Siamo pronti per il nuovo stato-più-giovane-del-mondo?
Potrebbe diventarlo il prossimo anno la Nuova Caledonia (sapete dov'è?), se passerà il referendum sull'indipendenza dalla Francia
Il prossimo anno potrebbe nascere un nuovo paese indipendente, che potrebbe togliere il primato di stato più giovane del mondo al Sud Sudan, nato nel 2011 (e da anni in condizioni disastrose). Nel 2018, non si sa ancora quando con precisione, si terrà un referendum per l’indipendenza della Nuova Caledonia, una “collettività francese d’oltremare” di quasi 20mila chilometri quadrati che si trova a est dell’Australia e a ovest delle isole Figi, nell’Oceano Pacifico. Oggi la Nuova Caledonia è considerata territorio francese: i neocaledoni hanno un loro primo ministro, Philippe Germaine del partito anti-indipendenza, ma il capo dello stato è il presidente della Francia. Con il referendum del prossimo anno si deciderà se mantenere la situazione attuale o se sancire la completa indipendenza della Nuova Caledonia dalla Francia.
La Nuova Caledonia è un arcipelago che fa parte della Melanesia, una delle regioni che compongono l’Oceania, abitato da circa 260mila persone. Per diverso tempo, nel corso del Diciannovesimo secolo, la Nuova Caledonia fu un territorio conteso tra Regno Unito e Francia, prima di diventare possedimento francese nel 1853. Circa dieci anni dopo cominciò a essere usata come colonia penale e mantenne questa funzione per quattro decenni. Oggi la società neocaledone continua a essere divisa tra kanaki, cioè gli indigeni; le persone di discendenza europea (i caldoche, discendenti di coloni francesi che si trasferirono in Nuova Caledonia nei primi anni della colonizzazione e detenuti nella colonia penale poi liberati, e i francesi di recente migrazione provenienti dalla Francia metropolitana), popolazioni polinesiane e del Sud est asiatico, oltre a piccole comunità di “algerini del Pacifico” (discendenti di uomini e donne deportati dalle autorità francesi nei campi di lavoro della Nuova Caledonia nella seconda metà dell’Ottocento). La Nuova Caledonia ha uno dei più alti redditi medi pro-capite della regione e la sua economia è basata per lo più sull’estrazione di nichel (un quarto delle riserve di nichel del mondo si trova in Nuova Caledonia). La principale isola dell’arcipelago, Grande Terre, è inoltre circondata da una massiccia barriera corallina.
Di un referendum per l’indipendenza della Nuova Caledonia si parla da quasi 30 anni. Nel Novecento cominciò a svilupparsi un movimento indipendentista che portò all’organizzazione di proteste anche violente: era guidato dal gruppo Front de Libération National Kanak Socialist di Jean Marie Tjibaou, che chiedeva la creazione di uno stato chiamato Kanaky. Una specie di riconciliazione fu raggiunta nel 1988 con gli accordi di Matignon, firmati tra i leader delle due fazioni neocaledoni e il governo francese (Matignon era il nome della residenza del primo ministro francese). Tra le altre cose, gli accordi stabilivano la data per il referendum sull’indipendenza dalla Francia, che si sarebbe dovuto tenere dieci anni dopo. Nel 1998, tuttavia, la decisione fu rimandata. Si firmarono altri accordi – gli Accordi di Numea, dal nome della principale città della Nuova Caledonia – con cui si decise che il referendum si sarebbe tenuto entro la fine del 2018. Anche oggi ci sono politici che chiedono di rimandare il voto, per paura che un’eventuale sconfitta dei partiti indipendentisti possa far ripartire le grandi proteste dei kanaki (già lo scorso novembre ci furono delle proteste a St Louis, un quartiere kanaki a est di Numea).
Louis Le Pensec, ministro francese per i territori d’Oltremare (al centro), Dick Ukeiwe, membro del partito anti-indipendenza Rassemblement pour la Calédonie dans la République (a sinistra) e Jean-Marie Tjibaou, leader del Front de Libération National Kanak Socialist, firmano gli accordi di Matignon il 20 agosto 1988 a Parigi (AFP/Getty Images)
Il referendum avrà implicazioni per le tre questioni fondamentali relative alla sovranità della Nuova Caledonia: lo status internazionale del territorio, la ridefinizione dei cinque poteri centrali di uno stato sovrano (la difesa, la politica estera, la moneta, il mantenimento della sicurezza e la giustizia) e la questione della “cittadinanza” neocaledone, quindi anche il diritto di votare e di lavorare per i residenti dell’isola.
Dall’aprile 2015 il governo neocaledone è guidato dal partito Caledonie Ensemble (15 seggi in Parlamento), una delle forze anti-indipendentiste del paese. Il primo ministro, Philippe Germain, è stato eletto dopo quattro mesi di crisi politica nazionale che ha coinvolto principalmente i partiti del blocco anti-indipendentista e che ha portato alla caduta del governo precedente guidato da Cynthia Ligeard, proveniente anche lei dallo stesso fronte contrario all’indipendenza. Il principale partito di opposizione si chiama invece Union nationale pour l’indépendance (anch’esso con 15 seggi in Parlamento), che è uno dei gruppi che compongono il Front de Libération National Kanak Socialist, filo-indipendentista. In generale i kanaki sono più schierati a favore dell’indipendenza, al contrario degli europei.
Il dibattito sull’indipendenza della Nuova Caledonia è arrivato anche a occupare qualche spazio nella campagna elettorale per le presidenziali in Francia: non è inusuale, visto che il trattamento dei territori d’Oltremare e le discussioni su eventuali cambiamenti di status fanno tradizionalmente parte del dibattito politico francese, anche se da un po’ di tempo in maniera più marginale. Una posizione interessante e diversa dal passato è stata presa da Marine Le Pen, leader del Front National, partito di estrema destra e populista considerato un possibile vincitore delle elezioni. Le Pen, il cui partito è da sempre contrario a questo tipo di referendum e che per lungo tempo non ha voluto riconoscere gli accordi di Numea, ha appoggiato il voto che si terrà il prossimo anno, sperando in una sconfitta netta dei partiti indipendentisti. Anche François Fillon, candidato del centro-destra francese e da mesi coinvolto in un grosso scandalo, si è detto contrario all’indipendenza. Emmanuel Macron, candidato indipendente che è cresciuto moltissimo nei sondaggi degli ultimi mesi, non si è espresso direttamente né a favore né contro l’indipendenza, e si è limitato a dire che rispetterà il risultato del voto, qualunque sarà.