Nelle Filippine hanno scoperto un mollusco-verme gigante
Da secoli era noto solamente grazie ai fossili dei suoi gusci, a forma di mazze da baseball: ora ne abbiamo visto uno dal vivo, ma forse stavamo meglio prima
In uno studio pubblicato di recente dalla rispettata rivista scientifica PNAS, un gruppo di scienziati ha raccontato di aver scoperto l’esistenza di un mollusco di cui finora erano noti solamente reperti fossili. Il mollusco si chiama Kuphus polythalamia, è un distante parente della vongola e fa parte della famiglia delle Teredinidi. In pratica, è un verme marino gigante lungo quasi un metro.
Dan Distel, un biologo marino della Northeastern University di Boston che ha curato assieme ad altri lo studio, ha spiegato al Guardian che l’esistenza della Kuphus polythalamia da 200 anni a questa parte era nota sulla base di alcuni fossili del suo guscio, ma che nessun esemplare vivente era stato mai osservato. Il suo team è riuscito a trovarne alcuni esemplari in un lago delle Filippine, dopo aver notato dei video su YouTube e aver consultato diversi esperti locali. «Per me è stato come trovare un dinosauro: qualcosa che conosci solamente grazie ai fossili», ha raccontato Distel.
Il gigantismo non è l’unico tratto notevole della Kuphus polythalamia: ha anche un colore piuttosto inusuale – nero scuro, nonostante non serva a niente, dato che passa tutta la sua vita dentro a un guscio – e un ingegnoso processo nutritivo, che il New York Times ha paragonato alla fotosintesi delle piante. In pratica, un batterio presente nelle sue branchie trasforma il solfuro di idrogeno presente nell’acqua per produrre energia, che successivamente utilizza per trasformare in cibo l’anidride carbonica presente nell’acqua stessa. In questo modo non deve esporsi per andare in cerca del legno di cui si nutrivano i suoi antenati, e che ancora oggi viene mangiato da alcuni esemplari di Teredinidi (per questa abitudine, in inglese vengono chiamati shipworm, “vermi delle navi”).
La scoperta della Kuphus polythalamia potrebbe causare qualcosa di più della semplice fascinazione per un animale ignoto e un po’ schifoso: «studiare un animale che vive con dei batteri all’interno delle proprie cellule senza ammalarsi può arricchire la nostra comprensione delle infezioni», ha spiegato Distel.