Come funziona la doppia cittadinanza
L'Italia la prevede, ma non è così in tutti i paesi e in alcuni casi, come la Cina, bisogna rinunciare alla propria cittadinanza di origine se si vuole ottenere quella dello stato in cui si vive
La legge italiana riconosce la possibilità di essere cittadini di più stati, cioè il diritto di avere la doppia o la plurima cittadinanza. Vale sia per i cittadini italiani che trasferendosi all’estero in modo stabile vogliono ottenere anche la cittadinanza del paese in cui vivono, sia per coloro che arrivano in Italia e decidono di viverci senza rinunciare a essere cittadini del loro paese di origine. Questa opportunità non è scontata: esistono infatti molti stati che non la ammettono per i propri cittadini e che di conseguenza stabiliscono la perdita immediata della cittadinanza per coloro che vengono naturalizzati cittadini di un altro stato: per esempio la Cina, l’India, l’Ucraina e il Messico.
Le leggi in materia variano molto da stato a stato e possono anche dipendere da accordi internazionali tra i paesi. Alcuni ad esempio prevedono la perdita automatica della cittadinanza nel caso in cui la persona sia naturalizzata cittadina di un altro stato, mentre consentono di avere la doppia cittadinanza quando la seconda derivi da un matrimonio. Ci sono poi stati che riconoscono la doppia cittadinanza, ma prevedono delle limitazioni all’esercizio di alcuni diritti come quello di votare o candidarsi alle elezioni. Infine esistono normative che ammettono eccezioni o la possibilità di ottenere un permesso o una dispensa; per esserne informati bisogna quindi considerare i singoli casi, attraverso fonti ufficiali come i consolati, le ambasciate o gli esperti di diritto dello stato interessato.
La legge italiana prevede espressamente la possibilità di mantenere la doppia cittadinanza, a patto che ciò non sia vietato dalle leggi di altri stati o da norme internazionali concordate. Quando, a causa delle leggi del paese di origine, non è possibile acquisire la cittadinanza italiana mantenendo quella precedente, il richiedente è costretto a fare una scelta, che è spesso sofferta e dolorosa.
In contesti come questi, però, può anche succedere che una persona perda la cittadinanza del paese di origine senza aver nel frattempo acquisito quella del paese in cui vive. È una delle situazioni che determinano lo status di apolide, definito dall’articolo 1 della Convenzione del 1954 relativa allo Status degli Apolidi “una persona che nessuno Stato considera come suo cittadino per applicazione della sua legge”. È una condizione che può verificarsi a causa di un trasferimento, ma nella maggioranza dei casi sono apolidi persone appartenenti a minoranze etniche che non hanno mai lasciato il paese in cui sono nate: per loro l’apolidia è spesso il risultato di riforme sulla cittadinanza pensate anche per essere discriminatorie nei loro confronti. Di solito, chi è apolide non può godere di una serie di diritti né può partecipare pienamente alla vita sociale: la Convenzione del 1954 è stata fatta allo scopo di garantire i diritti minimi e stabilire i doveri degli apolidi all’interno degli stati che hanno aderito alla convenzione. Non esistono dati precisi e ufficiali sul numero degli apolidi in Italia, ma secondo l’UNHCR (l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) la maggioranza si trova all’interno delle comunità Rom provenienti dalla ex Jugoslavia, o tra persone originarie dell’ex URSS, della Palestina, del Tibet, dell’Eritrea e dell’Etiopia.