Un’assurda storia di guerra tra Corea del Nord e Corea del Sud
Nel 1968 la Corea del Nord inviò 31 agenti per uccidere il presidente sudcoreano, che rispose addestrando una squadra di 31 carcerati per uccidere il suo collega nordcoreano
Per i giornali occidentali la Corea del Nord è una straordinaria fonte di storie esotiche, spesso troppo bizzarre per essere credute: da quelle vere, come le misteriose navi cariche di cadaveri che ogni tanto arrivano sulle coste del Giappone, a quelle false, come le esecuzioni compiute con branchi di cani affamati. La più incredibile di queste storie appartiene alla prima categoria e si è svolta tra il 1968 e il 1971, quando i dittatori delle due Coree (all’epoca anche il sud non era un paese del tutto democratico) cercarono di uccidersi a vicenda. Entrambi, uno dopo l’altro, fecero addestrare due squadre di assassini scelti, composte dallo stesso numeri di uomini, con il compito di infiltrarsi oltre il confine e uccidere il leader avversario. Soltanto negli ultimi anni la Corea del Sud ha tolto il segreto di stato da queste operazioni, e si sono venuti a sapere i dettagli tragici e grotteschi di quello che avvenne in quegli anni.
Il primo a decidere di eliminare il suo nemico fu Kim Il-sung, fondatore del Corea del Nord e nonno dell’attuale dittatore, Kim Jong-un. Kim vedeva con preoccupazione il consolidarsi del potere del presidente sudcoreano Park Chung-hee, che nel 1961 si era impossessato del potere con un colpo di stato e da allora era riuscito a vincere due elezioni presidenziali. Nel 1966 incaricò il comando delle forze speciali di assassinare Park. Per compiere l’operazione furono scelti 31 ufficiali tra i ranghi dell’Unità 124, un reparto dell’esercito addestrato in tecniche di infiltrazione, sabotaggio e ricognizione.
Il leader nordcoreano Kim Il-sung nel 1968 (AP Photo)
Kim Shin-jo, unico membro del commando a essere catturato vivo dai sudcoreani, raccontò che per due anni il gruppo si addestrò duramente. A volte i soldati furono fatti correre a temperature sottozero, a piedi nudi e con un carico di trenta chilogrammi sulle spalle (molti persero diverse dita dei piedi in seguito a casi di congelamento). Furono addestrati in diverse tecniche di combattimento e in particolare al combattimento con i coltelli. Furono costretti a trascorrere alcune notti in mezzo ai cadaveri, per abituarsi all’idea che nessun luogo doveva sembrargli tanto ripugnante da evitare di sfruttarlo per nascondersi. Poco prima dell’operazione, trascorsero quindici giorni ad addestrarsi con una replica a grandezza naturale della Casa Blu, il palazzo presidenziale di Seul.
Il 16 gennaio del 1968 la squadra era pronta a partire. Il giorno successivo varcarono la zona demilitarizzata lungo il 38° parallelo, e che ancora oggi rappresenta il confine tra i due paesi. Dopo due giorni di marcia tra i boschi innevati a nord di Seul, si accamparono sulla montagna di Simbong, a poche ore di cammino dalla periferia di Seul. Qui avvenne il primo incidente. Quattro contadini in cerca di legna, tutti fratelli, si imbatterono nel campo dei nordcoreani. Vennero immediatamente catturati e portati in punta di pistola davanti al comandante dell’unità. Tra i nordcoreani nacque un dibattito. Alcuni suggerirono di uccidere immediatamente i contadini, in modo da preservare la segretezza della missione. L’ufficiale in comando, però, la pensava diversamente. La sua opinione era che non si poteva perdere l’occasione di indottrinare al comunismo i quattro giovani. L’ufficiale iniziò un sermone sui benefici dell’ideologia socialista, sul pericolo rappresentato dall’imperialismo americano e sulla superiorità del regime nordcoreano. Al termine, i quattro ragazzi assicurarono i nordcoreani di essere profondamente toccati dalle loro parole e assicurarono che non avrebbero raccontato a nessuno dell’incontro. L’ufficiale li lasciò liberi, ordinò di smobilitare il campo e si rimise in marcia con i suoi uomini diretto a Seul. Poco dopo i quattro ragazzi arrivarono a una stazione di polizia e denunciarono l’accaduto. Nel giro di ore, migliaia di militari sudcoreani iniziarono a setacciare le montagne.
Il drappello però era già riuscito ad allontanarsi dalla zona senza incontrare le pattuglie nemiche: la sera del 20 gennaio i nordcoreani si infiltrarono in città a gruppi di due, riunendosi a notte fonda nei pressi di un tempio nel centro della città. Allarmati dai quattro contadini, i militari presidiavano tutta la città e gruppi di soldati di ritorno dai pattugliamenti erano costantemente per strada. I nordcoreani decisero di approfittare di questa circostanza nel modo più rischioso: indossarono le divise sudcoreane che avevano portato con sé e marciarono direttamente sul palazzo presidenziale, fingendosi militari di ritorno da una ricognizione.
Con una combinazione di fortuna e sfacciataggine, riuscirono ad attraversare diversi posti di blocco senza essere fermati. Ma arrivati a poco più di un centinaio di metri dall’ingresso del palazzo un poliziotto insospettito iniziò a fargli delle domande insistenti. Quando l’agente avvicinò la mano alla pistola d’ordinanza, i nordcoreani iniziarono a sparare e lanciare granate. Nel caos del momento, in cui tutti le persone coinvolte nella sparatoria indossavano le stesse uniformi, un autobus carico di civili finì in mezzo al fuoco incrociato e una ventina di persone furono uccise. L’attacco era fallito, ma grazie alla confusione gran parte del commando riuscì a disperdersi. I sudcoreani impiegarono migliaia di militari e tre giorni di ricerche per catturare o uccidere tutto il commando. Soltanto Kim Shin-Jo fu catturato vivo. Da allora ha deciso di disertare ed è diventato un pastore protestante. È stato lui a raccontare gran parte dei dettagli della storia dell’Unità 124. Incredibilmente, un altro membro del commando riuscì a tornare in Corea del Nord, dove venne accolto come un eroe. Oggi è uno dei più importanti generali dell’esercito nordcoreano.
L’arresto di Kim Shin-jo, il 22 gennaio 1968, dopo il fallimento dell’attacco (Ap Photo)
Il presidente Park prese l’attacco nordcoreano particolarmente sul personale, soprattutto quando Kim, l’unico commando catturato, disse che il suo ordine era quello di «tagliare la gola di Park con un coltello». Poco dopo l’attacco, Park incaricò il capo dell’intelligence sudcoreana di formare una squadra di assassini identica a quella nordcoreana con il compito di uccidere Kim Il-sung. Anche il numero di componenti doveva essere lo stesso: trentuno uomini. Curiosamente, la KCIA (Korea Central Intelligence Agency) non reclutò spie professioniste o uomini delle forze speciali. Scelse invece trentuno piccoli criminali, il tipo di persone che «finiva spesso coinvolto in risse di strada», come li descrisse uno dei loro addestratori. Ad alcuni furono offerti la grazia e un lavoro se avessero partecipato all’addestramento, altri furono semplicemente prelevati dalle carceri e trasportati al campo di addestramento. Il nome scelto per la squadra fu Unità 684.
Per addestrarla, la squadra di assassini fu trasferita sull’isola deserta di Silmido, completamente coperta di boschi e a pochi chilometri dal grande porto di Incheon. Agli uomini fu detto che il loro compito era far esplodere una conduttura idrica subito oltre il confine, ma con il tempo divenne chiaro che il loro obiettivo era molto più ambizioso. Per due anni furono sottoposti a un addestramento durissimo da parte degli istruttori delle forze speciali dell’aviazione sudcoreana. Furono tenuti senza cibo e senza acqua, costretti a marce estenuanti, a dormire al freddo e al caldo e ad addestrarsi con ogni tipo di arma. Ogni infrazione veniva punita con pestaggi e torture. Almeno sette dei membri della squadra furono uccisi a bastonate dai loro istruttori o mentre cercavano di fuggire.
Il trailer di Silmido, il film del 2003 che racconta la storia dell’Unità 684
Il periodo di alta tensione tra le due Coree, però, terminò prima del previsto. Dopo una serie di incidenti di confine e di scontri su piccola scala, alla fine del 1969 i rapporti tra i due paesi tornarono a distendersi. Il presidente Park non vide più vantaggi nel cercare di assassinare Kim Il-sung e il commando sull’isola di Silmido venne dimenticato. L’aviazione ridusse il numero e la qualità del personale che inviava alla base. Lee Jun-young, uno dei militari inviati sull’isola in questa fase, ha raccontato che quando fu assegnato all’isola era un soldato semplice che sapeva poco o nulla di tecniche di infiltrazione e assassinio. Gli diedero una divisa con i gradi di sergente e gli dissero che avrebbe dovuto tenere in riga il gruppo di criminali affamati che da due anni viveva segregato sull’isola. «Loro sapevano che noi guardie eravamo più deboli di loro», ha raccontato Lee.
Criminali e militari vivevano ai due lati opposti dell’isola, in una sorta di strano limbo. Era chiaro a tutti che l’operazione era stata oramai abbandonata dal governo, ma nessuno sapeva quale sarebbe stato il destino dei ventiquattro sopravvissuti della squadra di assassini. Una cosa però era chiara: «Se volevano andarsene – racconta Lee – la loro unica speranza era uccidere noi addestratori». La notte del 21 agosto 1971, quando il gruppo di militari riuscì finalmente a portare sull’isola un po’ di alcol, il gruppo di ex criminali decise di colpire. Mentre gli ufficiali dormivano dopo i festeggiamenti, entrarono nella capanna del capitano e lo uccisero colpendolo in testa con un martello. Dopo essersi impossessati di alcune armi iniziarono a dare la caccia alle guardie per tutta l’isola. Ne uccisero diciotto e ne ferirono gravemente una diciannovesima, Yang Dong-su, uno dei pochi testimoni degli avvenimenti di quella notte.
Dopo il massacro, il gruppo riuscì a impadronirsi di un’imbarcazione e a raggiungere la terraferma, dove sequestrò un autobus e si diresse verso Seul. Riuscirono a fare molta strada prima di essere fermati a un posto di blocco. Secondo il resoconto ufficiale, a quel punto iniziò uno scontro a fuoco e il gruppo fu interamente ucciso. I sopravvissuti si suicidarono facendosi esplodere con delle granate e soltanto in quattro furono catturati. Dopo un rapido processo militare furono condannati a morte e uccisi. Il governo coprì l’incidente dicendo che si era trattato di un’incursione nordcoreana. Dopo che i sudcoreani negarono un legame la loro Unità 684, i nordcoreani fecero lo stesso con la loro Unità 124. Nel maggio del 1972, Kim Il-sung disse che la squadra che quattro anni prima aveva attaccato il palazzo presidenziale sudcoreano aveva agito contro la sua volontà.
Per decenni, i dettagli di questi due incidenti, diventati improvvisamente imbarazzanti per i due governi impegnati in un complicato tentativo di riconciliazione, sono stati tenuti nascosti. In Corea del Sud, la misteriosa isola di Silmido e la tragica vicenda dei suoi temporanei abitanti è stata un episodio al confine tra la storia e la leggenda metropolitana. Nel 2003, il film sudcoreano Silmido ha raccontato la storia delle due unità gemelle, rendendola famosa. Soltanto nel 2006 il governo sudcoreano riconobbe l’incidente e pubblicò un rapporto scritto da una commissione parlamentare sugli avvenimenti. I protagonisti della vicenda, però, sono oramai quasi scomparsi. Il dittatore nordcoreano Kim Il-sung morì nel 1994 per cause naturali. Park morì nel 1979, pochi anni dopo il massacro dell’Unità 124: fu ucciso dal capo dei servizi segreti sudcoreani a cui aveva inizialmente commissionato l’assassinio del suo rivale. I motivi e le circostanze del suo assassinio non sono mai stati chiariti.