Un emigrante italiano nero
È difficile trovare differenze tra la storia di Simon Samaki Osakie e quella di altri italiani che si sono trasferiti a Londra; perché di differenze non ce ne sono
di Marina Petrillo
Simon Samaki Osakie ha trent’anni, fa due lavori, sta finendo l’università, ha un programma alla radio, e fa progetti per il futuro con gli amici. È un cittadino italiano, emigrato all’estero come tanti altri. Da tre anni studia e lavora a Londra, dove è andato a cercare opportunità che in Italia non riusciva a trovare. Però è anche nigeriano, e questo lo rende, per usare le sue parole, “un emigrante italiano nero”. Ha due sorelle, una delle quali si è a sua volta trasferita a Londra come anche i suoi genitori, messi in difficoltà in Italia dalla crisi economica. Osakie è nato ad Arezzo, di cui non ricorda nulla. I suoi erano arrivati in Italia dalla Nigeria nel 1981, quando «l’immigrazione dall’Africa era ancora all’inizio» dice. Entrambi hanno proseguito gli studi, la madre come infermiera e il padre con una laurea in economia e commercio. Quando era ancora piccolo, lo hanno portato a Modena, Pavia e Parma prima di stabilirsi a Udine, che «è la città del mio cuore, casa mia», dice, «quella dove ho fatto tutte le esperienze più importanti, le scuole, la mia vita sentimentale, gli amici».
Secondo i dati Istat, nel 2015 i ragazzi italiani che avrebbero voluto vivere all’estero erano il 42,6 per cento, mentre la percentuale di ragazzi di origine straniera con lo stesso desiderio era di poco più alta, il 46,5 per cento. Osakie ha la cittadinanza italiana da diversi anni: «Allora i miei genitori non sapevano bene come funzionasse la cittadinanza, non avevamo le informazioni giuste. Essendo nato in Italia, avrei avuto diritto a farne richiesta al compimento dei diciott’anni, ma l’abbiamo scoperto troppo tardi». Fra varie complicazioni, la scadenza di due anni per inoltrare la richiesta è passata e Osakie è rimasto senza cittadinanza. «Ma dopo che mia sorella Stefania, memore del mio errore, ha concluso la procedura appena è diventata maggiorenne, mio padre ha cominciato ad andare in comune tutti i giorni a protestare per me, giuro, tutti, tutti i giorni. Intanto ha avuto la cittadinanza anche mia sorella minore e alla fine, dopo tutte le insistenze di mio padre e un certo iter burocratico, l’hanno concessa anche a me. Quindi nonostante tutto sono stato molto fortunato, perché altri non ci riescono, anche solo per motivi economici, e restano sempre in un limbo, sospesi, emarginati nonostante siano nati e cresciuti in Italia».
Senza cittadinanza, Osakie non avrebbe potuto lasciare l’Italia per più di dodici mesi senza perdere i documenti di soggiorno. Con la cittadinanza, invece, è diventato un italiano che come molti non trovava prospettive nella sua città. Quando racconta, si sente che l’Italia gli manca molto, tanto che appena può ci torna: Simon è uno dei molti udinesi che sono residenti all’estero e Londra è diventata una delle mete più popolari per gli italiani che emigrano, anche se le cose potrebbero cambiare con l’attivazione di Brexit. Gli italiani a Londra sono circa 250 mila se si considerano solo i residenti iscritti all’Aire, il registro anagrafico degli italiani all’estero; ma sono ben più di mezzo milione se si considerano anche i giovani che si trovano lì per motivi di studio, chi non ha preso la residenza o è presente da meno di un anno (sono così tanti che Londra è considerata la quinta città italiana dopo Roma, Milano, Napoli e Torino).
Simon Samaki Osakie sta finendo l’università a Londra per laurearsi in scienze politiche, e contemporaneamente lavora part-time nel grande negozio di giocattoli Hamleys, dove organizza eventi per i bambini. Nel resto della giornata lavora come mentore sportivo, con ragazzi dai tredici ai diciotto anni. Con i suoi amici a Londra ha organizzato un canale di arte e musica anti-discriminazione sui social media chiamato Generation Rises, inaugurato da pochi giorni. «So che può sembrare strano, ma il nostro sogno è cambiare la cultura italiana da qui, uscire da questa arretratezza intellettuale. Io spero con tutto il cuore di poter tornare in Italia, prima o poi, ma per tornare devo essere sicuro di rendermi utile».
Osakie conosce tanti italiani emigrati come lui per studiare o lavorare, e pensa che quello che manca a Udine, e in Italia in generale, siano politiche giovanili serie, di inclusione e di impegno. Per gli italiani di altra origine potrebbero essere utili ad arginare quello che lui vede come una sorta di smarrimento, di deriva, che in parte ha vissuto anche direttamente. «Ho fatto i miei sbagli e adesso ho ritrovato la mia strada. Vorrei evitare a questi giovani di trovarsi nella mia stessa situazione. Sono loro che costruiranno il paese, hanno bisogno d’aiuto ed è fondamentale che non siano tenuti ai margini, che non debbano sentirsi come degli scarti».
«All’inizio a Londra mi sentivo un pesce fuor d’acqua» racconta, «per fortuna non sono uno che si abbatte e rimugina, tendo a stare bene con la gente, ad avere tanti amici e a darmi da fare. Ho cercato di conoscere sempre più persone e anche grazie all’ambiente dell’università si sono creati molti rapporti, molte connessioni, e pian piano le cose si sono messe un po’ a posto. Ma se queste opportunità le avessi avute in Italia, non sarei mai partito. Ma proprio mai, mai, mai». Gli chiedo se, visto il suo percorso e la sua doppia cultura, lasciare l’Italia lo ha fatto sentire un po’ meno italiano. «No, no, assolutamente! Anzi, non mi sono mai sentito così italiano come da quando sono a Londra», dice ridendo. «È come se qui fossero emerse le mie due culture, la gente qui mi vede come un italiano di origini nigeriane, una cosa normale. È una città multietnica, in cui ci sono tanti come me, e qui, a differenza che in Italia, non mi sento giudicato per il colore della mia pelle. Qui, la mia parte italiana emerge: sono semplicemente un italiano nero”.