Aadhaar, il progreditissimo documento digitale indiano
In sette anni è stato assegnato a oltre un miliardo di persone, migliorando i servizi: ma ci sono preoccupazioni su suoi possibili abusi
In India è operativo da alcuni mesi il più grande sistema di identificazione biometrica del mondo: si chiama Aadhaar, e fa corrispondere a oltre un miliardo e cento milioni di persone maggiorenni (il 99% della popolazione adulta) un codice di dodici cifre associato alla foto, alle impronte digitali e alle immagini dell’iride di ciascuna di esse. Lo si ottiene volontariamente, chiedendolo in uno dei tantissimi uffici deputati distribuiti su tutto il territorio, e permette l’accesso e la gestione di una estesa serie di servizi pubblici utili, legati alle cure mediche o all’istruzione, o alle tasse, per esempio; ma anche di effettuare dei pagamenti dal proprio conto corrente in assenza di carta di credito o simili.
Ad Aadhaar, il cui progetto è iniziato alcuni anni fa ma è stato reso operativo progressivamente dal 2010, sono dedicati un articolo e un editoriale dell’Economist di questa settimana, che celebrano il sistema (solo in Estonia ce n’è uno più avanzato, dice l’articolo), in un paese in cui fino a prima del 2010 i sistemi di identificazione dei cittadini non esistevano per una grande quota della popolazione e gran parte delle nascite non viene denunciata: col risultato che tantissime persone non possono accedere ai servizi pubblici di base, soprattutto nelle fasce più povere, e che spesso i servizi sono oggetto di truffe e abusi (anche da parte di strutture pubbliche che richiedono fondi per servizi non forniti). Aadhaar sta progressivamente attenuando questi problemi: dalla sua introduzione sono stati individuati altissimi numeri di falsi certificati elettorali, di patenti di guida duplicate per eludere le sospensioni, di registrazioni fittizie a servizi finanziati pubblicamente.
Ma l’Economist condivide anche alcune preoccupazioni diffuse rispetto alle ambizioni del governo di estendere l’uso di Aadhaar a ulteriori funzioni, anche molto elementari come l’acquisto di biglietti ferroviari o di smartphone. Il sistema è al centro di discussioni e timori in India dai primi tempi della sua genesi, sia per le implicazioni sulla privacy, sia perché rischia – pur essendo volontario e non obbligatorio – di creare delle discriminazioni tra chi è registrato e chi no nella fruizione dei molti servizi pubblici e privati a cui è associato: molte controverse sentenze hanno nel tempo definito e limitato le sue applicazioni e un nuovo giudizio della Corte Suprema è atteso.
Secondo l’Economist Aadhaar è di grande utilità per il funzionamento di una società così popolata e così male organizzata come quella indiana, dove fino al 2010 una grandissima parte di cittadini non aveva metodi di identificazione amministrativa, e il sistema è paragonabile a quello simile usato con successo in Svezia per la gestione delle relazioni fiscali, dell’istruzione, della salute e di altri servizi. “Ma l’India non è un ordinato regno scandinavo”, aggiunge l’articolo, e il governo di Nerendra Modi che oggi sta promuovendo massicciamente l’applicazione di Aadhaar non offre oggi rassicurazioni “con il suo nazionalismo e la sua frequente mancanza di scrupoli” di rispettare sempre i diritti dei cittadini e le regole: e ci sono timori che il governo usi i dati riservati contro gli oppositori politici (ci sono precedenti di accuse di abusi dei dati elettorali). Per questa ragione la Corte Suprema dovrebbe dare un giudizio univoco sugli usi del sistema, e il governo mostrare di volerlo rispettare, invece che entrarci in conflitto. Intanto, aggiunge l’articolo dell’Economist, la potenziale efficienza di Aadhaar per i cittadini indiani deve essere aumentata con la costruzione di infrastrutture migliori, che lo rendano utilizzabile anche in settori e luoghi dove oggi non solo non arriva internet, ma neanche l’energia elettrica.