In Namibia da mesi si discute della stessa cosa
Una legge vuole ridurre le diseguaglianze tra bianchi e neri, ma secondo alcuni darebbe «un calcio nelle palle a chi lavora nel mondo degli affari»
Da diversi anni in Namibia si sta discutendo di approvare una legge molto particolare chiamata New Equitable Economic Empowerment Framework (NEEEF), che prevede nuove regole per la gestione delle aziende. Sotto il NEEEF, tutte le imprese namibiane dovranno essere possedute almeno per il 25 per cento da “persone precedentemente svantaggiate”, in altre parole da namibiani neri. La legge dice anche che almeno la metà dei membri di tutti i consigli di amministrazione aziendali dovrà essere nera. Finora il presidente namibiano, Hage Geingob, si è mostrato restio ad appoggiare il NEEEF, ma di recente sembra che siano cresciute pressioni all’interno del suo stesso partito che potrebbero portare presto all’approvazione della riforma e rivoluzionare così la gestione delle imprese nel paese. L’Economist ha scritto che l’approvazione del NEEEF sarebbe «un calcio nelle palle a chi lavora nel mondo degli affari, specialmente alla parte bianca che ancora guida l’economia».
Il NEEEF è da tempo una delle questioni più discusse nella politica namibiana, e una delle più importanti: da alcuni è visto come un passo necessario per smantellare il sistema degli affari ancora in mano per lo più ai bianchi, altri lo considerano un provvedimento contrario alle leggi internazionali, che potrebbe peggiorare ulteriormente la situazione di quella che già oggi è una delle società più diseguali del mondo. Per capire meglio di cosa si parla, e perché se ne parla, bisogna fare un passo indietro e partire dalla storia recente della Namibia, un paese con un movimentato passato coloniale e legato strettamente al Sudafrica dell’apartheid.
Da dove arriva la Namibia?
La Namibia divenne uno stato indipendente solo nel 1990, alla fine di un secolo molto travagliato. Dalla metà degli anni Ottanta dell’Ottocento, su decisione dell’allora cancelliere tedesco Otto von Bismarck, il territorio corrispondente all’attuale Namibia fu dichiarato colonia tedesca e rinominato “Africa Tedesca del Sud-Ovest”.
Furono molti i coloni tedeschi a trasferirsi in Namibia, grazie soprattutto alle ampie opportunità economiche offerte dall’estrazione dei diamanti e del rame, e dalla coltivazione delle terre. Come successe in molti altri territori, il potere coloniale fu imposto con la forza e la popolazione indigena locale fu privata di libertà e diritti. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento in Namibia ci furono diverse rivolte, che però furono represse dai tedeschi con la violenza: la Germania, che allora era un impero, si rese responsabile di quello che viene considerato dagli storici il primo genocidio del Novecento, che portò allo sterminio delle tribù locali degli Herero e dei Nama. La situazione cambiò con l’inizio della Prima guerra mondiale, quando le truppe britanniche e sudafricane attaccarono i tedeschi, sconfiggendoli e mettendo fine alla dominazione della Germania in Namibia.
Da quel momento la Namibia prese il nome di “Africa del Sud-Ovest”, o “Africa britannica del Sud-Ovest”, e fu amministrata dal Regno Unito tramite il governo dell’Unione Sudafricana. Questa situazione fu confermata anche dalla Lega delle Nazioni – l’organizzazione che dopo la fine della Seconda guerra mondiale fu sostituita dalle Nazioni Unite – che affidò al governo sudafricano l’incarico di garantire il benessere delle popolazioni che abitavano la Namibia. Il Sudafrica non volle abbandonare la sua influenza sulla Namibia nemmeno dopo la Seconda guerra mondiale e resistette alle pressioni internazionali che si fecero sempre più insistenti nel 1961, quando i sudafricani ottennero la piena indipendenza dal Regno Unito. In quegli anni in Namibia crebbero le tensioni etniche e sociali, soprattutto a causa dell’apartheid, la politica di segregazione razziale istituita dal governo dei bianchi in Sudafrica ed estesa anche ai namibiani.
In quel contesto nacque la SWAPO (South-West Africa People’s Organisation), un’organizzazione di ispirazione marxista che chiedeva l’indipendenza della Namibia dal Sudafrica e che oggi è il partito di governo del paese. Gli scontri tra la SWAPO e l’esercito sudafricano diedero inizio alla guerra di indipendenza della Namibia. Nel novembre 1989 si tennero finalmente le elezioni politiche, definite democratiche dagli osservatori internazionali, e vinte dalla SWAPO con il 57 per cento dei consensi. Il 21 marzo 1990 la Namibia fu proclamata indipendente. Sam Nujoma giurò come presidente, alla presenza, tra gli altri, del leader sudafricano anti-apartheid Nelson Mandela, che era stato rilasciato dal carcere il mese precedente. Da allora in Namibia la SWAPO ha vinto tutte le elezioni e ha espresso tutti e tre i presidenti che hanno governato il paese.
Il presidente namibiano Sam Nujoma (a destra) e il leader sudafricano anti-apartheid Nelson Mandela all’aeroporto di Windhoek, il 20 marzo 1990, all’inizio delle celebrazioni per la Namibia indipendente (TREVOR SAMSON/AFP/Getty Images)
L’inno nazionale della Namibia, “Namibia, patria dei coraggiosi”, fu scritto da Axali Doëseb, direttore di un gruppo musicale tradizionale del deserto Kalahari, nel 1990, l’anno dell’indipendenza.
Perché è importante discutere del NEEEF?
Per rispondere a questa domanda bisogna tenere a mente che la Namibia uscì molto divisa e frammentata dalla guerra d’indipendenza. Le politiche coloniali dell’apartheid crearono divisioni profonde – razziali, etniche e di genere – che sono visibili ancora oggi in diversi settori della società namibiana, come il mercato del lavoro e l’educazione. Nonostante l’introduzione di misure legislative finalizzate a favorire l’assunzione di donne, namibiani neri o persone con disabilità, per esempio, la maggior parte delle aziende del paese ricalca ancora gli schemi dei tempi dell’apartheid. Il Business Monitor International (BMI), un’unità di ricerca indipendente del Fitch Group, ha scritto di recente: «Mentre le leggi dell’apartheid furono abbandonate una volta che il paese ottenne l’indipendenza dal Sudafrica nel 1990, l’integrazione economica della maggior parte della popolazione ha continuato ad andare molto a rilento». Ancora oggi, nonostante la presenza di risorse naturali significative e di una piccola classe media benestante formata da neri, la Namibia ha un tasso di disoccupazione superiore al 40 per cento e circa il 40 per cento della popolazione vive ancora nelle baraccopoli.
Per tutte queste ragioni, il NEEEF era stato presentato come un importante strumento economico che una volta adottato avrebbe contribuito a risolvere il problema delle disuguaglianze nel paese.
Chi critica il NEEEF sostiene però che il provvedimento non riuscirà a ridurre le diseguaglianze in Namibia, ma verrà probabilmente usato dai leader di SWAPO per favorire gli uomini di affari neri che sostengono il partito, chiamati con il termine inglese “tenderpreneur”. Potrebbe succedere quello che è accaduto in Zimbabwe e in Sudafrica con legislazioni simili: molte aziende di proprietà dei bianchi potrebbero essere costrette a chiudere e gli investitori stranieri potrebbero voler indirizzare i loro soldi in altri paesi che forniscono più garanzie. La preoccupazione del presidente Geingob e di diversi analisti è che il NEEEF avrà l’effetto contrario a quelle che sono le sue intenzioni: aumenterà le disuguaglianze e non porterà sollievo a una crescita economica che negli ultimi 12 anni è passata dal +5 al +0,1 per cento.
Secondo l’Economist, Geingob proverà a resistere ancora alle pressioni interne al suo partito, ma non è chiaro quanto ci riuscirà. Si dovrà difendere da Nujoma, il primo presidente della Namibia indipendente che continua a esercitare una grande influenza nella SWAPO, nonostante si sia ufficialmente ritirato dalla vita politica namibiana nel 2005. Dovrà difendersi inoltre dalla vecchia guardia del partito, formata per lo più da Ovambo, un’etnia che abita una regione della Namibia settentrionale a cui appartengono circa la metà dei cittadini namibiani (Geingob appartiene ai Damara, un gruppo di cui fa parte il 7 per cento della popolazione della Namibia). E infine dovrà difendersi da una fazione che promuove il “marxismo con caratteristiche namibiane” e che ammira, tra gli altri, l’autoritario presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe. A un certo punto Geingob potrebbe decidere di fare delle concessioni ai suoi avversari interni per garantirsi di nuovo un ampio appoggio all’interno del partito: per esempio potrebbe cedere sul NEEEF e dare il suo consenso al controverso provvedimento.