In Cina non si potranno più chiamare i bambini Islam, Quran, Saddam e Mecca
Il governo ha vietato di dare ai neonati nomi propri legati all'Islam: l'obiettivo è colpire la comunità musulmana dello Xinjiang
Nello Xinjiang – una provincia occidentale cinese, a maggioranza musulmana – non si potranno più chiamare i neonati con nomi legati alla religione islamica. La decisione si è aggiunta a una serie di provvedimenti simili presi dal governo cinese – come il divieto di portare la barba per gli uomini e di indossare veli che coprano il volto per le donne – al fine di limitare la libertà religiosa e di espressione della comunità musulmana uigura, che rappresenta circa la metà dei 23 milioni di musulmani cinesi. Da molto tempo gli uiguri avanzano richieste separatiste verso il governo centrale di Pechino, senza però ottenere alcunché.
Le autorità cinesi hanno distribuito una lista, non ancora completa, con i primi 12 nomi vietati: tra questi ci sono Islam, Quran, Saddam e Mecca e ogni nome nel quale ci sia un riferimento ai simboli delle stelle o della luna crescente. In caso di violazione delle nuove regole, il neonato non potrà essere registrato nei documenti familiari e avere accesso ai servizi sanitari e sociali, oltre che all’istruzione. Tuttavia, una lista completa non è ancora stata stilata e non è chiaro secondo quali parametri un nome verrà considerato legato alla religione islamica oppure no.
Il provvedimento è più che altro un attacco alla minoranza degli uiguri dello Xinjiang, la regione in gran parte costituita da deserti nel nord ovest della Cina dalla quale provengono i pochi attentatori che hanno colpito Pechino negli ultimi anni. Lo Xinjiang, che significa “Nuova Frontiera”, è stato portato sotto il completo controllo della Cina nel 1949: confina con otto stati (India, Pakistan, Russia, Mongolia, Kazakistan, Afghanistan, Tagikistan e Kirghizistan) ed è un passaggio obbligato per gli scambi commerciali con l’Asia Centrale e l’Europa. È un territorio molto ricco di gas e petrolio. La capitale è Urumqi e un altro centro molto importante a grande maggioranza uigura è Lukqun, a circa 200 chilometri a sud est della capitale. Nella regione sono frequenti da molti anni proteste contro il regime di Pechino e scontri etnici: gli uiguri non accettano la presenza dei cinesi han nella regione e denunciano da tempo le repressioni e le discriminazioni compiute dal governo.
La direttrice per la Cina di Human Rights Watch Sophie Richardson ha parlato del divieto di dare nomi di origine musulmana come dell’ultima restrizione alla libertà religiosa messa in atto in nome della lotta all’estremismo religioso. Richardson ha detto: «Queste politiche sono una violazione sfacciata delle libertà di credo e di espressione garantite a livello statale e internazionale».
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