I due comuni che 10 anni fa votarono l’uscita dalle Marche stanno ancora aspettando
Nel 2007 Montecopiolo e Sassofeltrio votarono con un referendum il passaggio alla provincia di Rimini, ma non accadde niente: ora ci sono novità
Montecopiolo e Sassofeltrio sono due piccoli comuni delle Marche che dieci anni fa, nel giugno del 2007, votarono con un referendum a larghissima maggioranza per cambiare regione e passare con l’Emilia-Romagna. Il passaggio dalla provincia di Pesaro e Urbino alla provincia di Rimini però non è mai avvenuto, e se ne è riparlato negli ultimi giorni per la scadenza dell’anniversario e per la legge di ratifica del referendum che a fine marzo è finalmente arrivata in Parlamento.
Montecopiolo ha circa 1.200 abitanti e Sassofeltrio 1.400. Distano circa 40 chilometri da Rimini e 60 da Pesaro. Il 25 giugno del 2007 venne organizzato un referendum per decidere se lasciare la regione Marche. I motivi, secondo i comitati promotori, avevano e hanno a che fare con questioni geografiche, storiche, culturali e per la realtà della vita quotidiana. Per questi due comuni, infatti, il territorio di riferimento dal punto di vista economico, sanitario e scolastico è quello della provincia di Rimini. Il referendum per l’annessione all’Emilia-Romagna venne votato con percentuali molto alte: 83 e 87 per cento.
Il passaggio dei comuni da una regione all’altra è regolato dal secondo comma dell’articolo 132 della Costituzione. Prevede un parere delle regioni e dice:
«Si può, con l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Province e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un’altra».
Il passaggio è poi normato dalla legge 352 del 1970 che stabilisce iter pratici e tempi: l’esito del referendum deve essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed entro 60 giorni dalla pubblicazione il ministero degli Interni deve proporre un disegno di legge sull’aggregazione-distacco che deve essere votato dal parlamento. Dopo la vittoria del sì a Montecopiolo e Sassofeltrio il risultato venne iscritto nella Gazzetta Ufficiale numero 158 il 10 luglio 2007. Entro l’8 settembre del 2007 il ministro dell’Interno avrebbe dunque dovuto avviare effettivamente il passaggio, ma questo non avvenne. Non solo: mentre la regione Emilia-Romagna diede all’unanimità il proprio parere positivo, la regione Marche non diede alcuna risposta.
C’era un motivo. Pochi mesi prima del referendum di Montecopiolo e Sassofeltrio, altri sette comuni della Valmarecchia (che appartiene per la maggior parte del suo territorio all’Emilia-Romagna) avevano votato, vincendolo, un referendum simile per passare dalla provincia di Pesaro-Urbino alla provincia di Rimini: Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant’Agata Feltria e Talamello. Il Parlamento votò a favore del distaccamento tre anni dopo, il 15 agosto del 2009. La regione Marche tentò di fermare il processo presentando un ricorso alla Corte Costituzionale che venne però bocciato nel luglio del 2010. Quando a Montecopiolo e Sassofeltrio si svolse il referendum, per opporsi la regione Marche scelse di non dare alcuna risposta sostenendo che spettava al ministero dell’Interno presentare un disegno di legge e che c’erano state delle incongruenze formali nell’iter del processo di distaccamento. Marco Imarisio sul Corriere della Sera ha spiegato che la Costituzione, «piccolo dettaglio, non spiega cosa succede se una delle due regioni se ne sta zitta».
Nel giugno del 2013 Tiziano Arlotti, deputato del Partito Democratico di Rimini, presentò la legge sul distaccamento in commissione affari costituzionali della Camera e l’iter cominciò nell’ottobre del 2014. Un mese dopo la commissione inviò la prima lettera per sollecitare il parere della regione Marche: ne seguirono una seconda (luglio 2015) e poi una terza (ottobre 2015). Vista la mancata risposta, nel gennaio del 2016 l’Ufficio di presidenza decise di procedere comunque, avviando una serie di audizioni per cercare di risolvere il problema. L’esito, e siamo al marzo 2016, fu che la mancata espressione della regione non poteva bloccare la procedura legislativa. Si arriva così alle ultime settimane: lo scorso 23 marzo la commissione ha votato all’unanimità la proposta e quattro giorni dopo la legge è arrivata alla Camera. Dopo il voto dei deputati la legge dovrà passare in commissione al Senato ed essere approvata in aula.
Nel frattempo diversi deputati del PD sono intervenuti sulla questione, stando chi da una parte chi dall’altra. Alessia Morani, eletta nelle Marche, sostiene che il passaggio dei due comuni all’Emilia non sia ancora avvenuto per problemi a livello normativo e che comunque, rispetto a dieci anni fa, è cambiata la volontà popolare: «I cittadini di Montecopiolo mi hanno inviato un plico con 370 firme in opposizione al passaggio alla regione Emilia-Romagna. Un numero considerevole per un paese con circa un migliaio di abitanti. Il territorio marchigiano è stato colpito duramente dalla crisi, siamo una delle regioni che ha sofferto di più a livello nazionale e sono cambiate tantissime cose. Prima di portare a termine questo decreto, sarebbe opportuno consultare nuovamente le popolazioni».
Il presidente delle Marche, Luca Ceriscioli del PD, ex sindaco di Pesaro, è della stessa opinione: dice che sarebbe opportuno proporre un nuovo referendum «perché ormai è passato troppo tempo dal primo». Tiziano Arlotti la pensa invece diversamente: dice che è stato tradito un impegno, che la regione Marche ha fatto ostruzionismo e che anche nel caso degli altri sette comuni l’approvazione della variazione territoriale avvenne «su un testo non di iniziativa del ministro dell’Interno, essendo decaduto con la fine della legislatura quello tempestivamente presentato all’esito positivo del referendum, ma su testi di iniziativa parlamentare». Dice infine che «nel rispetto della Costituzione e dei cittadini che si sono espressi in maniera democratica» si deve votare il prima possibile perché poi «la legge passi in Senato e si arrivi alla fine della vicenda».