Breve storia del capitano Scafarto
Cosa sappiamo dell'ufficiale dei carabinieri accusato di aver falsificato le intercettazioni del caso CONSIP, e che era stato coinvolto in storie simili già in precedenza
Da lunedì, il capitano Giampaolo Scafarto del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri (NOE) è indagato con l’accusa di aver falsificato alcune intercettazioni e altri elementi dell’inchiesta CONSIP, la vasta indagine sulla società che si occupa di gran parte degli acquisti della pubblica amministrazione, divisa tra le procure di Roma e Napoli e in cui è stato coinvolto anche Tiziano Renzi, padre dell’ex presidente del Consiglio. Scafarto è uno dei principali investigatori tra quelli che hanno seguito sin dall’inizio la vicenda CONSIP. Nel primo interrogatorio, che si è svolto lunedì a Roma, Scafarto si è avvalso della facoltà di non rispondere, mentre il suo avvocato ha spiegato che tutta la vicenda è stata causata da una trascrizione errata e che quindi non c’è alcun dolo.
Secondo i magistrati di Roma, invece, Scafarto avrebbe consapevolmente inserito informazioni false nell’informativa lunga mille pagine che pochi mesi fa è stata consegnata ai magistrati romani quando una parte dell’inchiesta CONSIP è stata spostata per competenza territoriale dalla procura di Napoli a quella di Roma. In particolare, nell’informativa veniva riassunta in maniera errata un’intercettazione dello scorso dicembre. Scafarto scrisse che Alfredo Romeo, l’imprenditore napoletano accusato di corruzione al centro di uno dei filoni dell’inchiesta, aveva detto: «Renzi, l’ultima volta che l’ho incontrato…». Scafarto commentò questo estratto aggiungendo alcune considerazioni personali: «Questa frase assume straordinario valore e consente di inchiodare alle sue responsabilità Tiziano Renzi in quanto dimostra che effettivamente Romeo e Renzi si sono incontrati, atteso che Romeo ha sempre cercato di conoscere Matteo Renzi senza riuscirvi». Quando i magistrati di Roma hanno riascoltato l’intercettazione ed esaminato i verbali originali si sono però accorti che a pronunciare quella frase non era stato Romeo, ma il suo collaboratore Italo Bocchino, ex parlamentare: e Bocchino non si riferiva a Tiziano, ma al figlio Matteo.
Nel lavoro di Scafarto ci sarebbe anche un’altra incongruenza. Nell’informativa, il capitano scrisse che durante un’operazione la sua pattuglia era stata seguita e fotografa da un misterioso personaggio, probabilmente appartenente ai servizi segreti. Secondo Scafarto, Matteo Renzi aveva: «Messo in campo tutte le risorse disponibili per tutelare la sua famiglia». I magistrati di Roma, però, hanno scoperto che quando scrisse l’informativa, Scafarto aveva già scoperto che il misterioso “agente segreto” era in realtà un dipendente dell’Opera Pia Stabilimenti spagnoli in Italia che si trovava a passare di lì per caso.
Secondo gli avvocati di Romeo, Scafarto avrebbe commesso un terzo errore nella trascrizione delle intercettazioni. Tra le persone ascoltate dal NOE ci sarebbe stato un esperto di “cleaning”, “pulizia” in inglese (Romeo gareggiava in diversi appalti per l’assegnazione di servizi di pulizia). Nell’informativa, il dipendente viene definito più volte «l’esperto del crimine della Romeo», forse, ipotizzano gli avvocati, a causa della vaga assonanza delle due parole inglesi in una registrazione di bassa qualità.
A quanto sembra, i magistrati di Roma hanno riesaminato tutta l’informativa di Scafarto in cerca di errori e incongruenze perché sospettavano da tempo della qualità del lavoro dei carabinieri del NOE. Un mese fa, la procura di Roma aveva deciso di escludere il NOE dalle indagini in seguito a una serie di fughe di notizie arrivate alla stampa. La procura di Napoli invece ha continuato a usare i carabinieri del NOE e ha confermato ieri la sua fiducia nel capitano Scafarto.
Non è la prima volta che Scafarto commette errori nel gestire le intercettazioni che gli vengono affidate. In un’informativa scritta alla fine del 2014, sostituì una parola incomprensibile registrata nel corso di un’intercettazione con il soprannome del sindaco di Ischia, all’epoca sospettato di essere corrotto. La frase era molto compromettente per il sindaco e fu ampiamente utilizzata nei documenti dell’accusa. Fabio Tonacci, su Repubblica, ha raccontato così il momento in cui, durante il processo, l’avvocato della difesa incalzò Scafarto a proposito del suo errore:
E dunque, dopo un paio di domande preliminari, Forgiuele [l’avvocato della difesa] incalza l’ufficiale su un argomento apparentemente innocuo. «Lei ha detto che in questa conversazione Massimo Ferrandino (fratello del sindaco, ndr) avrebbe affermato: “a detta di Giosy andiamo tutti quanti in galera”». Non è un’intercettazione qualsiasi. I pm vi hanno poggiato una parte robusta dell’accusa, e infatti si trova nelle informative dei carabinieri e nell’ordinanza di custodia. Scafarto controlla il suo computer, dice sì. Ed è la risposta che l’avvocato Forgiuele aspettava. «Io però ho la pagina 89 del verbale di trascrizione e non si fa nome di Giosy. Le parole sono: “a detta di (parola incomprensibile), andiamo tutti quanti in galera”. Perché lei una parola incomprensibile la riferisce come Giosy?». Interviene anche il presidente del Tribunale: «Lei l’ha sostituita con Giosy?». Il capitano balbetta. «Sì, dopo poi…più volte è scritto nella perizia…». Ma nella perizia, che è la trascrizione integrale degli audio fatta da un soggetto terzo incaricato dai giudici e non dagli inquirenti, il nome “Giosy” non c’è. Nessuno l’ha mai pronunciato, secondo il perito.
L’inchiesta per corruzione nella quale Scafarto venne contro-interrogato dalla difesa è la cosiddetta “CPL Concordia”, dal nome della cooperativa incaricata di costruire i metanodotti verso le isole di Procida e Ischia. Il processo è ancora in corso. Tra i magistrati che se ne sono occupati c’è Henry John Woodcock, celebre ex procuratore di Potenza, famoso per i suoi processi che hanno coinvolto politici e personaggi famosi e che spesso si sono risolti in archiviazioni o assoluzioni (qui avevamo raccontato la sua storia e quella della procura di Potenza). Oggi Woodcock è procuratore antimafia di Napoli. È stato lui a iniziare l’inchiesta CONSIP e ne segue ancora il filone napoletano.
In un ritratto che l’ANSA ha fatto di Scafarto, il capitano viene descritto come un investigatore di cui Woodcock si fidava molto, oltre che come un allievo di Sergio De Caprio, il famoso “Capitano Ultimo” che catturò Totò Riina. Negli anni Duemila De Caprio si trasferì dal ROS, la brigata dei carabinieri che si occupa di mafia e terrorismo, al NOE. Nel 2013 conobbe Scafarto, che all’epoca si era appena trasferito al NOE dopo aver prestato servizio nel Nucleo operativo radiomobile di Nocera Inferiore. Scafarto, 44 anni, è nato a Vico Equense, nella città metropolitana di Napoli, nel 1973. Woodcock, insieme ai due ufficiali, condusse numerose indagini, alcune delle quali avevano a che fare con reati ambientali (l’ambito di specifica competenza del NOE), altre invece si occupavano di tutt’altri argomenti. Scrive l’ANSA:
L’elenco è lunghissimo: dalle indagini sui conti del tesoriere della Lega Francesco Belsito a quelle sulle presunte mazzette milionarie pagate da Finmeccanica; dalla vicenda P4, con numerosi arresti eccellenti per traffico di informazioni segrete, alle rivelazioni di Gotti Tedeschi su Ior e dintorni; dalle indagini sul tesoro di Massimo Ciancimino all’inchiesta che, partendo dal business della metanizzazione dell’isola d’Ischia, ha travolto il colosso delle cooperative Cpl Concordia. A molte di queste indagini ha lavorato proprio Scafarto, definito da diversi colleghi come un investigatore bravo e tenace.
Nell’estate 2015 il lavoro del gruppo si interruppe a causa della decisione del generale comandante dell’Arma dei Carabinieri Tullio Del Sette di rimuovere De Caprio dai compiti di polizia giudiziaria – pur lasciandogli l’incarico di vice-comandante del NOE. Senza più De Caprio, il Capitano Ultimo, Woodcock si affidò a Scafarto per proseguire le sue indagini, tra cui l’inchiesta CONSIP. Attualmente, il generale Del Sette risulta tra gli indagati nell’inchiesta CONSIP per favoreggiamento e rivelazione di segreto di ufficio.