Anche se siete di quelli che i podcast proprio no: questo è diverso
I produttori di “Serial” hanno fatto una cosa migliore di “Serial”: si chiama “S-Town”, comincia con un omicidio misterioso e poi diventa un sacco di altre cose
S-Town è il podcast americano che i vostri amici appassionati di podcast (se ne avete) stanno probabilmente ascoltando. È il terzo podcast di Serial Productions, i produttori di Serial, forse il podcast più famoso della storia dei podcast, e Dustwun: i sette episodi che lo compongono sono stati pubblicati tutti insieme il 28 marzo. All’inizio S-Town si presenta come un podcast di genere “true crime”, cioè incentrato su una storia vera di un caso di cronaca nera, come Serial (che parlava di un caso di omicidio avvenuto negli anni Novanta). In realtà S-Town (che è un’abbreviazione per Shit Town, “città di merda”) è molto diverso, e anche per questo sta ricevendo interesse e attirando critiche molto positive. Nei primi quattro giorni dopo la pubblicazione dei sette episodi il podcast è stato scaricato più di 10 milioni di volte. È un nuovo record raggiunto nel settore dei podcast, anche se va detto che quello precedente era stato ottenuto da un podcast che diffondeva una puntata a settimana: è proprio Serial, che raggiunse i 10 milioni di download in sette settimane. S-Town li ha raggiunti in pochi giorni.
La storia raccontata da S-Town inizia quando un uomo di nome John McLemore si mette in contatto con il produttore radiofonico Brian Reed per chiedergli di investigare su un misterioso omicidio avvenuto a Woodstock, la piccola città dell’Alabama, nel sud degli Stati Uniti, in cui vive. McLemore è una persona molto acculturata e interessata a ciò che avviene nel mondo (il cambiamento climatico in particolare), e coltiva le sue passioni in un posto che detesta abitato da gente che detesta: nel podcast, tra le altre cose, si parla di orologi antichi, labirinti, tatuaggi, pregiudizi nei confronti delle persone omosessuali, lingotti d’oro nascosti, razzismo, depressione e, a un certo punto, di come canta Andrea Bocelli. Per un ascoltatore italiano – che in ogni caso sappia bene l’inglese – potrebbe essere un po’ difficile capire le interviste a qualcuno degli abitanti di Woodstock, perché alcuni hanno un forte accento dell’Alabama. Però con un po’ di pazienza (se non ci si mette ad ascoltare il podcast quando si è troppo stanchi) ci si abitua in fretta. E il modo in cui il podcast è costruito, con le considerazioni di Reed che a volte riassumono quanto detto dalle persone intervistate, aiuta.
Come inizia S-Town (si sentono le voci di Brian Reed e di John McLemore):
#STown is coming tomorrow. Hear the first two minutes now! pic.twitter.com/oOCam4P943
— S-Town Podcast (@stownpodcast) March 28, 2017
S-Town si può ascoltare in streaming direttamente sul suo sito, scaricandolo gratuitamente da iTunes, oppure da Stitcher o RadioPublic, due app che distribuiscono podcast, disponibili anche per sistemi operativi Android.
Perché anche in Italia c’era chi aspettava l’uscita di S-Town
Le persone che hanno fondato e lavorano a Serial Productions sono più o meno le stesse persone che lavorano al programma radiofonico di grande successo This American Life: va in onda dal 1995 e in ogni sua puntata vengono raccontate una o più storie personali, solitamente in prima persona (la cosa più simile che c’è in Italia è Pascal, un programma di Radio Due condotto da Matteo Caccia). Per via di This America Life e del grande successo di Serial, che è stato molto ascoltato anche fuori dagli Stati Uniti, molte persone aspettavano l’uscita di S-Town . E tra queste anche gli appassionati di radio italiani, che avevano ascoltato Serial.
Serial racconta la vicenda realmente accaduta dell’omicidio di Hae Min Lee, una studentessa di un liceo di Baltimora morta nel 1999. È uscito nel 2014 come spin-off di This American Life ed è fatto di dodici episodi, a cui nel 2016 ne sono stati aggiunti tre più brevi per raccontare gli sviluppi della storia. L’indagine fatta per il podcast ha infatti permesso ad Adnan Syed, il ragazzo che era stato condannato per l’omicidio, di ottenere un nuovo processo. Serial è stato definito «il miglior podcast mai realizzato».
Il secondo podcast spin-off di This American Life, Dustwun, non ha avuto un successo paragonabile a quello di Serial e a quello che già sembra avere S-Town. Probabilmente ha contribuito il fatto che il tema non fosse un crimine ma una storia un po’ più americana. Racconta la storia di Bowe Bergdahl, un sergente dell’esercito americano che ha passato cinque anni assieme a un gruppo di talebani fra il 2009 e il 2014 in circostanze mai chiarite del tutto. In totale gli episodi di Serial e Dustwun sono stati scaricati più di 250 milioni di volte, di cui 175 milioni per Serial. Serial Productions sta lavorando ad altri due podcast, di cui per ora non si sa nulla.
Di cosa parla S-Town
Qualcosa sulla storia di S-Town lo si può dire anche senza fare spoiler, molto altro no perché alla fine del secondo episodio c’è un colpo di scena dopo il quale il podcast smette di assomigliare a Serial. Inizia nel 2012, quando John McLemore scrive a Reed per chiedergli di indagare su un omicidio di cui ha sentito parlare: un ragazzo che lavora per lui gli ha raccontato che un suo coetaneo, erede di una ricca famiglia di Woodstock, va in giro a dire di aver ucciso un altro ragazzo e di averla fatta franca. McLemore è un personaggio molto eccentrico: per anni per lavoro ha riparato orologi antichi (ragione per cui il podcast inizia parlando di orologi) e tra le altre cose ha costruito un enorme labirinto con 64 possibili configurazioni nel terreno intorno alla sua casa. Ha circa quarant’anni e vive con la sua anziana madre, affetta da demenza senile. Nel corso della prima puntata Reed va in Alabama, conosce McLemore e inizia a indagare sull’omicidio. Dato che sui giornali locali nessuno ne ha scritto nulla, anche se molte persone con cui Reed parla ne sono a conoscenza, a Reed sembra quasi che tutta la storia sia stata insabbiata dalla polizia.
Se avete già ascoltato S-Town, se qualcuno vi ha già anticipato delle cose oppure se non vi importa nulla degli spoiler, potete continuare a leggere anche il prossimo paragrafo (sono comunque spoiler piccoli, che non rovinano l’ascolto). Altrimenti passate a quello successivo, dopo la fotografia della moneta.
Brian Reed mentre parla con uno degli appassionati di orologi amici di John McLemore:
Il fatto è che presto Reed scopre che il caso per cui McLemore lo ha chiamato a Woodstock non è un vero caso: un piccolo mistero c’è, ma in realtà non è successo nulla. La storia comunque prosegue sia perché Reed rimane molto affascinato da Woodstock e dai suoi abitanti – in particolare dai giovani poco istruiti e con vari problemi economici che McLemore cerca di aiutare – sia perché a un certo punto qualcuno muore. Dal secondo episodio in poi la storia raccontata da Reed si concentra soprattutto sulle vicende personali di McLemore, su quelle delle persone a lui più vicine e sul rapporto di amore e odio tra lui e Woodstock. Se S-Town fosse un romanzo, non sarebbe un giallo, ma una di quelle vie di mezzo tra narrativa e reportage o narrativa e autobiografia che vanno molto di moda negli ultimi anni. Il podcast peraltro è costruito in modo da aggiungere sempre nuovi personaggi, fino all’ultima puntata, e – in questo è molto simile a Serial – in modo che gli ascoltatori mettano in dubbio ciò che hanno capito sulla storia da una puntata all’altra. Nella storia poi ci sono alcuni elementi apparentemente fantasiosi: parenti cattivi interessati solo a un’eredità, una condizione patologica che colpiva i produttori di cappelli dell’Ottocento e un tesoro nascosto, tra le altre cose. Nonostante questo, S-Town parla di cose molto concrete.
The gold dime John made for Brian in Chapter I. #STown Un post condiviso da S-Town Podcast (@stownpodcast) in data:
Perché S-Town è diverso
La prima cosa che gli appassionati di Serial noteranno di diverso in S-Town è che non c’è Sarah Koenig, la giornalista che ha indagato sulla storia di Adnan Syed ed era la voce narrante del vecchio podcast. In S-Town a raccontare la storia (e il proprio punto di vista sugli eventi) è Brian Reed. L’altra grande differenza con Serial è che le puntate di S-Town sono state pubblicate tutte insieme, come fa Netflix con le sue serie tv: anche nel mondo dei podcast c’è chi fa “binge watching“, o meglio “binge listening”.
S-Town è diverso anche per il fatto che non parla veramente di un crimine, sebbene ci siano un morto finto, un morto vero, una serie di furti e processi e una truffa. Come ha scritto Sarah Larson sul New Yorker, S-Town è un’indagine sui misteri della natura umana, è più simile a un romanzo che a un programma televisivo. L’ultima cosa per cui S-Town si distingue da Serial è che la storia che racconta si conclude nelle sette puntate che compongono la prima stagione del podcast: non ce ne sarà una seconda, non ci saranno dei micro-episodi di aggiornamento.
Cosa ne dicono i critici
Finora le recensioni sono quasi tutte molto positive, con lodi sperticate. Amanda Hess del New York Times ha dato un giudizio molto chiaro su S-Town fin dal titolo della sua recensione: Liked ‘Serial’? Here’s Why the True-Crime Podcast ‘S-Town’ Is Better, cioè “Vi è piaciuto Serial? Ecco perché S-Town è meglio”. Sull’Atlantic Spencer Kornhaber ha scritto che S-Town è «un monumento alla vita di un uomo, una meditazione sulle complesse relazioni tra gli individui e i luoghi in cui vivono, e un ritratto sensibile di posti che spesso vengono considerati in modo stereotipato, come Woodstock». Su Slate Katy Waldman ha scritto: «Se la prima stagione di Serial è stata pioneristica in un nuovo genere di podcast true crime sensibili dal punto di vista emotivo, S-Town segna un esaltante punto di svolta verso qualcosa di molto più simile a letteratura da ascoltare».
Una recensione che a differenza delle altre fa una critica negativa a S-Town è quella di Aja Romano su Vox. Pur pensando che il podcast sia un prodotto brillante e molto ben fatto, Romano mette in discussione una scelta di Reed: raccontare della vita e dei disturbi mentali di una persona morta, che in vita non ha mai esplicitamente dato il suo consenso a tale racconto. Romano critica anche il modo in cui Reed ha trattato uno dei temi toccati dal podcast, cioè un tipo di pratica sadomasochistica a cui uno dei personaggi si sottopone. Secondo Romano, Reed lo ha fatto in modo poco approfondito, presentando questa pratica come un tipo di autolesionismo collegato alla depressione, quindi senza dare spessore alle ragioni complesse che conducono a comportamenti sadomasochistici. Romano crede anche che Reed non abbia approfondito abbastanza cosa comporta la depressione, e come il personaggio del podcast che ne è affetto avrebbe potuto essere aiutato.