Gli operai della Corea del Nord e lo stadio di San Pietroburgo
Secondo un'inchiesta giornalistica nella costruzione dello stadio in vista dei Mondiali 2018 sarebbero impiegati almeno un centinaio di lavoratori in condizioni di schiavitù
La decisione della FIFA di assegnare i Mondiali del 2018 e del 2022 a Russia e Qatar è stata contestata da subito, e ancora oggi è considerata da molti l’emblema della corruzione e dei modi oscuri con cui veniva governata la FIFA ai tempi di Joseph Blatter, suo ex presidente, sostituito un anno fa circa dopo quasi vent’anni di presidenza. Oltre ai dubbi sulla regolarità delle due assegnazioni, negli ultimi mesi si è parlato molto anche delle pessime condizioni lavorative degli operai impiegati nella costruzione degli stadi in Qatar; ora sono venute fuori accuse simili che riguardano la Russia.
Dall’inizio: lo scorso marzo Amnesty International aveva pubblicato un rapporto in cui sosteneva di aver identificato chiaramente maltrattamenti e abusi nei vari cantieri e in altri siti di costruzione in Qatar. Nel rapporto, Amnesty scriveva che molti operai, quasi esclusivamente stranieri e provenienti dal sud-est asiatico, sono soliti subire “trattamenti spaventosi” e sono costretti a vivere ammassati in pochi metri quadrati dentro strutture fatiscenti, percepiscono salari molto bassi e non hanno la possibilità di lasciare il paese perché i loro passaporti sono stati confiscati dai datori di lavoro al loro arrivo in Qatar: di fatto una condizione di semi-schiavitù.
Precedentemente, nel corso di altre inchieste sui lavoratori stranieri in Qatar, alcuni giornalisti del Guardian avevano raccontato che quasi 3.000 lavoratori edili provenivano dalla Corea del Nord e si trovavano nel paese per lavorare alla costruzione di edifici e infrastrutture, anche se allora non risultavano impiegati nella costruzione degli stadi e delle infrastrutture per i Mondiali del 2022. Il Guardian aveva scoperto che quasi nessuno di questi lavoratori percepiva uno stipendio: i loro salari venivano pagati direttamente su conti bancari di proprietà del governo nordcoreano. Ai lavoratori rimaneva il 10 per cento circa, che ricevevano solo una volta tornati a casa: il resto veniva incassato dal regime del dittatore nordcoreano. Ora c’è ragione di credere che queste pratiche continuino ancora oggi, e non solo in Qatar.
In questi giorni un’inchiesta realizzata da Josimar, un magazine sportivo norvegese, racconta che almeno un centinaio di operai nordcoreani sarebbero impiegati nella costruzione del nuovo stadio di San Pietroburgo, uno degli impianti in cui si giocheranno le partite dei Mondiali del 2018. Secondo Josimar, che nella sua inchiesta ha raccolto le testimonianze di alcune persone impegnate nella costruzione e di diversi esperti internazionali in materia di sfruttamento del lavoro, a San Pietroburgo gli operai nordcoreani vivrebbero stipati nei container in una zona inaccessibile adiacente al cantiere in condizioni disumane, e non riceverebbero alcuna paga.
Una volta terminato – probabilmente fra qualche mese – il nuovo stadio di San Pietroburgo diventerà l’impianto calcistico più costoso mai realizzato, nonché la nuova “casa” dello Zenit, uno dei club russi più importanti, di proprietà della compagnia petrolifera statale russa Gazprom. La sua costruzione venne annunciata nel 2005 e i lavori iniziarono nel 2006. Secondo i piani sarebbero dovuti durare tre anni, con data d’apertura prevista per il 2008. I costi non avrebbero dovuto superare i 210 milioni di euro. A distanza di undici anni dall’inizio del progetto, però, l’impianto deve essere ancora terminato e i costi sono andati del tutto fuori controllo: ora si aggirerebbero intorno al miliardo di euro. La costruzione ha subito ritardi e rallentamenti fin dai primi giorni di lavoro. Si verificano tuttora continue infiltrazioni d’acqua in praticamente tutte le zone dell’impianto; il progetto ha subito decine di modifiche, alcune anche significative, a lavori già iniziati; si sono verificati numerosi incidenti che hanno causato la morte di quattro operai e le difficili condizioni climatiche hanno rallentato i lavori per mesi. Soprattutto si stima che i costi siano aumentati così tanto per via della corruzione, che al momento risulta difficile quantificare esattamente.
Lo stato dei lavori nel luglio del 2015 (Getty Images).
Alcuni operai ed ex operai del cantiere contattati dai giornalisti di Josimar sostengono che i continui ritardi e l’impressionante aumento dei costi abbiano avuto ripercussioni soprattutto sulle condizioni degli operai, a cui sarebbero state dimezzate le paghe, peraltro percepite a distanza di diversi mesi l’una dall’altra. La maggioranza degli operai presenti nel cantiere dello stadio provengono da Tagikistan, Uzbekistan, Kirghizistan, Bielorussia, Moldavia, Ucraina e Corea del Nord. Molti di questi – interpellati da Josimar – sostengono che gli orari di lavoro superino frequentemente il limite di otto ore al giorno previsto dalla legge. Ma le condizioni peggiori sarebbero quelle degli operai nordcoreani.
Le autorità russe contattate da Josimar sostengono che nel cantiere siano impiegati solo una decina di operai nordcoreani, con specifiche mansioni. Ma gli operai ascoltati nel corso dell’inchiesta sostengono che ce ne siano almeno un centinaio: lavorerebbero sette giorni su sette, senza un giorno di pausa, dalla mattina fino a notte fonda. Nessuno di loro parla russo e anche per questo lavorerebbero segregati dal resto degli operai. Secondo alcuni, inoltre, vivrebbero in una zona distante pochi metri dallo stadio, inaccessibile agli altri operai, e dentro alcuni container. Lo scorso novembre alcuni siti di news russi hanno riportato la notizia di un operaio nordcoreano morto nei pressi del cantiere. La notizia è stata poi confermata dalla polizia di San Pietroburgo, secondo cui l’operaio sarebbe morto per un arresto cardiaco.
Un lavoratore del cantiere, parlando degli operai nordcoreani con i giornalisti di Josimar, ha detto: «Sono come dei robot. Tutto quello che fanno è lavorare, lavorare, lavorare. Lavorano dalle sette del mattino fino a mezzanotte. Ogni giorno, non riposano mai. Sono degli ottimi lavoratori, ma hanno l’aspetto infelice. Non hanno una vita». I nordcoreani sarebbero sprovvisti di documenti e per questo non possono mai allontanarsi dall’isola di Krestovskij, la zona di San Pietroburgo in cui sono in corso i lavori. Se qualcuno presenta delle lamentele, o peggio, tenta di scappare, riceve minacce da parte dei datori di lavoro, anche rivolte ai familiari: in alcuni casi un operaio può essere rispedito in Corea del Nord, senza paga, e probabilmente mandato nei campi di internamento del regime.
L’impiego di lavoratori nordcoreani non è un fenomeno che riguarda solo la Russia (ce ne sarebbero 30.000 in questo momento) e il Qatar, in quanto se ne troverebbero alcune decine di migliaia anche in Cina, in Mongolia e in alcuni paesi del Medio Oriente. Questi lavoratori vengono reclutati attraverso alcune società statali nordcoreane. Gli viene garantito che potranno incassare il loro stipendio al ritorno a casa e quindi vengono spediti a lavorare in varie parti del mondo. Una volta terminato il loro periodo di lavoro, che dura in genere tre anni, questi operai ritornano in Corea del Nord ma ricevono raramente più del 10 per cento di quello che hanno guadagnato.
Secondo diversi centri studi e fuoriusciti della Corea del Nord (tra cui alcuni disertori dell’esercito), circa il 70 per cento del loro stipendio viene incassato direttamente dal governo nordcoreano, il 20 per cento viene utilizzato per pagare le spese di vitto e alloggio che i lavoratori hanno sostenuto all’estero e il rimanente 10 per cento è la retribuzione. Questo fenomeno, che il dipartimento di Stato americano e diverse ong hanno definito un vero commercio di “schiavi”, è una delle principali fonti di valuta estera in mano al governo nordcoreano. Il paese infatti è oggetto di numerose sanzioni internazionali per via del suo programma nucleare e delle continue gravi violazioni dei diritti umani che avvengono entro i suoi confini: per questo ha grosse difficoltà a procurarsi la valuta estera essenziale per tutta una serie di attività economiche.
Josimar ha provato a contattare le autorità di San Pietroburgo, quelle statali russe e la FIFA. Quest’ultima ha risposto scrivendo: «La FIFA condanna le violazioni dei diritti umani e, se identificate, non avrebbe tollerato tali condizioni nei siti di costruzione nelle città sede della Coppa del Mondo FIFA. Infine, il collegamento da voi descritto tra i lavoratori nordcoreani in Russia e la FIFA, riguardante il programma nucleare nel loro paese d’origine, è a dir poco inverosimile e scandaloso». In passato alcune organizzazioni umanitarie hanno spedito alla FIFA i loro rapporti sulle condizioni lavorative nei cantieri di San Pietroburgo e di altre città russe: in alcuni casi la FIFA ha risposto promettendo indagini e verifiche, che però, stando a quanto sostiene l’articolo di Josimar, non avrebbero mai avuto luogo. Il comitato organizzatore dei Mondiali in Russia, invece, ha fornito le proprie ragioni circa i ritardi e l’aumento dei costi, ma ha negato irregolarità nelle misure di sicurezza dei cantieri, lo sfruttamento dei lavoratori e ridotto il numero di operai nordcoreani impiegati a San Pietroburgo.