Che cos’è l’intelligenza artificiale
Perché se ne parla di nuovo tanto e a che punto siamo nella costruzione di un computer che pensa da solo
I progressi nell’intelligenza artificiale ottenuti negli ultimi anni non hanno precedenti: computer sempre più potenti e la possibilità di avere enormi quantità di dati, grazie a Internet, hanno reso possibile la creazione di software molto elaborati, che nei prossimi anni potrebbero cambiare sensibilmente il nostro rapporto con i computer, le macchine e più in generale il mondo. Alcuni piccoli pezzi di questi progressi e innovazioni fanno già parte delle nostre vite, dagli assistenti personali sugli smartphone come Siri alle automobili che si guidano da sole, passando per software sofisticati come AlphaGo di Google, che l’anno scorso ha imparato a giocare al complicatissimo gioco da tavola cinese “go” meglio di chiunque altro, battendo un campione mondiale. Ma se da un lato è vero che le nostre esperienze si incrociano sempre più spesso con software “intelligenti”, siamo ancora molto distanti dalla creazione di una vera e propria intelligenza artificiale (AI), in grado di pensare e comportarsi come un essere umano, se non meglio.
Definire l’AI
Non esiste una sola definizione di intelligenza artificiale e non c’è nemmeno un ampio consenso tra ricercatori e informatici su come possa essere definita, perché il concetto comprende una grande quantità di argomenti che vanno dalla pura informatica alla neurologia, passando per gli studi su come funziona il nostro cervello. In linea di massima possiamo dire, molto genericamente: l’intelligenza artificiale è la scienza che si occupa di come creare macchine intelligenti, e che ha trovato nelle possibilità offerte dall’informatica la via più pratica e probabile per ottenere un simile risultato. Questo ambito della scienza è strettamente legato a quello ancora più ampio che da tempo cerca di rispondere alla domanda delle domande: come funziona l’intelligenza umana? Le scoperte sull’intelligenza potrebbero portarci a sviluppare la migliore AI possibile, ma secondo altri ricercatori potrebbe avvenire il contrario: sviluppando un’AI potremmo scoprire cose su come funziona il nostro cervello.
Semplificando, l’intelligenza è l’insieme delle capacità psichiche e mentali che permettono di pensare, comprendere le azioni e i fatti e saperli spiegare, fino a elaborare modelli astratti partendo dalla realtà. Questi processi portano alla capacità di ottenere un risultato di qualche tipo, con vari livelli di efficienza a seconda dei casi. L’intelligenza è quasi sempre riferita all’intelligenza umana, l’unica di cui abbiamo una conoscenza e un’esperienza diretta, e questo complica la nostra capacità di immaginare intelligenze diverse, che magari potrebbero essere più adatte per lo sviluppo di una AI.
Intelligenza e software
In secoli di studi, scientifici ma anche filosofici, sono stati identificati particolari meccanismi che sono alla base dell’intelligenza. Traendo ispirazione dal loro funzionamento, è stato possibile realizzare computer che imitano parte di questi meccanismi. Il problema è che a oggi non si è ancora riusciti a imitarli e integrarli tutti, quindi i sistemi di AI di cui disponiamo sono sostanzialmente incompleti. Un software può quindi imitare i meccanismi necessari per vincere una partita a “go”, o per guidare un’automobile automaticamente rispettando il codice della strada, migliorando queste sue capacità e diventando “intelligente” in senso lato.
In decenni di ricerche, sono state provate diverse soluzioni per raggiungere un’AI vera e propria. Di base sono stati scelti due approcci: uno è consistito nell’osservare il comportamento umano, il modo in cui ragioniamo e ci comportiamo, per costruire software che imitino il più possibile i nostri processi logici; l’altro è più creativo e prevede di partire dai problemi che pone la realtà e sulla base di questi fare elaborare all’AI un proprio metodo di comportamento. I due approcci spesso si incrociano e uno non esclude necessariamente l’altro, anche perché i progettisti sono comunque esseri umani, con un loro modo di pensare e ragionare che si riflette nella progettazione dell’AI.
Da dove arriva l’idea di AI
La prospettiva di riuscire a creare un giorno una macchina che possa imitare il comportamento umano è emersa in molti periodi storici, incrociando la mitologia, l’alchimia, l’invenzione degli automi e la fantascienza. Fu però il britannico Alan Turing nel 1950 a mettere insieme e formalizzare molti dei concetti alla base dell’intelligenza artificiale, per come la intendiamo oggi. Nel suo Macchine calcolatrici e intelligenza elencò quali fossero i requisiti per definire “intelligente” una macchina. Turing elaborò il concetto di un test, che oggi porta il suo nome, nel quale un’intelligenza artificiale si rivela tale solo se riesce a convincere chi la sta utilizzando di avere a che fare con una persona e non una macchina.
Il problema del test di Turing è che permette una valutazione parziale da parte dell’osservatore: una macchina che lo supera può essere considerata intelligente, ma al tempo stesso non avere le capacità di imitare in tutto un essere umano e il suo modo di pensare. Nel 2014 un software ha superato, secondo alcuni osservatori, il test di Turing fingendo di essere un ragazzino di 13 anni di origini ucraine, che chiedeva ai suoi interlocutori comprensione per non avere molta padronanza dell’inglese, essere un po’ ignorante e non seguire sempre linearmente la conversazione. Sfruttando battute, giri di parole e altri artifici retorici, il software ha effettivamente convinto alcune persone di essere gestito da un essere umano, ma un sistema di questo tipo rimane comunque molto distante da una AI vera e propria.
Negli ultimi anni sono state elaborate evoluzioni del test di Turing, per mitigare il fatto che molte persone arrivano alla conclusione che un sistema sia intelligente anche se mantiene un livello di conversazione molto basso. C’è chi propone di sottoporre le AI a test nei quali siano comprese domande senza senso come “I calciatori con le ali ai piedi fanno gol più spesso?”, che richiedono elaborazioni molto più complesse per dare una risposta, senza cadere nel tranello.
Ci sarà mai un’intelligenza artificiale simile a quella umana?
L’obiettivo finale della AI, intesa come scienza, è realizzare software in grado di raggiungere obiettivi e risolvere problemi nella realtà come farebbe un essere umano. I più ottimisti pensano che un giorno sarà possibile ottenere una macchina con le capacità necessarie per pensare autonomamente. Il problema è che, nonostante i progressi degli ultimi anni, mancano ancora molti pezzi per raggiungere un obiettivo di questo tipo: sono quindi necessari nuovi approcci e idee, che ancora devono essere immaginati.
Un’idea affascinante, che non a caso ricorre spesso nella fantascienza, prevede la creazione di un’AI di base che imiti i processi cognitivi di un bambino. Una AI di questo tipo potrebbe poi imparare nuove cose, proprio come avviene durante la crescita, acquisendo capacità e maggiore autonomia di pensiero. Forse un giorno qualcuno ci riuscirà, ma anche in questo caso mancano dei pezzi: non siamo ancora in grado di creare una macchina che impari dalle esperienze fisiche, così come programmi che riescano a interpretare efficacemente il linguaggio per capire approfonditamente ciò che stanno leggendo.
OK, ma nella pratica?
L’informatica è l’ambito nel quale sono state sperimentate più soluzioni per la creazione di intelligenze artificiali, soprattutto a partire dalla seconda metà del Novecento. In linea puramente teorica, non servono grandi capacità di calcolo per realizzare un programma “intelligente” e, secondo alcuni ricercatori, probabilmente i computer di 30 anni fa erano già veloci a sufficienza, ed è semplicemente mancata la capacità di programmarli per creare la AI. I progressi degli ultimi anni, la possibilità di mantenere in rete migliaia di computer che lavorano insieme e la grandissima quantità di dati disponibile tramite Internet sono stati comunque determinanti per le evoluzioni delle AI verso sistemi sempre più intelligenti, per quanto con scopi limitati.
Aziende come Google, Facebook, Amazon, Uber e diverse case automobilistiche stanno investendo molte risorse e denaro per produrre intelligenze artificiali, per lo meno nel senso lato del termine. Anche se nella pratica è ancora impossibile realizzare un computer che pensi come un essere umano, si possono comunque ottenere software in un certo modo intelligenti e abili nello svolgere compiti particolari. Grazie alle reti neurali e al deep learning (qui raccontiamo che cosa sono), Google ha per esempio migliorato il suo Traduttore rendendo molto più accurate le traduzioni automatiche da diverse lingue come inglese, spagnolo, francese, portoghese, cinese, giapponese, coreano e turco. Facebook ha invece realizzato sistemi per riconoscere più velocemente i contenuti nelle fotografie caricate dai suoi utenti, semplificando la moderazione dei contenuti vietati sul social network.
Un altro settore in cui lo sviluppo delle intelligenze artificiali ha dato già importanti risultati è quello delle automobili che si guidano da sole. I software utilizzati da Google, Uber e gli altri per ora non sono molto “intelligenti” e ripetono di continuo algoritmi per riconoscere la segnaletica stradale, la presenza degli altri veicoli, dei pedoni e fare previsioni su come si muoveranno intorno all’automobile. L’idea è però affinare questi sistemi in modo che tramite il machine learning imparino a migliorarsi, rendendo sempre più sicura e affidabile la guida automatica.