Alitalia, cosa succede adesso
Repubblica azzarda alcune ipotesi su cosa potrebbe capitare a prenotazioni, prezzi, MilleMiglia e il resto, dopo il referendum di ieri
Ieri i dipendenti di Alitalia hanno respinto con un referendum il pre-accordo che era stato raggiunto tra la compagnia aerea e i sindacati, con la mediazione del governo, per definire i tagli e licenziamenti da attuare per rilanciare l’azienda. In seguito alla vittoria dei “No”, oggi il consiglio di amministrazione di Alitalia ha convocato per il prossimo 27 aprile un’assemblea dei soci, uno degli ultimi passaggi prima del probabile commissariamento. Su Repubblica, Ettore Livini ha provato a fare qualche ipotesi su cosa potrà succedere nei prossimi mesi ad Alitalia, e quali inconvenienti potranno esserci per i suoi clienti.
Che ne sarà dei posti di lavoro in Alitalia? E del biglietto già prenotato per le vacanze di quest’estate? E delle MilleMiglia? La partita dell’ex-compagnia di bandiera riparte questa mattina con un copione nuovo e una sola certezza: il Commissario che prenderà in mano la cloche della società – pur protetto dalle pretese dei creditori – dovrà riuscire a incassare almeno 230 milioni di euro al mese dai biglietti per far volare gli aerei: servono 55 milioni ogni 30 giorni per fare il pieno di kerosene ai jet, 51 per pagare gli stipendi ai lavoratori, 60 per pagare i diritti di traffico e di scalo, 35 per i noleggi e 16 per la manutenzione.
Dipendenti, passeggeri, tour operator e aeroporti invece entreranno in terra incognita. I primi – quelli con il problema più serio – in attesa di capire se e quanti posti di lavoro si salveranno. Gli altri alle prese con questioni più terra-terra: sapere se le prenotazioni che hanno in tasca sono carta straccia. Se il charter Alitalia per le Maldive ci sarà o no. E se intere aree del paese – quelle servite solo dall’aerolinea tricolore – rischiano di rimanere senza voli.L’iter della crisi con la vittoria del “no” sembra chiaro. Il pallino andrà in tempi strettissimi in mano al Commissario, come nel 2008. Allora però la situazione era più semplice: la cordata Cai era già pronta, lo Stato aveva aperto i paracadute necessari e l’azienda era stata divisa in due consegnando la parte sana ai privati. Oggi è molto più complicato, specie per i dipendenti. I nuovi vertici devono trovare una soluzione per tenere in vita il gruppo. Cedendolo a nuovi acquirenti – all’orizzonte non se ne vedono – o con una dolorosa ristrutturazione interna che la riporti in pareggio. Unico problema: soldi in cassa non ci sono. Senza salvagenti dallo Stato, quindi, si può solo provare a prender tempo rispettando l’operativo della stagione estiva (l’unica in cui le entrate Alitalia superano le uscite) per poi ridimensionare la società in una versione-bonsai. Se non ci si riesce, resta solo la liquidazione: vendendola a pezzi (i beni più pregiati sono diritti di atterraggio e aerei) e garantendo ai dipendenti solo Cigs per due anni e poi Naspi.