La Turchia ha esteso i bombardamenti contro i curdi in Siria e in Iraq
Insomma, ha colpito i principali alleati degli Stati Uniti nella guerra contro lo Stato Islamico: ed è un grosso problema
Ieri la Turchia ha esteso i suoi bombardamenti contro i combattenti curdi in Siria e in Iraq, aggiungendo altre complicazioni alla già intricata guerra siriana. I curdi sono alleati preziosi degli Stati Uniti – non uno dei tanti, i più importanti – nella lotta contro lo Stato Islamico: li hanno aiutati a riconquistare il nord della Siria e diversi territori nel nord-ovest dell’Iraq, e hanno avuto un ruolo centrale nelle prime fasi della campagna militare contro lo Stato Islamico per la riconquista della città irachena di Mosul. Gli Stati Uniti hanno detto di essere «profondamente preoccupati» per gli attacchi aerei turchi, e hanno aggiunto che i bombardamenti non erano stati approvati dalla coalizione anti-ISIS da loro guidata.
Nei suoi bombardamenti la Turchia ha attaccato le YPG (le milizie curde siriane), il PKK (il partito indipendentista curdo nato in Turchia) e i peshmerga (l’esercito del Kurdistan iracheno): sembra che i peshmerga siano stati colpiti per errore.
Chi ha colpito la Turchia?
Le YPG sono le Unità di protezione popolare, cioè le milizie armate del PYD, il Partito dell’unione democratica, una forza politica curda che si potrebbe definire di ispirazione “socialista-libertaria”. Le YPG agiscono in Siria e vorrebbero ottenere il riconoscimento di uno stato curdo indipendente al confine meridionale con la Turchia. Nel corso degli ultimi anni, le YPG hanno subìto sempre più l’influenza del PKK, il Partito dei lavoratori del Kurdistan: il PKK, che opera soprattutto nel sud-est della Turchia, vuole uno stato curdo indipendente e per questo è nemico del governo turco. La Turchia non considera organizzazione terroristica solo il PKK, ma anche le YPG. Il problema è che le YPG sono la componente principale e più importante delle Forze democratiche siriane (in verde chiaro nella mappa qui sotto), una coalizione di forze che sta guidando le operazioni militari appoggiate dagli Stati Uniti per riconquistare Raqqa, la capitale dello Stato Islamico in Siria.
Il nord della Siria, in una mappa realizzata da realizzata da Thomas van Linge e pubblicata sul blog di Pieter Van Ostaeyen. Le Forze democratiche siriane, di cui i curdi siriani sono la componente principale e più importante, sono segnate in verde chiaro. Lo Stato Islamico è in grigio scuro, i ribelli sono in verde scuro, il regime di Assad è in rosso.
I bombardamenti turchi hanno colpito anche la zona del Sinjar, nel nord-ovest dell’Iraq vicino al confine con la Siria. Qui il PKK aveva stabilito una sua presenza dopo essere intervenuto in aiuto alla popolazione yazida, nell’estate del 2014, che era diventata l’obiettivo delle brutali violenze dello Stato Islamico. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha detto che non permetterà che Sinjar, che si trova a circa 115 chilometri dal confine con la Turchia, diventi una “nuova Qandil”, una zona montagnosa in Iraq vicina al confine con Turchia e Iran e roccaforte del PKK. Nei bombardamenti su Sinjar sono stati uccisi anche cinque peshmerga curdi, sembra per un errore: la Turchia, per delle ragioni spiegate più estesamente qui, si può considerare alleata dei curdi iracheni.
(grafico di BBC rifatto dal Post)
Perché la Turchia ha esteso i bombardamenti contro i curdi?
Non è chiaro il motivo per cui la Turchia abbia deciso ora di estendere i bombardamenti contro i curdi in Siria e in Iraq. Secondo Nicholas Heras, analista del Center for a New American Security, «l’esercito turco sta mandando un messaggio che la sua guerra contro il PKK non si fermerà ai confini con la Turchia, e che non ci sarà mai rifugio per il PKK, da nessuna parte». Sembra anche che il governo turco sia sempre più preoccupato dell’aumento dell’influenza dell’Iran sia in Iraq che in Siria: pensa che le milizie sciite che stanno combattendo contro lo Stato Islamico e che rispondono all’Iran potrebbero allearsi con il PKK, agendo in un secondo momento in funzione anti-turca.
Diversi funzionari americani, ha scritto il New York Times, speravano di non doversi più scontrare in questo modo con la Turchia. Negli ultimi mesi i rapporti tra americani e turchi, e più in generale tra la Turchia e la NATO, erano peggiorati parecchio, soprattutto dopo il fallito colpo di stato contro Erdoğan, lo scorso luglio, e le successive politiche iper-repressive del governo di Ankara contro i suoi critici e contro tutti quelli accusati di essere coinvolti nel tentato golpe. Il 16 aprile in Turchia si è tenuto però un referendum molto importante, che ha rafforzato i poteri del presidente e ha reso Erdoğan ancora più padrone del paese. Alcuni osservatori pensavano che, superato il referendum, Erdoğan si liberasse della necessità di mostrarsi intransigente nei confronti dei curdi – soprattutto per soddisfare le richieste dei nazionalisti – e che potesse ammorbidire alcuni eccessi della sua politica estera. Sembra però che le cose abbiano preso una piega diversa.
Il referendum ha avuto anche un altro ruolo nell’intera faccenda. Un comandante delle YPG ha dato parte della colpa per gli attacchi a Donald Trump, che dopo la diffusione dell’esito del voto aveva chiamato Erdoğan per congratularsi, attirandosi molte critiche. Il comandante curdo, citato dal sito specializzato al Monitor, ha detto: «Se Trump non avesse telefonato a Erdoğan, se non si fosse congratulato con lui e se non lo avesse invitato a Washington, la Turchia non si sarebbe mai sentita incoraggiata a comportarsi in questa maniera: una maniera che ci ha feriti e che ha ferito la lotta americana contro lo Stato Islamico». Per il momento, nonostante il cambio di amministrazione a Washington, il governo americano non sembra intenzionato a cambiare la sua strategia in Siria e Iraq. Probabilmente Trump continuerà a fare quello che ha fatto Obama per molto tempo: districarsi per quanto possibile nella rivalità tra Turchia e curdi, cercando di non perdere l’appoggio di nessuno dei due e continuando a fare la guerra allo Stato Islamico.