Cosa facciamo con i seggi britannici del Parlamento europeo?
Ci sono tre proposte in campo, tutte rischiose: redistribuirli tra gli altri paesi, eliminarli del tutto e poi un'idea un po' utopica
Il Regno Unito ha ufficialmente iniziato i negoziati per mettere in atto Brexit ed entro il marzo del 2019, a meno di un voto unanime di tutti i paesi membri, sarà ufficialmente fuori dall’Unione Europea. Questo significa, tra le altre cose, che non parteciperà più alle elezioni europee, aprendo un’ulteriore questione: cosa ne sarà a quel punto dei 73 seggi che il Regno Unito ha oggi al Parlamento europeo, la terza delegazione più grande insieme con quella italiana.
La soluzione più semplice, ha spiegato il sito Politico.eu, è apparentemente redistribuire i seggi in maniera proporzionale tra gli altri 27 membri rimanenti, ma è una soluzione complicata da mettere in pratica. In teoria la distribuzione dei seggi tra i vari paesi avviene in base alla popolazione: più un paese è popoloso, più alto è il numero dei suoi deputati. Se però il criterio venisse seguito in maniera rigida, il parlamento sarebbe completamente dominato dai deputati dei grandi paesi, come Germania, Francia e Italia, mentre gli stati più piccoli, come Malta, rischierebbero di non avere nemmeno un rappresentante.
Per questa ragione, come ha spiegato in un rapporto il centro studi Bruegel, il criterio adottato nella distribuzione ha un correttivo che lo rende inversamente proporzionale e fa sì che i paesi piccoli siano sovrarappresentati. Per esempio i maltesi hanno un deputato ogni centomila abitanti, mentre i francesi ne hanno uno ogni milione. Da tempo gli studiosi pensano a soluzioni matematiche che permettano ai piccoli stati di essere rappresentati adeguatamente in Parlamento, senza però distorcere in maniera troppo elevata la proporzionalità nella distribuzione dei seggi. Redistribuire i seggi britannici senza prima mettersi d’accordo su una di queste formule avrebbe la conseguenza di incrementare ulteriormente lo scarso equilibrio tra le varie rappresentanze al Parlamento.
Se non fosse possibile redistribuire i seggi in maniera organica, un’altra soluzione suggerita è eliminare i seggi britannici. In questo modo non ci sarebbero complessi calcoli da fare e su cui accordarsi, ma si perderebbe anche un’occasione di riformare un sistema che non piace a molti. Inoltre, eliminando completamente i deputati di un grande paese, le piccole nazioni finirebbero con l’essere ancor più sovrappresentate: la distribuzione dei seggi in parlamento diventerebbe ancora più sbilanciata.
Esiste infine una terza soluzione, sostenuta con forza da diversi europarlamentari, ma che in molti considerano poco più di un’utopia irrealizzabile. L’idea è creare una quota di deputati da eleggere in un’unica circoscrizione europea, senza essere legati a nessuna nazione. È un’idea fortemente sostenuta da Gianni Pittella, dirigente del Partito Democratico e presidente del gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, secondo cui sarebbe «un passo avanti nell’integrazione europea». Anche il nuovo presidente francese, Emmanuel Macron, ha messo la creazione di una quota di deputati eletti a livello europeo tra i punti del suo programma politico.
L’idea però è molto criticata. Secondo alcuni per metterla in pratica sarebbe necessario modificare i trattati dell’Unione, che oggi stabiliscono il legame tra europarlamentari e stati membri. Altri sostengono che questa scelta rischi di ottenere l’effetto opposto rispetto a quello sperato: creare ulteriore distacco tra gli elettori e il sistema democratico europeo. I deputati eletti nella circoscrizione europea, dicono i critici, rischierebbero di apparire degli “eurocrati”, funzionari al servizio della burocrazia europea con pochi legami con i cittadini che li hanno eletti.
Nei prossimi mesi il Parlamento europeo è stato incaricato di studiare diverse soluzioni possibili e di presentarle al Consiglio Europeo, l’organo composto dai capi di stato e di governo dell’Unione europea. Saranno loro a scegliere quale strada seguire: possibilmente prima del 2019.