Cosa dicono i nuovi italiani
Sette interviste raccolte dal Corriere della Sera: alcuni giovani di seconda generazione e una ex preside raccontano come si vive in Italia essendo figli di stranieri
Il Corriere della Sera he raccolto sette interviste nelle quali si parla di seconde generazioni. Le intervistate sono principalmente donne e tra i temi più ricorrenti c’è il continuo confronto e sforzo di adattamento tra le tradizioni dei genitori e le abitudini dei giovani cresciuti in Italia.
Samarkanda Abou El Kher, una delle donne intervistate, fa una precisazione interessante sulla grande differenza esistente – e spesso ignorata – tra la cultura araba e la religione islamica, dicendo che «ad esempio, in Egitto, la nostra cultura è molto patriarcale. Il ruolo della donna è frutto di questa cultura, non della religione in sé. E questa è una lotta che noi ragazze musulmane dobbiamo portare avanti. Portare il velo non è in contrapposizione a questa lotta: noi stiamo effettivamente combattendo la misoginia delle nostre culture di provenienza».
Che cosa pensano le ragazze e i ragazzi della nuova generazione di italiani? Che cosa sperano, quali modelli hanno, come immaginano il futuro? E soprattutto: come riescono a conciliare la cultura dei genitori con usi, costumi e regole del Paese in cui sono cresciuti? La cronaca nera riferisce di vicende drammatiche: veli imposti con la forza, matrimoni che diventano incubi, botte e segregazione. La quotidianità, spesso, è più leggera, quasi sempre meno violenta. Lo scontro generazionale, però, esiste. Ed è particolarmente duro per le ragazze, che devono contrastare mentalità arcaiche e maschiliste a volte derivanti da un’interpretazione retrograda dell’Islam. «Siamo costretti a mediare tra il mondo famigliare e la società», dice Esraa Abou El Naga. Sono giovani gravati da grandi responsabilità. Pratiche: accompagnare la mamma dal medico e fare da interprete, per esempio, parlare con gli insegnanti del fratello minore. Sociali: aiutare gli ex immigrati ora cittadini italiani a «integrarsi», senza abbandonare le proprie origini. È la questione più difficile del Millennio. E non possono affrontarla da soli. La scuola ha un ruolo centrale, primo spazio in cui si manifesta la «diversità» e la necessità di una mediazione. Ma serve poi il contributo di tutti. Queste sono le testimonianze di alcuni ragazzi di seconda generazione
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