Perché usare le armi chimiche è più grave
La stragrande maggioranza delle nazioni si impegna da decenni per il loro disarmo, per diverse valide ragioni
Da ieri mattina i giornali di tutto il mondo si stanno occupando di un bombardamento compiuto nella provincia siriana di Idlib nel quale sono state uccise almeno 74 persone, la maggior parte delle quali civili. Attacchi che causano un numero simile di morti non sono una rarità, da quando è iniziata la guerra in Siria: quello di ieri però ha impressionato un po’ tutti per via del fatto che è stato probabilmente compiuto con un agente chimico che ha effetti devastanti sul corpo, e cioè il gas sarin. La diffusione di foto e video molto forti che mostravano gli effetti del gas sulle persone colpite hanno contribuito ad attirare l’attenzione dei giornalisti e dei lettori di tutto il mondo. Una piccola parte di loro, però, se l’è presa parecchio per la reazioni pubbliche all’attacco di ieri: in fondo, sostiene chi appoggia questa tesi, decine di persone vengono uccise ogni giorno in Siria senza che la notizia della loro morte faccia il giro del mondo.
Questo pensiero spesso ne nasconde un altro: ritenere che tutti gli attacchi di una guerra abbiano uguale rilevanza e gravità perché in fondo ambiscono a un unico obiettivo, e cioè uccidere il proprio nemico. Non è così semplice: esistono vari tipi di attacco, che si differenziano per portata, mezzi con cui vengono compiuti e messaggi che intendono comunicare al nemico e al mondo. Da diversi decenni analisti ed esperti di guerra concordano sul fatto che gli attacchi compiuti con armi chimiche siano fra i più gravi e crudeli che esistano: è per questo, ad esempio, che l’allora presidente americano Barack Obama stabilì nel loro utilizzo la cosiddetta “linea rossa” oltre la quale avrebbe preso in considerazione un intervento militare in Siria (e che però non si è mai realizzato, nonostante il “superamento” della linea da parte del governo di Bashar al Assad). Ma per quale motivo gli attacchi chimici sono considerati così diversi dagli altri?
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Un po’ di cose da sapere, prima
Nell’antichità l’uso di armi chimiche era piuttosto noto, anche se raro: popolazioni come i Sumeri, i Greci, i Romani e i Cinesi hanno utilizzato con varia frequenza tecniche per avvelenare pozzi o le punte delle proprie frecce, oppure per soffocare i nemici con particolari sostanze tossiche generate da rudimentali reazioni chimiche. Nel Medioevo si diffuse la conoscenza di particolari composti sulfurei che venivano utilizzati durante gli assedi delle città, per asfissiare i nemici.
Con lo sviluppo della chimica moderna, i governi di varie nazioni dotarono il proprio arsenale di sostanze chimiche create artificialmente e sintetizzarono composti da utilizzare in guerra: l’esercito francese fu il primo a lanciare un gas lacrimogeno durante i primi mesi della Prima guerra mondiale, e altri ne imitarono l’esempio. Durante le battaglie nei territori al confine fra Francia e Germania, detto il fronte occidentale, si è stimato che furono utilizzate circa 50.965 tonnellate di gas tossici, fra cui cloro, fosgene e iprite. Quest’ultimo è considerato uno dei più dannosi per l’uomo: può penetrare i vestiti e creare piaghe nella pelle difficilmente curabili. Un’elevata esposizione all’iprite può provocare danni gravissimi all’apparato respiratorio e nei casi peggiori la morte.
Nel 1925, dopo che ci si rese conto dei danni devastanti provocati dalle armi chimiche, 38 nazioni firmarono il cosiddetto “Protocollo di Ginevra”, che divenne effettivo nel 1928: proibiva l’utilizzo di armi chimiche anche in contesti di guerra, anche se non vietava la loro produzione. Negli anni successivi però diversi paesi violarono il Protocollo: nel 1935 il dittatore italiano Benito Mussolini ordinò l’utilizzo di gas all’iprite durante la guerra coloniale che l’Italia stava combattendo in Etiopia. Cinque anni più tardi, nel 1940, il Giappone lanciò sul territorio cinese alcune bombe contenenti gas tossici: molte finirono sottoterra e nonostante il governo giapponese si sia impegnato a rimuoverle a proprie spese, fino al 2005 circa duemila cittadini cinesi sono morti in seguito al loro ritrovamento accidentale.
Nel corso della guerra fra Iran e Iraq, fra il 1980 e il 1988, il dittatore iracheno Saddam Hussein fece un largo uso di armi al gas nervino, una particolare famiglia di gas tossici che danneggiano gravemente il sistema nervoso di chi ne viene a contatto: vengono interrotte molte sinapsi che regolano il movimento della muscolatura volontaria, e a meno che la persona colpita non assuma un antidoto poco dopo la contaminazione, la morte arriva dopo pochi minuti e molta sofferenza. Nel marzo del 1988 l’esercito iracheno utilizzò il gas sarin, della famiglia dei nervini, per bombardare la città a maggioranza curda di Halabja, in Iraq: morirono fra le 3200 e le 5000 persone. Fino alla guerra civile siriana, fu probabilmente l’episodio più famoso di utilizzo di armi chimiche in un contesto di guerra.
Nel 1993, cinque anni dopo il massacro di Halabja, la stragrande maggioranza dei paesi al mondo firmò la Convenzione di Parigi sulle armi chimiche, che ancora oggi è il più importante al mondo sul disarmo chimico. Ad oggi, grazie alla Convenzione, è stato distrutto circa il 90 per cento dell’arsenale chimico che esisteva prima di allora. Ci sono ancora degli stati che non hanno aderito alla convenzione – come l’Egitto o la Corea del Nord – e altri che pur aderendo potrebbero aver mentito sulle loro scorte, ad esempio proprio la Siria (che teoricamente fu costretta a consegnare il proprio arsenale in seguito all’attacco col gas sarin su alcuni quartieri di Damasco nell’agosto 2013, in cui morirono più di 1.400 persone).
Perché le armi chimiche sono diverse
Fin dall’entrata in vigore della Convenzione di Parigi che le ha messe al bando, in molti hanno obiettato che il divieto di utilizzare armi chimiche è inconsistente o inefficace: le critiche più solide riguardano sia il fatto che si tratta pur sempre di un tipo di arma, pur con tutte le sue particolarità, e che quindi la guerra si può fare in mille altri modi, sia che i paesi più potenti vogliono vietarle perché strategicamente interessati a mantenere i conflitti sul piano della battaglia “convenzionale”, e quindi più facilmente controllabile: pur disponendo di una forza militare impressionante per grandezza e potenza, anche un paese come gli Stati Uniti avrebbe poche contromisure disponibili per contrastare un attacco chimico che interessi parte della sua popolazione civile. Questo esempio però dice molto del perché le armi chimiche sono considerate così letali e pericolose, e quindi diverse dalle altre.
– Hanno un impatto indiscriminato e poco controllabile: possono diffondersi nell’atmosfera e ricadere successivamente sia su chi le ha utilizzate sia sulla popolazione civile. Al contrario delle armi convenzionali – cioè dell’artiglieria – le armi chimiche possono causare gravi conseguenze ai sopravvissuti anche a distanza di molti anni.
– Possono essere utilizzate da gruppi terroristici anche molto piccoli, spesso non servono nemmeno grandi risorse per produrle. Per questo motivo, secondo l’ex capo della commissione Affari esteri del Senato americano Richard G. Lugar, «le armi chimiche possono essere considerate la più grande minaccia a una nazione, più di un governo nemico, più di un’intera nazione nemica». Servono invece enormi risorse per smaltirle e dissolverle.
– Incoraggiano le forze militari a prendersela coi civili: con questo tipo di armi un esercito trova molto più semplice uccidere un numero elevato di civili, come azione di guerra, piuttosto che affrontare un esercito bene organizzato in campo aperto, come avviene di norma.
– Sono armi particolarmente sleali: colpiscono «bersagli indiscriminati», e quindi spesso civili, provocano morti dolorose oppure ferite gravissime sui corpi dei sopravvissuti.
– Lo sforzo fatto per vietarne l’utilizzo è stato un buon esempio di cooperazione internazionale: negli anni Ottanta ci fu una grande mobilitazione per abolire l’uso delle cosiddette mine anti-uomo, e secondo il Washington Post l’obiettivo fu raggiunto perché – in parte – molti funzionari e diplomatici erano convinti che esisteva un precedente protocollo che aveva funzionato: almeno fino ad allora.