Manca un mese alle elezioni britanniche
I sondaggi dicono che i Conservatori vanno alla grande, che l'UKIP si è sbriciolata e che i Laburisti difficilmente potranno giocarsela: ma ci sono ragioni per prenderli con cautela
Manca un mese esatto alle elezioni politiche in Regno Unito, che si terranno l’8 giugno. Il mandato del governo britannico sarebbe scaduto nel 2020, ma a metà aprile la prima ministra conservatrice Theresa May ha proposto di tenere elezioni anticipate, decisione che è stata accettata dalla maggior parte delle forze politiche britanniche. Queste prime settimane di campagna elettorale non sono state molto movimentate, e le stime dei sondaggi sono piuttosto univoche: i Conservatori sono dati parecchio avanti, vicini addirittura al 50 per cento, mentre i Laburisti sono attorno al 25-30 per cento, un dato vicino ai peggiori elettorali risultati della loro storia. I Conservatori insomma sono nettamente favoriti, e c’è già chi scrive che è una “fantasia” sostenere che possano perdere: nonostante questo ci sono alcune variabili che aggiungono incertezza al risultato finale: su tutte, lo sbriciolamento del partito per l’Indipendenza del Regno Unito (UKIP), che va ormai avanti da alcuni mesi, le ultime settimane di campagna elettorale dei Laburisti e le possibili imprecisioni dei sondaggi.
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— Reuters UK (@ReutersUK) May 5, 2017
L’UKIP è stato uno dei protagonisti della vita britannica degli ultimi anni: è stato il partito che più ha sostenuto e promosso l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, ha posizioni di destra radicale e negli anni ha reso molto più rilevanti nel dibattito pubblico britannico temi come l’immigrazione e la lotta alla globalizzazione. Dopo la storica vittoria al referendum su Brexit, però, ha iniziato a disfarsi. Pochi giorni dopo la vittoria del “Leave” lo storico leader Nigel Farage, che guidava il partito dal 2010, si era dimesso affermando di avere «portato a termine la sua missione», e che il traguardo politicamente più grande per lui era stato raggiunto. Diane James, che era stata scelta dai militanti come nuovo capo, si era dimessa dopo appena 18 giorni dall’elezione. Lo scorso febbraio il nuovo leader Paul Nuttall, nel corso di una tornata delle cosiddette by-election – quelle che si tengono per assegnare i seggi parlamentari rimasti vacanti – era stato battuto dal candidato laburista. Alle elezioni locali che si sono tenute la settimana scorsa in varie zone del Regno Unito, l’UKIP ha perso complessivamente 146 seggi, riuscendo a guadagnarne uno solo. Qualche giorno fa l’unico parlamentare della storia dell’UKIP, il 46enne Douglas Carswell, ha scritto un duro articolo sul Guardian in cui spiega che il partito è «finito» (lui lo ha lasciato alla fine di marzo).
Da settimane gli osservatori della politica britannica stanno cercando di capire le ragioni di questa situazione, che ha causato un netto calo nei sondaggi (nel 2015 l’UKIP aveva preso il 12 per cento a livello nazionale, e ora secondo alcuni sondaggi è intorno alla metà). Secondo alcuni c’entra il fatto che la loro missione politica, portare il Regno Unito fuori dall’Unione Europea, si sia avverata, e che quindi il partito abbia perso il motivo di esistere. Altri ancora danno la colpa a una classe dirigente un po’ sgangherata e sostanzialmente inadeguata a gestire un partito di quelle accresciute dimensioni e popolarità.
Per l’immediato futuro, sarà interessante capire quale sarà il partito a beneficiare del crollo dell’UKIP: al momento, i dati a disposizione sembrano indicare che buona parte di quei voti andranno ai Conservatori. Intuitivamente, c’entra il fatto che il governo conservatore di Theresa May si è di preso carico del risultato di Brexit, portandolo avanti prima in parlamento e poi nei negoziati che cominceranno a breve con l’Unione Europea. Secondo una stima di YouGov, nel 2015 l’UKIP riuscì ad attrarre elettori soprattutto dai Conservatori, da una parte dell’elettorato che non andava a votare e in parte minore da Laburisti e Liberal-Democratici. Stando ai dati attuali, solo il 36 per cento di quelli che hanno votato per l’UKIP nel 2015 sono sicuri di votarlo di nuovo, mentre il 37 per cento di loro intende votare per i Conservatori. Solo una minima parte di chi ha votato UKIP nel 2015 ha in programma di votare per i Liberal-Democratici o i Laburisti.
Eppure i Laburisti stanno cercando di recuperare consensi proprio in quell’elettorato più sensibile alle recenti campagne dell’UKIP: tendenzialmente bianchi dal reddito medio-basso e preoccupati dalle conseguenze della globalizzazione e da un paese sempre più multiculturale. Anche i numeri sembrano confermare che i Laburisti abbiano un problema con questo tipo di elettori: secondo un sondaggio di YouGov citato qualche mese fa dal Guardian, solamente il 45 per cento degli elettori che nel 2015 hanno votato per i laburisti e l’anno dopo hanno sostenuto l’uscita del Regno Unito dall’UE hanno intenzione di rivotarli alle prossime elezioni.
Già a gennaio i laburisti hanno provato ad ammorbidire la loro posizione su Brexit per venire incontro a questi elettori, e ultimamente hanno proposto misure che sembrano rivolte proprio a loro: hanno escluso l’aumento di tasse per i più poveri, promesso l’assunzione di 10mila nuovi poliziotti e un aumento dello stipendio per i lavoratori pubblici nel settore sanitario. Non è chiaro se il partito laburista insisterà su questa strada anche nelle settimane finali di campagna elettorale. Qualcosa di radicale dovrà inventarselo, dato che i numeri dei sondaggi continuando a essere negativi. Finora sembra che il piano non stia funzionando: BBC ha proiettato su base nazionale il risultato dei candidati laburisti, e stimato che in totale hanno ottenuto circa il 27 per cento dei voti: è il peggior risultato per un partito di opposizione da quando BBC mette insieme questi dati, cioè dall’inizio degli anni Ottanta.
Un altro elemento di incertezza è la scarsa accuratezza con cui i sondaggisti britannici hanno previsto le ultime elezioni. Come ha fatto notare FiveThirtyEight, negli ultimi 40 anni ci sono state solamente due occasioni in cui il risultato finale è variato rispetto alla media degli ultimi sondaggi di meno di due punti: alle elezioni nazionali del 2010, vinte nettamente dai Conservatori di David Cameron, e a quelle del 1979, vinte anche quelle dai Conservatori. I sondaggisti hanno sbagliato sia in occasione di Brexit sia del referendum sull’indipendenza della Scozia sia delle ultime parlamentari del 2015: nelle tre occasioni, l’errore medio è stato di circa sei punti, cosa che induce a prendere con una certa prudenza l’attuale largo vantaggio dei Conservatori.