Il fascismo dei sentimenti obbligati
Per esempio quello che ha generato critiche contro una donna accusata di non aver mostrato abbastanza dolore in una foto dopo gli attentati di Londra, scrive Stefano Bartezzaghi su Repubblica
Stefano Bartezzaghi, su Repubblica di lunedì 27 marzo, ha provato a descrivere una tendenza spesso evidente per cui ci si accanisce contro le persone che in certe circostanze non mostrano le emozioni che la maggioranza si aspetterebbe. Bartezzaghi ne ha parlato a partire dalla famosa foto della donna con lo hijab che cammina con il cellulare in mano dopo gli attentati di Londra, con una posa che non tradisce particolare partecipazione emotiva alla scena e che le ha causato fortissime critiche e attacchi, prima che lei stessa potesse spiegare cos’era appena successo.
Una giovane donna velata cammina sul ponte di Westminster, subito dopo la strage del Suv. Ha uno smartphone in mano, vicino a lei c’è un corpo a terra e un capannello che lo soccorre, ma lei procede senza guardare. È stata fotografata e poi accusata di essere indifferente allo scempio e sospettata persino di approvarlo. Per fortuna le era stato fatto un altro scatto, in cui il volto tradiva più evidentemente lo sgomento. Lei stessa è intervenuta, si è dichiarata sotto choc per i commenti malevoli e ha raccontato che aveva il telefono in mano perché aveva appena mandato un messaggio ai suoi cari a proposito di quanto era appena successo.
https://twitter.com/AhamedAnsar/status/845625014485430272
L’episodio è solo il prodotto più recente di una tendenza su cui non si discute mai e, indiscussa come appunto è, diviene sempre più allarmante: siamo, tutti, obbligati a reagire in modo riconoscibile e appropriato. Altro che politicamente corretto, altro che cantare fuori dal coro! Il nuovo imperativo paradossale è: «Sii, spontaneamente, sconvolto». Chi non si indigna prontamente (o al contrario non si rallegra) in reazione a ciò che è considerato degno di indignazione o gioia parimenti automatici ottiene l’istantaneo disprezzo collettivo. E questo avviene nelle occasioni più diverse. Un presagio marginale se ne era avuto anni fa per l’inezia del canto dell’inno prima delle partite della Nazionale: i giocatori che non partecipavano, magari oriundi (e quindi poco memori dello «stringiamci a coorte»), erano deprecati per deficit di affezione alla maglia nazionale. Ora cantano tutti, in coro. Su argomenti ben più importanti lo «sconvolgiamoci a coorte» non si elude e la mancata adesione ai lavacri collettivi delle coscienze è tollerata, paradossalmente, solo quando è polemica e sprezzante. Chi non è Garrone sia almeno Franti.
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