Belle canzoni del 2017, finora
Scelte tra quelle che sono uscite in questi primi tre mesi dell'anno, ma di cui probabilmente non vi siete accorti
Stare dietro alle nuove uscite musicali è molto complicato, perché ogni settimana escono decine di dischi e di singoli. Spesso è difficile anche solo rimanere aggiornati su generi e artisti che apprezziamo, e se si seguono solo quelli poi si rischia di perdersi cose nuove e che non sappiamo potrebbero piacerci. Insomma: tenere d’occhio le raccolte di nuove uscite che fanno i siti specializzati, italiani e stranieri, è un buon modo per far fare il lavoro sporco a qualcun altro.
Abbiamo raccolto anche noi le canzoni che abbiamo ascoltato di più al Post in questi primi tre mesi del 2017, o che comunque ci hanno incuriosito per qualche motivo. Abbiamo selezionato però quelle che per un motivo o per l’altro potrebbero esservi sfuggite: niente Drake, Gorillaz, Kendrick Lamar o Lorde, per intenderci, che quelli lo sappiamo che li tenete già d’occhio, volenti o nolenti. Qui c’è la playlist su Spotify, se preferite: ma per ogni canzone abbiamo spiegato che storia ha chi l’ha fatta e quali sono le cose notevoli, quelle di cui si è discusso, quelle più belle, quelle che non si notano subito, quelle insolite, eccetera.
“Hymn” – VeilHymn
Se non siete stati attenti nelle ultime settimane, il nome VeilHymn vi suonerà nuovo: è l’ultimo progetto di Dev Hynes, eclettico cantante e polistrumentista britannico che negli ultimi anni si era fatto chiamare Blood Orange. Insieme a lui nei VeilHymn c’è Bryndon Cook, cantante soul conosciuto come Starchild, che ha già fatto da chitarrista e produttore per Solange Knowles. “Hymn” ricorda l’ultimo disco di Blood Orange, Freetown Sound, uscito l’anno scorso e di cui si era parlato molto bene: anche qui viene fuori la sua capacità di mischiare un sacco di generi diversi in una sola canzone senza farlo pesare. La voce principale è di Cook, dietro a tutto il resto c’è Hynes: parla di quando ci si complica la vita da soli, pensando troppo alle cose.
It’s in your mind
And who knows if that’s the thing that’s right
All you know is what you think is inside
“Pa’lante” – Hurray For The Riff Raff
Gli Hurray For The Riff Raff arrivano da New Orleans, fanno una specie di folk alternativo e girano intorno alla cantante Alynda Segarra, che ha una gran voce e origini portoricane (e che infatti ogni tanto canta in spagnolo). “Pa’lante” fa parte di The Navigator, il loro sesto e ultimo disco, uscito a marzo. Si parla di minoranze, di radici perdute, di ricerca di identità negli Stati Uniti d’oggi. “Pa’lante” è slang latino per dire “forza!”, inteso qui come invito a chi è discriminato per la sua provenienza. Ma Segarra ci arriva costruendo l’attesa: prima c’è un inizio triste e avvolgente, e poi una parte centrale più incalzante, un finto ritornello mascherato da canzone dei Beatles.
From el barrio to el assyeo, ¡Pa’lante!
From Marble Hill to the ghost of Emmett Till, ¡Pa’lante!
“Coconuts” – Anna Wise
Anna Wise è una cantante di Brooklyn, collaboratrice di lungo corso di Kendrick Lamar: ha cantato in diverse sue canzoni, fin da Good Kid, M.A.A.D City, ma soprattutto in “These Walls”, uno dei singoli di To Pimp a Butterfly, per la quale ha vinto anche un Grammy. Il suo nuovo singolo, “Coconuts”, anticipa il suo prossimo disco The Feminine: Act II, ed è notevole perché ci sono dei sassofoni che fanno cose jazz sopra una base trap, quel genere di hip hop caratterizzato da una base ritmica sincopata con al centro la cassa e il charleston della batteria, che sta dominando parte del rap mondiale da qualche anno. Lei in più ci mette molti “yeee – uuuu” a riprendere i sintetizzatori, e viene fuori una cosa che non si sente spesso.
“Third of May / Ōdaigahara” – Fleet Foxes
Dopo sei anni a giugno torneranno i Fleet Foxes, band di Seattle che ha fatto solo due dischi che però sono bastati a metterla nel giro dei nomi importanti dell’indie. Il disco si chiamerà Crack-Up, ed è preceduto dal singolo “Third of May / Ōdaigahara”: il 3 maggio del 2011 è il giorno in cui uscì il loro ultimo disco, Helplessness Blues, ed è anche il compleanno di Skyler Skjelset, uno dei fondatori del gruppo. Il cantante Robin Pecknold ha spiegato che il testo parla proprio della sua relazione con Skjelset, della separazione che ha seguito il loro ultimo tour, delle cose rimaste irrisolte, di quelle di cui sentiva la mancanza. Anche per via della voce di Pecknold, i Fleet Foxes hanno spesso ricordato Simon & Garfunkel. La nuova canzone è diversa: comincia come un loro pezzo tradizionale, ma nei suoi quasi nove minuti cambia e si evolve in una struttura complessa e varia, quasi in una serie di canzoni diverse – divise proprio da pause – mantenendo però alcuni loro tratti distintivi, come i crescendo potenti, orchestrati con sapienza e senza mai sbracare.
Was I too slow? Did I change overnight?
“Strike a Match” – Sacred Paws
I Sacred Paws sono la cantante e chitarrista Rachel Aggs e la cantante e batterista Eilidh Rodgers, che facevano parte delle Golden Grrrls, una band britannica che si è sciolta nel 2014: a gennaio è uscito il loro primo disco, Strike a Match, tutto trainato dalle schitarrate di Aggs e dall’accompagnamento ritmico essenziale di Rodgers che fanno battere il piede per l’intero disco, senza sosta. A partire dal singolo omonimo, in cui si fanno aiutare da una sezione di fiati.
“Oslo” – Anna of the North
Questa è in quota pop scandinavo: Anna of the North è il progetto di Anna Lotterud, cantante norvegese che aveva fatto parlare di sé per la prima volta nel 2014 per la canzone “Sway”. Non ha ancora fatto uscire un suo disco, ma “Oslo” è girata abbastanza in questi primi mesi del 2017. Ricorda moltissimo i suoni dell’ultimo disco dei Chvrches: se vi piace l’electro e il synth pop state attenti a quando farà un disco.
“Darling” – Real Estate
A marzo è uscito In Mind, il quarto disco dei Real Estate, la band del New Jersey tra i maggiori esponenti contemporanei del jangle pop (non è esattamente una competizione agguerrita), come viene chiamato il pop che mette al centro gli arpeggi di chitarra elettrica, a cui spesso sono aggiunti effetti come il tremolo o il phaser. Come i Byrds negli anni Sessanta, o alcune cose dei R.E.M, per capirsi. Per “Darling”, la prima canzone del disco, i Real Estate fanno esattamente quella cosa lì, quella che riesce loro meglio: complicandola appena con un accompagnamento di batteria ingannevole e con un cavallo che butta giù le tastiere, nel video. E hanno sempre quell’aria goffa ma consapevole, da farti capire che ci marciano sopra.
“Everybody” – Logic
Everybody sarà il nome del terzo disco di Logic, navigato rapper del Maryland che nonostante il successo di critica e pubblico rimane un po’ sottovalutato. Per il singolo omonimo che anticipa il disco, Logic parla dell’elefante nella stanza: Logic – il cui vero nome è Sir Robert Bryson Hall II – è un bianco che fa un genere da afroamericani. In realtà suo padre era nero, ma – dice nel testo – lui sembra bianco, e per questo non è accettato né dai bianchi né dai neri per quello che fa. E vorrebbe superarla questa cosa, dice nel ritornello. È un po’ ingenuo, all’apparenza: ma se volete approfondire ha spiegato nel dettaglio cosa pensa della questione razziale, sul sito di musica Genius.
In my blood is the slave and the master
It’s like the devil playin spades with the pastor
“Baybee” – Jay Som
A marzo è uscito Everybody Works, il primo disco della cantante e polistrumentista americana di origini filippine Melina Duterte, che si fa chiamare Jay Som dopo aver inserito il suo nome in un generatore automatico online di nomi che ricordano quelli dei membri dello storico gruppo hip hop dei Wu-Tang Clan (esattamente come Donald Glover/Childish Gambino). Le sue canzoni sono ovattate e stratificate, e danno l’impressione di una che non fa altro da trent’anni. E invece ne ha solo 22. Si rifà un po’ alla cantante di origini giapponesi Mitski, che nel 2016 ha fatto uscire uno dei dischi più apprezzati dell’anno. Jay Som ha registrato tutto il disco in camera sua, e ha suonato tutti gli strumenti: che in “Baybee”, se ci fate caso, hanno delle parti individuali molto varie e autonome, che però funzionano benissimo insieme.
“Little Bubble” – Dirty Projectors
Il cantante della storica band indie rock degli anni Duemila dei Dirty Projectors, David Longstreth, si è lasciato con la sua fidanzata e chitarrista e cantante del gruppo Amber Coffman. L’ultimo disco dalla band, che si chiama semplicemente Dirty Projectors, è una specie di elaborazione di questa separazione. In “Little Bubble”, una canzone che ricorda un po’ quelle dell’ultimo disco di Bon Iver, si parla con un testo ingarbugliato e trascinato della piccola bolla che avevano i due, che è durata per un po’ e poi è finita: ora si sveglia da solo, «e la luce fredda di ottobre colpisce come un buco nero».
“Cute” – D.R.A.M.
D.R.A.M. sta per Does. Real. Ass. Music., ed è un rapper della Virginia che ha avuto un grande successo per la sua canzone “Broccoli”, in cui cantava Lil Yachty e che ha venduto tantissimo. “Cute” ha un testo banale, nessuna vera invenzione e un sacco di trombe da stadio: ma funziona perché è talmente spensierata e orecchiabile da fare il giro.
I saw you on your Instagram and
I think you’re cute, I think you’re cute
(…)
I choose you like a Pokémon
I choose you, you’re selection one
(davvero?)
“(Nobody Knows Me) Like the Piano” – Sampha
Sono anni che Sampha Sisay fa collaborazioni con i nomi più grossi dell’hip hop, da Kanye West a Solange Knowles, ma il suo primo vero disco, Process, è uscito solo a febbraio. È britannico, ha una gran voce e ai concerti suona sempre la tastiera. Spesso lo si vede insieme a SBTRKT, il progetto di Aaron Jerome, e ha una canzone tutta sua nell’ultimo disco di Drake. “(Nobody Knows Me) Like the Piano” è la canzone del disco che è girata di più: è una ballad piano-voce apparentemente tradizionale, ma Sampha è un produttore esperto e ci ha infilato degli effetti accennati per renderla più contemporanea, anche se magari lì per lì non ci si fa caso. È probabile che si sentirà parlare di lui sempre di più, quindi prendetelo dall’inizio e ascoltate Process.
“Music Is The Answer” – Joe Goddard
Joe Goddard è uno dei membri degli Hot Chip, ed è un nome rispettato nel giro dell’indie e dell’elettronica britannica. Il 21 aprile esce un suo disco da solista, Electric Lines, che è stato anticipato da “Music is the Answer”, un singolo con una base e un ritornello ipnotici e un video con le animazioni del collettivo di Londra Shynola, quelli di “Strawberry Swing” dei Coldplay.
“Smoke ‘em Out” – CocoRosie feat. ANOHNI
CocoRosie, il nome con cui si fanno chiamare le sorelle americane Bianca e Sierra Casady, sono tornate a lavorare con Antony Hegarty degli Antony and the Johnson (che ora è ANOHNI), per una canzone scritta dopo la vittoria di Donald Trump alle elezioni americane. Un risultato di cui non sono esattamente contente. All’inizio sembra una canzone di M.I.A., poi nel ritornello arriva ANOHNI con la sua voce che si riconosce da lontanissimo, incitando alla rivolta. «Il futuro è donna», hanno scritto presentando la canzone su YouTube.
“Name for You” – The Shins
Non se ne è parlato tantissimo, ma gli Shins – tra le più famose band indie degli ultimi quindici anni, provenienti dal New Mexico – hanno fatto un nuovo disco, cinque anni dopo l’ultimo: si chiama Heartworms. Potreste esservi persi qualche passaggio, ma dei membri originali della band è rimasto solo James Mercer. Il risultato è che adesso, sostanzialmente, gli Shins sono Mercer, e viceversa: questa è la prima canzone del disco, dedicata alle sue tre figlie e con citazioni di Shakespeare nel ritornello. Concorre nel campionato delle belle canzoni degli Shins, ma non in quello delle più belle canzoni degli Shins.
They’ve got a name for you girls
What’s in a name?
They got a name for everything
“Keep Running” – Tei Shi
Tei Shi è argentina, ma ha vissuto in mezzo Sud America: poi è andata a New York e da qualche anno tutti la stanno guardando con attenzione perché ha una voce incredibile e complessa, e perché le sue canzoni sono tutte notevoli. Comprese quelle di Crawl Space, il suo primo vero disco, che è appena uscito: “Keep Running” è il primo singolo, trascinante, con un video con un finale alla Janet Jackson. È uscita dalla nicchia, il potenziale c’è.
“Land of the Free” – Joey Badass
Jo-Vaughn Virginie Scott ha 22 anni, è di Brooklyn, è uno dei fondatori del collettivo hip hop Pro Era e forse lo avete visto nella seconda stagione di Mr. Robot. È uno dei nuovi nomi più interessanti del rap, perché nonostante l’età il suo hip hop è considerato musicalmente maturo (e un po’ vecchio stile, anche). Il 7 aprile esce il suo nuovo disco, All-AmeriKKKan Bada$$, che conterrà tra le altre la hit dell’anno scorso “Devastated” e il singolo “Land of the Free”, che ha una gran base, un video efficace e un testo molto militante.
In the land of the free, it’s full of free loaders
Leave us dead in the street to be the organ donors
They disorganized my people, made us all loners
Still got the last names of our slave owners
“Sweet Sound of Ignorance” – Soko
Non si sa se sia in arrivo un disco di Soko, la cantante francese che ebbe discrete fortune internazionali nel 2007 con “I Kill Her”, e che da allora ha prima detto che si sarebbe ritirata, poi invece ha fatto due dischi e molti concerti, spesso strani. “Sweet Sound of Ignorance” sembra un pezzo dei Cocteau Twins, con le chitarre sospese e la voce che a volte sembra vada da un’altra parte, e invece no. Lei ha spiegato che la canzone è un risultato del suo tentativo di isolarsi da tutto e da tutti: infatti nel video è in pigiama.
“Friend Zone” – Thundercat
Il nuovo disco di Thundercat è stata una delle cose più attese del 2017 in una nicchia di appassionati di jazz e hip hop, perché il suo nome era finito nei credits di alcune delle produzioni più riuscite degli ultimi anni. È un bassista e polistrumentista di Los Angeles, e insieme a gente come Kamasi Washington (che è un sassofonista) ha dato inizio a una nuova ondata di jazz mischiato all’hip hop: è una delle persone dietro a To Pimp a Butterfly di Kendrick Lamar, per dire. Nel suo ultimo disco, Drunk, che ha avuto Flying Lotus come principale produttore, c’è molto funk e soul, ed è uno dei migliori del suo genere usciti negli ultimi anni: “Friend Zone” è una delle canzoni più rappresentative, per come riesce a rendere orecchiabile e quasi ballabile un pezzo così articolato, a partire dalla linea vocale.
“Bobby” – Alex G
Alexander Giannascoli ha 24 anni, è di Philadelphia e ha già fatto sette dischi: ha sfondato nel 2014 con DSU, che aveva registrato da solo in casa ed era finito in un sacco di liste dei siti specializzati sui migliori dischi dell’anno. È facile che vi ricordi Elliott Smith, con il suo indie folk, ed è uno di quegli artisti che Frank Ocean ha preso sotto la sua protezione. “Bobby” è una canzone quasi country, con sviolinate aperte e cori pieni di tenerezze: Alex G promette alla sua partner di essere disposto a cambiare i suoi difetti e migliorarsi. Il suo prossimo disco, Rocket, esce il 9 maggio.
“Sugar for the Pill” – Slowdive
La band indie britannica degli Slowdive non fa un disco dal 1995: c’è quindi una comprensibile attesa per Slowdive (d’accordo: in ventidue anni forse si poteva pensare a un titolo più articolato), che uscirà il 5 maggio. Dentro ci saranno sia Neil Halstead sia Rachel Goswell, i due membri principali della band. “Sugar for the Pill” promette bene, e si discosta dalle sonorità a cui avevano abituato (che invece ci sono in “Star Roving”, l’altro singolo che anticipa il disco). È una ballad minimalista, senza schitarrate distorte e con un cantato un po’ anni Ottanta.
“On + Off” – Maggie Rogers
Se la faccia di Maggie Rogers vi dice qualcosa, è per questo video: è americana, ha 23 anni e l’anno scorso Pharrell Williams è andato a fare una lezione agli studenti di un master musicale associato alla New York University che frequentava. Williams ha ascoltato la sua canzone “Alaska”, e si è commosso riempiendola di complimenti: il video è stato visto moltissime volte, e Rogers si è ritrovata famosa. “Alaska” era molto bella, ma lo è anche “On + Off”, il suo secondo singolo, contenuto nell’EP Now That the Light Is Fading che è uscito a febbraio. Deve probabilmente ancora prendere un po’ le misure, ma sta iniziando a fare concerti e le sue canzoni su YouTube hanno tutte più di un milione di visualizzazioni. A molti ricorda Lorde e Elle Goulding, e la sua cosa più sorprendente è che con così poca esperienza faccia già canzoni che sembrano fatte apposta per stare in cima alle classifiche: anche in questo caso, segnatevi il nome.
“How We Met, The Long Version” – Jens Lekman
Jens Lekman, se sapete chi è, capace che o lo amiate o lo detestiate: è svedese, e da quindici anni fa le stesse cose un po’ barocche e fuori dal tempo, pezzi pop pieni di chitarre e campioni funk, e con testi molto smielati. A febbraio è uscito Life Will See You Now, il suo ultimo disco, accolto piuttosto bene e contenente la canzone più allegra e ballabile che abbia mai fatto, per distacco. “How We Met, The Long Version” campiona un pezzo funk semisconosciuto degli anni Ottanta, “Dancing” di Jack Stoudemire, a cui ha aggiunto i sintetizzatori e un accompagnamento funky di chitarra, che rende il tutto una canzone disco. Il risultato forse non è riuscitissimo, anche per un intermezzo smarmellato intorno alla metà che non c’entra moltissimo: ma va registrato il tentativo, perlomeno. E il video è divertente.
“Angels/Your Love” – Mr. Jukes ft, BJ The Chicago Kid
Mr Jukes è il nome con cui si fa chiamare adesso Jack Steadman, il leader dei Bombay Bycicle Club, famosa band indie folk britannica i cui membri hanno annunciato l’anno scorso che per un po’ non suoneranno più insieme. Ha fatto uscire una canzone con il cantante soul BJ The Chicago Kid, una specie di suite di due pezzi trascinati da sassofoni, trombe e tromboni, e da un coro di bambini. Un po’ Gorillaz, un po’ Avalanches.
“BagBak” – Vince Staples
Vince Staples è uno dei più apprezzati rapper sotto i venticinque anni: è di Los Angeles, e il suo disco di debutto, Summertime ’06 del 2015, aveva ricevuto critiche molto positive. Recentemente ha cantato anche in “Ascension”, una delle canzoni già diffuse del prossimo disco dei Gorillaz. “BagBack” farà parte del suo prossimo disco Big Fish Theory: il rap di Staples è meno verboso del solito, e la base prende molto dalla Detroit techno e dalla parentesi acid di Kanye West (quella del disco Yeezus), anche se c’è il piatto tipico della trap.
“Saturn” – Sufjan Stevens, Bryce Dessner, Nico Muhly, James McAlister
Si sa da qualche settimana che Sufjan Stevens (tra i più inventivi musicisti e cantautori di questo millennio), Bryce Dessner dei National, il compositore Nico Muhly e il batterista di Stevens James McAlister faranno uscire a giugno un disco chiamato Planetarium, che consisterà in una serie di canzoni sulla Via Lattea che hanno già portato in tour qualche anno fa, ma che non avevano ancora registrato in un disco vero e proprio. È una cosa molto diversa da quello che ha reso famoso Stevens, la cui voce è processata con un Auto Tune molto pesante e metallico e accompagnata da una base ossessiva. Ma dà l’idea di qualcosa di spaziale, appunto, quindi missione riuscita.
“Beautiful Little Fools” – Jorja Smith
Jorja Smith non ha ancora vent’anni, ma ha cantato in una delle canzoni più di successo di More Life di Drake (“Get it Together”) e nel disco ha addirittura una canzone a lei dedicata, “Jorja Interlude”. È inglese, e tutti ne parlano come di una possibile futura stella del soul e dell’R&B, paragonandola a Amy Winehouse e FKA Twigs. Il suo ultimo singolo, “Beautiful Little Fools”, è uscito in occasione della Festa della donna: il titolo è una citazione del Grande Gatsby, e il testo parla dei canoni di bellezza femminile e del ruolo della donna. Ma la scena se la prende tutta la sua voce formidabile, esibita quasi svogliatamente.
“Anymore” – Goldfrapp
I Goldfrapp, tra i pesi massimi dell’elettronica da una ventina d’anni, non facevano un disco dal 2013. A marzo è uscito Silver Eye, che comincia con questa: una hit cattiva e con suoni molto anni Duemila, con un video evidentemente ispirato a Mad Max: Fury Road. Il disco è piuttosto vario e piacevole, anche se in molti si aspettavano qualche invenzione in più.
“This Old Dog” – Mac DeMarco
È il singolo che anticipa l’omonimo, prossimo disco di Mac DeMarco, cantautore canadese con uno stile molto originale, che ricorda un po’ i Tame Impala e certe cose di Damon Albarn. In “This Old Dog” è tutto appeso e malinconico, anche più del solito. È quasi speculare – fin dal titolo – a “My Old Man”, l’altra canzone del disco che è già uscita.
“Ravens” – Mount Eerie
I Mount Eerie sarebbero Phil Elverum, cantautore di Washington già leader dei Microphones, band indie anni Novanta. A marzo è uscito A Crow Looked at Me, un disco che Elverum ha dedicato a sua moglie Geneviève Castrée, illustratrice canadese morta l’anno scorso. Quindi è un disco triste, così come lo è “Ravens”, e il testo di “Ravens”, e il video di “Ravens”: ma molto bella, se siete di quell’umore lì.
“Do You Know Me By Heart” – Cameron Avery
Cameron Avery da qualche anno fa parte della band di rock psichedelico dei Tame Impala, nei quali suona la batteria e fa i cori (c’è nell’ultimo disco, Currents); poi come altri membri dei Tame Impala ha fatto anche parte dei Pond (sempre una band di rock psichedelico), suonando la batteria. È australiano, ha 29 anni e a marzo ha fatto uscire il suo primo disco da solista, Ripe Dreams, Pipe Dreams, completamente diverso dalla musica che fa con i Tame Impala. È un disco che si rifà un po’ ai crooner degli anni Quaranta e un po’ ai grandi cantautori folk americani, in cui convivono canzoni alla Leonard Cohen e altre come “Do You Know Me by Heart”, una ballad con un testo struggente e un accompagnamento di archi come non ne fanno più.
E questa è la playlist di Spotify, per chi è arrivato fino qui.