I “millennials” di Renzi
Chi sono e cosa pensano i "quasi" under 30 che il PD ha messo nella sua Direzione nazionale per riconquistare i voti dei giovani
«All’inizio pensavo fosse uno scherzo», racconta al Post Mirko Boschetti, uno studente di giurisprudenza di 22 anni. Domenica scorsa, stava studiando diritto civile nell’appartamento di Milano che condivide con un altro studente, quando poco dopo le 17 il suo telefono ha iniziato a suonare. Pochi istanti prima, a Roma, dove era in corso l’assemblea del PD, il presidente del partito Matteo Orfini aveva appena letto la lista dei venti “millennials”, un gruppo di giovani under 35 che Matteo Renzi ha nominato alla Direzione nazionale del partito. Tra i nomi letti da Orfini c’era anche quello di Boschetti.
L’iniziativa di Renzi è arrivata a sorpresa, domenica 6 maggio, nel corso dell’Assemblea nazionale che lo ha proclamato nuovo segretario del PD. Quasi nessuno dei venti “millennials”, un nome scelto dallo stesso segretario, era stato contattato prima dell’annuncio: molti di loro hanno raccontato al Post di averlo saputo nel momento stesso in cui il presidente Orfini ha letto i loro nomi di fronte all’assemblea. Tra loro ci sono un sindaco e un consulente di un ministero, diversi ricercatori, qualche lavoratore e molti studenti. La più giovane del gruppo ha 19 anni, il più anziano è quasi fuori dalla categoria e ne ha 34. Sono 11 femmine e 9 maschi. Tra loro, sedici hanno appoggiato Renzi alle primarie, mentre quattro sono stati indicati dai suoi avversari, Michele Emiliano e Andrea Orlando.
Il loro lavoro, ha detto Renzi, consisterà nell’aiutare il partito a ricucire il rapporto tra il PD e i giovani. Non sarà un compito facile. Le ultime elezioni mostrano che i voti dei giovani sono da tempo passati in massa al Movimento 5 Stelle. Secondo uno studio di LaVoce.info, alle elezioni politiche del 2013 il partito di Grillo ha ottenuto quasi un voto su due nella fascia 18-24 anni, mentre il PD ha faticato a ottenerne il 30 per cento. Un altro studio, realizzato dal Centro italiano studi elettorali dell’Università Luiss, mostra che in città come Roma e Palermo il Movimento 5 Stelle ha ottenuto tra il doppio e il quadruplo dei voti dei giovani rispetto al PD. Al referendum costituzionale dello scorso dicembre, il 68 per cento degli under 35 ha votato No, contro le indicazioni del Partito Democratico e del suo segretario.
«È sbagliato dire che è solo un problema di comunicazione e scarsa presenza sui social», dice Boschetti, che da anni è un attivista del PD e a Milano ha coordinato il settore sicurezza del partito cittadino. «La maggior parte dei miei amici sono lontani dalla politica perché dal loro punto di vista non si occupa delle loro difficoltà». La soluzione, dice: «È una politica più presente: ci sono parlamentari che compaiono nei territori solo una volta ogni cinque anni per chiedere di essere votati. Dall’altro lato c’è Di Battista che gira in motorino l’Italia e dicendo sciocchezze e banalità disarmanti riempie le piazze di ragazzi interessati».
Il Post ha inviato una serie di domande e intervistato diversi dei “millennials” scelti dal PD, e la crisi locale del partito è uno dei problemi che vengono indicati più spesso per spiegare la disaffezione dei giovani. Tra i venti “millennials”, uno che il cosiddetto “territorio” lo conosce bene è Umberto Costantini, sindaco di Spilamberto, una città di 12 mila abitanti in provincia di Modena. Costantini ha 29 anni, è gay, è uno scout e sua nonna era un’emigrata somala. Domenica scorsa Costantini era seduto in platea, vicino alla deputata Giuditta Pini, 32 anni, anche lei di Modena, quando Renzi ha parlato per la prima volta dei “millennials”: «Abbiamo un problema con i ragazzi, è vero, e per risolverlo vanno coinvolti. Sapete che il segretario può scegliere venti nomi per la direzione, propongo che i 20 nomi siano ragazzi della generazione Millennials che hanno meno di 30 anni». Costantini ha scritto un messaggio a Renzi – che sostiene dal 2010 – dicendogli di essere pronto a partecipare. Poche ore dopo il suo nome è stato letto da Matteo Orfini insieme a quello degli altri 19 “millennials” scelti dal segretario.
Nonostante sia un “renziano della prima ora”, Costantini ritiene che su una serie di temi legati ai giovani il PD avrebbe potuto fare di più negli ultimi anni: «Sulle pensioni bisognerebbe avere più coraggio. Renzi di coraggio ne ha, ma dovrebbe avere anche quello di toccare le pensioni. Su questo bisogna dare più fiato al presidente dell’INPS Tito Boeri, che è un paladino in questa lotta di riequilibrio». Nel futuro che vorrebbe: «Non c’è più il nonno che dà la paghetta al nipote, che a trent’anni è piuttosto umiliante, ma il nipote che ha le risorse per prendersi cura dei propri nonni».
Il luogo naturale dove questi temi dovrebbero venire elaborati e proposti al resto del partito è l’assemblea dei Giovani Democratici (GD), l’organizzazione giovanile del partito. Parecchi dei venti “millennials” sono o sono stati dirigenti dei GD e molti di loro non sono del tutto soddisfatti di come il partito li ha trattati. «Il partito potrebbe utilizzare meglio e di più la sua giovanile», dice Ludovica Cioria, 28 anni, laureata in Scienze politiche e segretaria regionale dei Giovani Democratici del Piemonte. Per esempio molti “millennials” dicono che sui temi che riguardano i giovani il partito non interpella i GD e a questo proposito citano spesso il caso dell’istruzione: «La riforma della scuola», dice Cioria, «ha riguardato principalmente il personale docente e le strutture organizzative scolastiche, che non sono aspetti puramente giovanili».
«Fatichiamo ad attirare i giovani perché i vertici di partito sono lontani dalle nostre generazioni», ha detto al Post Giorgia Bellucci, 28 anni, sostenitrice di Renzi alle primarie, segretaria dei Giovani Democratici: «E anche quando riusciamo a coinvolgerli, sono poche le persone nel partito che credono in noi e ci danno incarichi di responsabilità. Non è giusto essere chiamati solo alle feste dell’Unità, a fare volantinaggio e presidiare i banchetti». Bellucci spiega che il suo caso è una felice eccezione: oltre ad aver coordinato la mozione locale a favore di Renzi è anche consigliera comunale a Rimini. Per molti altri ragazzi, invece, trovare spazio è molto più difficile.
Alcuni “millennials” molto severi con l’attuale segretario: «Il PD è un partito di governo e governare significa anche essere responsabili per le condizioni in cui si trova il paese», dice Dario Costantino, 24 anni, laureato in Scienze politiche e sostenitore di Michele Emiliano alle primarie. Oggi lavora in una startup di commercio online con un ragazzo siciliano: «Il nostro paese è uno di quelli che hanno il più alto tasso di diseguaglianza generazionale. Secondo me il PD viene identificato da un pezzo della nostra generazione come uno dei responsabili di questa situazione. Se tu governi e le diseguaglianze rimangono, allora è normale che i giovani te ne diano la colpa. Se si vuole recuperare il voto dei giovani bisogna lavorare su delle politiche da un punto di vista espansivo». La questione generazionale, secondo lui, «si risolve creando lavoro e creando lavoro stabile. Il problema del Jobs Act non è che ha introdotto il contratto a tutele crescenti, ma che non ha eliminato le altre numerose forme di precariato».
Costantino è uno dei pochi “millennials” che parlano con familiarità di Gramsci e dell’economista Thomas Piketty. Per gran parte dei altri la differenza tra sinistra e destra, seppur ancora presente, è molto sfumata. Aiutare i più deboli e cercare di non lasciare nessuno indietro, sono valori che molti “millennials” identificano come “di sinistra”. Ma per molti di loro, i confini di questa parte politica si sono allargati al punto di non rappresentare più uno strumento di classificazione utile. «Essere di sinistra oggi significa voler bene al proprio paese, sentirsi cittadini europei, guardare al futuro con coraggio e senza paura», ha scritto al Post uno di loro.
Anche se in quanto a idee politiche sono un gruppo eterogeneo, i “millennials” hanno proposte concrete e richieste chiare per il resto del partito. Il dubbio di molti è se riusciranno a farsi sentire o se il partito continuerà a non ascoltarli. In altre parole, se l’iniziativa di nominare venti “millennials” è un’apertura concreta nei confronti delle esigenze dei più giovani del partito, o se è servita al segretario Renzi soltanto per avere qualche titolo di giornale. L’inizio di questo esperimento non è stato dei migliori. La lista dei “millennials” è stata composta all’ultimo momento, pochi minuti prima di essere letta pubblicamente. Come mostrano i racconti dei “millennials”, a quasi nessuno di loro è stato chiesto in anticipo se avrebbe accettato o meno l’incarico. L’intera iniziativa sembra sia stata improvvisata nel corso della giornata di domenica.
Sulla carta la Direzione nazionale sembra l’organo giusto dove i “millennials” possano esprimere le loro idee sulla giovanile del PD o sul sistema pensionistico: per statuto è il luogo dove dovrebbe essere discusso l’indirizzo politico del partito. Nel corso degli ultimi tre anni, però, la Direzione è stata più spesso il teatro di scontri interni che il luogo di discussione del programma. Renzi ha quasi sempre annunciato e discusso le sue iniziative in altri luoghi, e si è recato in Direzione soprattutto per ottenere un voto favorevole da parte dei suoi delegati per avviare quelle iniziative.
I “millennials” la pensano diversamente. «Io resto ottimista e spero di avere un impatto», dice Costantini, il sindaco di Spilamberto. «Non so quanti si siano mai alzati in Direzione nazionale per fare un intervento dicendo: “Signori, il sistema retributivo è una rapina per le nuove generazioni e bisogna passare a un contributivo per tutti”». Secondo altri, la responsabilità di far funzionare questo esperimento è di chi lo ha proposto: «Starà al segretario Renzi e al presidente Orfini dare più importanza alla Direzione nazionale», dice Caterina Conti, 29 anni e membro della segreteria dei Giovani Democratici. Conti è una dei due “millennials” indicati dalla mozione Orlando. Anche se non risparmia critiche a Renzi, oggi apprezza la scelta di includere tra i venti ragazzi anche esponenti dell’opposizione interna: «Ora siamo in venti in una Direzione formata da 208 membri. Siamo il 10 per cento: starà a noi dimostrare di essere all’altezza».