Birmingham e il terrorismo, non è la prima volta
Se n'è parlato di nuovo dopo l'attentato di Londra, ma è una storia che risale almeno all'11 settembre 2001
Negli ultimi anni Birmingham, la seconda città inglese per grandezza dopo Londra, è finita in mezzo a diverse storie di terrorismo ed estremismo islamista. L’ultima è quella che ha coinvolto Khalid Masood, l’uomo di 52 anni che il 22 marzo scorso ha ucciso quattro persone in un attentato fuori dal Parlamento britannico a Londra, prima di essere ucciso a sua volta dalla polizia. Circa un anno fa Masood si era trasferito a Birmingham e aveva stabilito dei contatti con alcune persone che oggi sono sospettate di avere partecipato in qualche modo all’attentato. La polizia sta ancora indagando, non si sanno molte cose – per esempio come e dove si sia radicalizzato Masood – ma di certo non è la prima volta che gli investigatori avviano un’indagine per terrorismo a Birmingham, una città che è stata collegata anche agli attentati dell’11 settembre 2001 e agli attentati all’aeroporto e alla metropolitana di Bruxelles dello scorso anno.
Birmingham si trova nella contea di West Midlands, a 200 chilometri a nord-ovest di Londra, ha una popolazione di 1,1 milioni di persone e più di un quinto degli abitanti dice di essere musulmano. Il New York Times ha scritto, citando alcuni attivisti locali, che «per i potenziali estremisti il fascino di Birmingham è la sua varietà di quartieri musulmani, dove ci si può mescolare facilmente». Mohammed Ashfaq, il direttore di un’organizzazione che aiuta i giovani ad allontanarsi dalla droga e dall’estremismo, ha detto: «È un nascondiglio o un luogo di passaggio dove [gli estremisti] possono fare ciò che vogliono, possono tenere un basso profilo». Nel quartiere di Sparkbrook, dove vivono molti musulmani, il numero delle scuole islamiche è aumentato e anche le scuole finanziate dallo stato hanno cominciato ad accogliere richieste dettate dalla religione, come permettere la preghiera in pausa pranzo e accorciare l’orario scolastico durante il Ramadan. Molti musulmani che vivono a Birmingham, ha scritto il New York Times, dicono che questi quartieri sono un luogo dove sentirsi al sicuro dalla crescente ostilità della società europea verso l’Islam.
Il minareto della Moschea centrale di Birmingham, in Inghilterra (Christopher Furlong/Getty Images)
Già in passato alcuni commentatori molto conservatori avevano parlato di Birmingham come di una “città del terrore”. Dopo gli attentati di Parigi, per esempio, un commentatore di Fox News aveva sostenuto che alcune zone dell’Europa, tra cui Birmingham, erano diventate così islamiche da essere off-limits per i non musulmani. Il commentatore e la rete si erano poi scusati di queste affermazioni. Solo quattro giorni fa il Daily Mail, tabloid britannico di destra, si chiedeva: «Come ha fatto Birmingham a diventare la capitale del jihad nel Regno Unito?». Al di là delle approssimazioni ed esagerazioni del caso, che si concentrano spesso sulla errata sovrapposizione dei concetti di Islam e terrorismo – nel corso degli ultimi anni Birmingham è stata coinvolta in diversi episodi legati all’estremismo islamista.
Birmingham è il posto dove nacque il primo attentatore suicida britannico, dove visse uno dei tesorieri dell’11 settembre e dove nel 2006 al Qaida pianificò un attentato contro un aereo commerciale. Nel 2013 un membro di al Shabaab, un gruppo estremista somalo che negli ultimi anni ha compiuto diversi attentati sia in Somalia che in Kenya, celebrò in un video l’uccisione a Londra del fuciliere dell’esercito britannico Lee Rigby, citando Birmingham come principale città di provenienza dei miliziani del gruppo. L’uomo che si pensa abbia reclutato “Jihadi John”, il miliziano britannico dello Stato Islamico diventato molto noto per avere ucciso in video diversi ostaggi occidentali, era di Birmingham. Sia Abdelhamid Abaaoud, l’organizzatore degli attentati di Parigi del novembre 2015, che Mohamed Abrini, coinvolto negli attacchi a Parigi e in quelli a Bruxelles del 22 marzo 2016, entrarono in contatto con gli ambienti estremisti di Birmingham, considerati molto più organizzati e strutturati rispetto a quelli londinesi.
Birmingham fu anche il centro dell’Operazione Trojan Horse, cioè quel tentativo di alcuni musulmani conservatori di prendere il controllo di diverse scuole primarie e secondarie della città. Il piano – che prevedeva per esempio la marginalizzazione e il licenziamento di alcuni insegnanti e l’indebolimento dei programmi di prevenzione dell’estremismo – fu svelato in una lettera anonima mandata ai media britannici nel marzo 2014. Nella lettera gli islamisti rivendicavano la responsabilità di avere fatto nominare dei nuovi presidi in quattro scuole di Birmingham e chiedevano ai genitori degli alunni di lamentarsi con le dirigenze scolastiche per «corrompere i loro figli con l’educazione sessuale, insegnare cose sull’omosessualità, costringere alle preghiere cristiane e permettere alle femmine e ai maschi di praticare insieme il nuoto e lo sport». Diversi sospettarono che la lettera fosse falsa, ma l’allora assessore all’educazione di Birmingham, Mike Tomlinson, disse che «senza ombra di dubbio» la lettera descriveva quello che era successo. Della questione se ne occupò anche il governo britannico, che ordinò un’indagine. Fu concluso che in diverse scuole di Birmingham erano state imposte pratiche di segregazione sessuale e vicine al sunnismo più radicale, anche se non c’erano prove di terrorismo, radicalizzazione o estremismo violento.
Uomini musulmani pregano nella Moschea centrale di Birmingham dopo avere osservato un minuto di silenzio in memoria dei morti nell’attentato di Londra (Joe Giddens /PA via AP)
Uno dei problemi più grandi di Birmingham è il rapporto di sfiducia che esiste tra le autorità e la comunità musulmana. Per esempio nel 2008 l’amministrazione locale mise segretamente centinaia di telecamere a circuito chiuso nei quartieri a maggioranza musulmana, provocando una reazione durissima da parte degli abitanti. Oggi i problemi a Birmingham sono molti e le stesse autorità britanniche faticano a trovare soluzioni. David Videcette, un funzionario dell’antiterrorismo, ha detto che le reti estremiste vengono gestite «come la mafia»: si occupano delle cose più diverse, tra cui la vendita di libri basati sull’ideologia estremista e l’organizzazione di incontri con i predicatori più violenti. «Loro trasformano la religione in qualcosa che ha a che fare con le gang criminali», ha detto Ashfaq; il loro messaggio è «puoi essere un fico, puoi diventare un gangster del jihad».