L’Arabia Saudita just wants to have fun
Piano piano il governo sta introducendo riforme per legalizzare i concerti e l'intrattenimento dal vivo, per «rendere più leggera la vita dei cittadini»
L’Arabia Saudita sta provando a diventare un paese con un po’ di divertimento in più. Di recente nel paese è stata creata una commissione per l’intrattenimento, è stato tolto il divieto assoluto di ospitare concerti di musica dal vivo ed è stato ordinato alla polizia religiosa, la mutawa’a, di essere un po’ meno zelante nel suo lavoro. Pochi giorni fa è stata anche annunciata la costruzione di un’intera “città del divertimento”, che sarà grande 50 volte il territorio di Gibilterra e sarà pronta nel 2022. Quello che sta succedendo non si può descrivere come una rivoluzione: il divieto di vendere alcol e l’assoluta mancanza di libertà per le donne, tra le altre cose, non cambieranno di una virgola. È piuttosto un tentativo della famiglia regnante dell’Arabia Saudita di dare seguito all’ambizioso programma di riforme economiche presentato lo scorso anno, e dare qualche sfogo in più alla popolazione (maschile, s’intende) dopo le difficoltà economiche sperimentate dal paese a causa del crollo del prezzo del petrolio degli ultimi anni.
All’inizio dell’anno il ministro del Petrolio, Khalid al Falih, aveva già annunciato qualche cambiamento in questo senso, e aveva detto: «Vogliamo far diventare l’Arabia Saudita un posto più morbido e piacevole in cui vivere, vogliamo rendere più leggera la vita dei cittadini». In Arabia Saudita la musica, i cinema e i concerti dal vivo sono sempre stati proibiti, quindi le famiglie saudite trascorrono molto tempo davanti ai programmi delle televisioni satellitari e, soprattutto i ragazzi, su internet. Non è raro che nei giorni festivi le famiglie si spostino in Bahrein e a Dubai, dove le restrizioni sulle attività ludiche di vario tipo sono molto meno stringenti.
Qualcosa però sta cambiando. Il 30 gennaio scorso a Gedda, una città portuale a ovest della Mecca, si è tenuto un concerto live della star locale Mohammed Abdu, soprannominato anche “il Paul McCartney saudita”. È stato il primo concerto live a Gedda da sette anni e ad assistere c’erano 8mila persone, tutti uomini. Il concerto era stato organizzato nonostante l’opposizione della più importante autorità religiosa del paese, il Grand Mufti Abd al-Aziz bin Abd Allah Al ash-Sheikh, che sul sito del suo programma televisivo settimanale ha detto che i concerti pubblici potrebbero aprire le porte al mischiarsi di donne e uomini nello stesso spazio fisico, cosa vietata dalla legge saudita. Il Grand Mufti saudita ha anche condannato l’apertura dei cinema, un tema che secondo una fonte citata dal Financial Times è attualmente in discussione.
Mohammed Abdu durante il concerto del 30 gennaio a Jeddah, in Arabia Saudita. Dietro di lui sono mostrate le immagini del re Salman bin Abdulaziz (a destra) e del principe Mohammed bin Salman (AMER HILABI/AFP/Getty Images)
A febbraio sempre a Gedda, città considerata più aperta rispetto alla capitale Riyadh, è stato organizzato un altro evento piuttosto unico: un festival di tre giorni dedicato ai videogame e ai supereroi. L’idea iniziale era tenere divisi uomini e donne durante l’evento, come indicava un cartello all’ingresso del complesso, ma poi le cose sono andate un po’ diversamente e ci sono stati diversi momenti di condivisione dello spazio pubblico. Tra gli altri c’erano anche i cosplayers di Capitan America, Iron Man, Yoda e di qualche supereroe locale.
Le foto del Comic-con di Gedda
Il governo saudita non sta solo allentando i rigidissimi divieti di organizzare eventi culturali e ludici, ma qualche giorno fa ha annunciato la costruzione di una grande città del divertimento. Una cosa tipo Las Vegas, ma senza le cose di Las Vegas che sarebbero proibite in Arabia Saudita (quasi tutte, potreste dire, e non avreste tutti i torti). Il principe saudita Mohammed bin Salman al Saud ha detto: «Questa città diventerà, con la volontà di Dio, un preminente punto di riferimento culturale e un importante centro ricreativo, culturale e sociale per le future generazioni del Regno».
La costruzione della nuova città, così come tutte le altre recenti aperture, è il risultato di un ambizioso piano di riforme presentato dal governo saudita nell’aprile 2016 e chiamato “Vision 2030”. Con quel documento la famiglia regnante ha illustrato tutte le riforme che il paese dovrà attuare per rendersi indipendente dall’andamento dei mercati petroliferi entro il 2030, un piano di diversificazione dell’economia che si stava discutendo da tempo. Secondo il Financial Times, la parte che riguarda la concessione di qualche libertà in più nel settore della cultura e dell’intrattenimento si è resa necessaria per continuare ad assicurarsi l’appoggio della popolazione dopo qualche eccezionale difficoltà economica provocata dal crollo del prezzo del petrolio degli ultimi anni, che ha ridotto la fonte primaria della straordinaria ricchezza saudita.
Il tentativo della famiglia regnante saudita di aprirsi un po’ di più, comunque, non produrrà risultati rapidi né sconvolgenti. In Arabia Saudita esiste da sempre un equilibrio molto delicato tra potere politico e religioso: lo stato saudita nacque sulla base di una specie di accordo tra Mohammed ibn Saud, il fondatore dello stato e appartenente alla famiglia ancora oggi al potere, e Sheikh Mohammed ibn Abdul-Wahhabi, da cui proviene il nome “wahhabismo”, cioè quell’interpretazione molto conservatrice dell’Islam adottata nel paese. I due poteri si svilupparono interagendo fin da subito e continuano a farlo anche oggi, creando una situazione molto particolare nella quale allentare le restrizioni religiose potrebbe provocare un generale indebolimento del potere della famiglia regnante dei Saud.