Chi tiene la Rai per il collo
I politici, compreso Beppe Grillo, spiega Michele Serra rincarando la dose sull'onorevole Anzaldi
Nella sua Amaca su Repubblica del primo aprile, Michele Serra aveva definito la Commissione vigilanza Rai «il tipico ente inutile», descrivendone la dannosità per la televisione pubblica italiana e raccontando gli eccessi di uno dei suoi membri, il deputato del PD Michele Anzaldi, «il nuovo Gasparri»: «che distribuisce pagelle, sgrida conduttori, smanaccia palinsesti, soppesa contratti come se non esistessero, all’uopo, un consiglio di amministrazione, una presidenza, una direzione generale e tre direzioni di rete». A quell’articolo, Anzaldi ha risposto ieri con un’intervista a Dagospia, a cui oggi ha risposto a sua volta Serra, rincarando la dose.
La mia Amaca di due giorni fa, nella quale definivo “ente inutile” la Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai e dicevo dell’ossessionante interventismo di uno dei suoi membri, il deputato Anzaldi (Pd), ha suscitato la sdegnata reazione di quest’ultimo. La polemica sarebbe di minima importanza, e per l’irrilevanza di Anzaldi e per la mia, se non chiamasse in causa, sia pure con goffaggine, una questione di primo piano come il rapporto tra media e politica. Che nella Rai trova da molti anni uno dei suoi fronti nevralgici. Cominciamo dalla goffaggine, così da poter levare di mezzo almeno un paio di sgradevoli equivoci.
Anzaldi sostiene che io sia in «palese conflitto di interessi» perché autore di Fabio Fazio e di non meglio precisate «trasmissioni di Caschetto». Capisco che l’argomento possa sollevare qualche applauso (puntualmente scattato) tra le feroci comari del web, che adorano dire la loro ignorando testo e contesto. Ma una persona che si occupa a tempo pieno della Rai dovrebbe, sulla Rai, essere meglio informata. Non lavoro più con Fazio da tre anni, non ho mai avuto rapporti di lavoro con Beppe Caschetto (che è l’agente di Fazio) e non ho collaborazioni di alcun genere con la Rai. Per giunta quell’Amaca non spendeva nemmeno mezza parola sull’infocata vicenda dei contratti dei conduttori ( Repubblica ne ha dato ampiamente conto, compresa una lunga intervista all’onorevole Anzaldi. Il quale poi, incredibilmente, si chiede come mai la direzione del giornale o il Comitato di Redazione abbiano permesso che io dicessi la mia opinione in prima pagina: dimostrando di non sapere come funziona un quotidiano).
Nell’Amaca parlavo di tutt’altro. Parlavo della micidiale e perdurante morsa padronale che i partiti politici esercitano sul servizio pubblico televisivo, con continue e pesanti intromissioni su nomine, palinsesti, assunzioni, contratti, licenziamenti, programmi, addirittura scelta degli ospiti. (Tralascio, per brevità, i notissimi casi di censura e ostracismo contro i quali la Commissione, specie negli anni di Berlusconi, non ha potuto o voluto levare un dito, pur essendo incaricata, sulla carta, di tutelare il pluralismo e la qualità della programmazione).
Sostiene Anzaldi, per dare giustificazione istituzionale alla sua inesausta attività di revisore-censore- correttore, che la Commissione deve, della Rai, «occuparsi per legge». Mi chiedo in quale codicillo di legge siano previste le decine, anzi centinaia di esternazioni del deputato Anzaldi (da «Bianca Berlinguer ha dato tanto, può bastare» a «Saviano è deprimente» a come dovrebbe essere fatta la scaletta di Ballarò). Che vanno a sommarsi alle centinaia, migliaia (da quando c’è twitter) di esternazioni di esponenti politici che negli anni, con implacabile mancanza di competenza e sovente anche di educazione, hanno sputato sentenze sulla Rai e sulle persone della Rai quasi sempre a sproposito, senza sapere niente della televisione, dei suoi modi di produzione, dei suoi problemi tecnici e artistici, del rapporto tra costi e ricavi, della distribuzione pubblicitaria, della sua autonomia linguistica.
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