tutti si aspettavano da lui quando ha allenato alcune delle più importanti squadre di calcio in Italia, la Lazio fra il 1994 e il 1997 e la Roma in due diverse occasioni, l’ultima nella stagione 2012/2013, quando venne esonerato a febbraio dopo metà stagione in cui del suo calcio non si vide quasi niente.
E non è un caso che i suoi più importanti risultati li abbia ottenuti con squadre che non avevano nulla da perdere, come nel caso del famoso “Foggia dei miracoli”, con cui fra il 1989 e il 1994 venne promosso in Serie A, terminando per due anni al nono posto. Il Foggia fu la sua dimensione ideale, in quanto squadra senza alcuna necessità di fare classifica se non quella di salvarsi, votata allo spettacolo senza essere costretta a vincere sempre.
Oggi, a settant’anni compiuti, Zeman è tornato da poche settimane ad allenare il Pescara in Serie A, anche se la squadra è già matematicamente retrocessa in Serie B. L’obiettivo, suo e della società, è riportarla subito in Serie A, per poi cercare di restarci più di un solo anno.