Stiamo combattendo le notizie false nel modo sbagliato
Il fact-checking è utile solo per pochi: dovremmo dare ai cittadini gli strumenti per capire le notizie, dice Nina Jankowicz sul Washington Post
di Nina Jankowicz – The Washington Post
Nina Jankowicz si occupa di consulenza nel campo delle comunicazioni strategiche e ricerca sulle attività di disinformazione in Europa in Ucraina, e partecipa al programma Fulbright-Clinton Public Policy per il 2016-2017
Nella lotta contro le notizie false i governi di tutto il mondo stanno assumendo specialisti della comunicazione per riuscire a ideare una formula magica capace di fare ottenere a comunicati altrimenti anonimi la stessa viralità di un video di due gatti che giocano a battere le zampe (per quel che vale, non esiste nessuna formula simile). Anche se non c’è nulla di male a insegnare ai governi a raccontare storie migliori e a stabilire un legame con le persone, le “comunicazioni strategiche” hanno i loro limiti. Una cosa che non possono fare – e non faranno – è vincere da soli la guerra dell’informazione che al momento ci troviamo a combattere contro la Russia. Per guadagnare campo in questa battaglia – per non parlare di vincerla – sarà necessario un investimento più lungo e costoso della creazione di un ennesimo account su Twitter dedicato a sfatare le bufale. Per avere successo i governi occidentali devono dedicarsi a colmare il divario di fiducia tra cittadini e mezzi d’informazione, oltre che tra gli stessi cittadini.
Questo divario è diffuso in tutto il mondo. Nel 2017 l’Edelman Trust Barometer ha registrato «un’implosione della fiducia», che la Russia sta sfruttando. In Ucraina il governo russo fa leva sull’impazienza dei cittadini nei confronti della lentezza delle riforme diffondendo una moltitudine di notizie false sulla presunta inettitudine del governo. In Repubblica Ceca, dove la recessione nel 2012 ha messo in difficoltà molte persone nelle campagne e rafforzato il sostegno a un candidato anti-establishment, anti-europeo e filo-russo, la Russia ha sfruttato il divario di fiducia tra cittadini e informazione, colmandolo con messaggi che hanno amplificato le lamentele e le paure dei cittadini.
Anche nei paesi che sono immuni dalla sua propaganda, la Russia è in grado di usare strategie meno evidenti per sfruttare il calo della fiducia nei mezzi di informazione. Nel caso della Polonia il governo russo si è limitato a sfruttare il disastro aereo del 2010 nella città russa di Smolensk in cui è morto l’ex presidente polacco Lech Kaczynski. Il partito di governo in Polonia (guidato dal fratello di Kaczynski) diffonde da sempre teorie del complotto sullo schianto aereo, suscitando dubbi e generando confusione. Il governo russo non ha bisogno di alzare un dito. Anche altrove la Russia ha usato con grande profitto strategie subdole. Le interferenze nelle elezioni americane hanno generato un caos e un’incertezza che continuano a risuonare nella scena politica statunitense. Nel frattempo, mentre si preparano a elezioni imminenti, Francia e Germania sono diventate gli ultimi bersagli della Russia.
L’Occidente sta cercando di chiudere il divario di fiducia tra cittadini e mezzi di informazione fondando e finanziando moltissime attività di verifica delle informazioni. Secondo uno studio del Duke University Reporters Lab, al momento nel mondo sono attive almeno 114 organizzazioni di fact-checking, mentre nel 2014 erano 44. BBC, Facebook e altre società hanno creato iniziative che si occupano di sfatare le notizie false e che si aggiungono alla storica organizzazione ucraina StopFake. Le iniziative di questo tipo sono importanti. Ci consentono di individuare gli schemi e le tecniche adottate dalla Russia per diffondere disinformazione. Ma, intrinsecamente, sono attività di reazione.
Concentrando i nostri sforzi sul fact-checking permettiamo alla Russia di impostare la narrazione e saremo sempre sulla difensiva. Inoltre, nelle società in cui il divario di fiducia esiste, la verità stessa si è politicizzata. Jaroslav Plesl, direttore del secondo quotidiano ceco, Dnes, mi ha raccontato che iniziative come l’Hybrid Threats Center in Repubblica Ceca, fondato a gennaio con l’obiettivo di condurre ricerche nell’ambito della disinformazione nel paese e sfatare notizie false, non colgono il punto principale della questione. «Le persone hanno la sensazione che combattere le bugie significhi combattere le opinioni», mi ha detto Plesl.
Invece di finanziare altre iniziative di fact-checking e creare un piccolo settore in cui quelli che si occupano di sfatare le bufale competono tra di loro per ottenere fondi e attenzioni, dovremmo mettere in condizioni i cittadini di muoversi attraverso il confuso mercato dei mezzi d’informazione del 21esimo secolo. Questi tentativi dovrebbero partire dalle cose fondamentali, come per esempio creare la credibilità di una fonte d’informazione e individuare i segnali di manipolazione emotiva. Un recente progetto in Ucraina finanziato dal Canada ha fornito a 15mila cittadini un corso intensivo di alfabetizzazione mediatica. In nove mesi il numero dei partecipanti che faceva un controllo incrociato sulle notizie che consumava è salito del 23 per cento. L’ideale sarebbe che questi progetti comprendessero dei piani di studio per i bambini che frequentano le scuole, i dipendenti del governo e addirittura i politici. Dovremmo anche incoraggiare i giornalisti – soprattutto a livello locale, dove hanno maggiori probabilità di interagire con le persone comuni – a occuparsi di questioni che hanno un’importanza diretta per le popolazioni diffidenti.
Non esistono soluzioni rapide, ma per far recuperare la fiducia nei giornali c’è bisogno di avere una visione globale su cosa vuol dire vincere la guerra dell’informazione. Se i nostri sforzi avranno successo, le persone consumeranno le notizie in modo più responsabile, provando a considerare una serie di punti di vista diversi per condurre una vita quotidiana informata e un livello di critica sano per qualsiasi democrazia, mentre si sviluppa una maggiore immunità alle versioni complottiste della verità.
Viviamo in un’epoca in cui etichettare qualcosa come “falso” è diventato un problema politico. Ora più che mai le persone hanno bisogno di un accesso all’informazione di grande qualità e della capacità di riconoscerla quando la vedono. Un’ennesima iniziativa per sfatare le notizie false non riuscirà a farlo, e senza un investimento nelle competenze in grado di far riguadagnare fiducia nell’informazione avrebbe comunque poche speranze di successo.
© 2017 – The Washington Post