Perché le agenzie di stampa scioperano
È una storia molto italiana, diciamo: il governo vorrebbe modernizzare il settore, ma secondo i sindacati la soluzione è peggiore dei problemi che vorrebbe risolvere
Sabato 25 marzo la maggior parte delle testate giornalistiche italiane hanno avuto più di una difficoltà nel coprire i due importanti eventi che si stavano svolgendo nel nostro paese: l’anniversario della firma dei Trattati di Roma e la visita del Papa a Milano. Per tutto il giorno, infatti, e fino alle 6 di domenica mattina, tutte le agenzie di stampa italiane sono state in sciopero. Era la prima volta in tempi recenti che tutte le agenzie di stampa scioperavano contemporaneamente.
Le agenzie, e in particolare i rappresentanti sindacali dei giornalisti delle agenzie, protestano da settimane contro la decisione del governo di indire una gara europea per decidere con quali agenzie di stampa sottoscrivere i contratti di abbonamento della pubblica amministrazione. Come tutti i governi, infatti, anche quello italiano è abbonato a una serie di agenzie di stampa, in modo che ministri, dirigenti e funzionari siano informati su quello che accade nel paese. Per molte agenzie però questi contratti pubblici – che valgono anche milioni di euro – sono essenziali alla sopravvivenza. In media le principali agenzie ricevono tra il 30 e il 40 per cento dei loro ricavi dai contratti pubblici. L’ANSA, la più grande, incassa da governo e ministero degli Esteri circa 20 milioni di euro su un fatturato di circa 80.
In tutto lo Stato italiano paga ogni anno circa 45 milioni di euro in abbonamenti che vengono divisi tra dieci agenzie diverse. Circa 30 milioni vengono utilizzati per le agenzie nazionali, mentre altri 15 vengono spesi dal ministero degli Esteri per le notizie internazionali. La scelta della agenzie alle quali abbonarsi avveniva fino ad oggi tramite una trattativa diretta, senza gare pubbliche. In tutto in Italia ci sono 14 agenzie nazionali, che impiegano 800 giornalisti a tempo indeterminato, 1.400 collaboratori e 800 altri dipendenti, per un totale di circa 3 mila persone. Secondo molti si tratta di un sistema eccessivamente frammentato e poco efficiente.
Il sistema attuale di abbonamenti è stato più volte criticato in passato da alcuni addetti ai lavori. Mentre la maggior parte dei paesi europei preferisce concentrare le risorse in un’unica società, in Italia questo sistema ha creato una grande pluralità di operatori del settore che, tranne nei casi di agenzie specialistiche (come quelle economiche), fanno in sostanza un lavoro ridondante. In gergo giornalistico è molto noto il cosiddetto “capannello” delle agenzie, il fatto che spesso, dopo un evento pubblico, i giornalisti delle agenzie presenti si riuniscono in gruppo per decidere insieme quali e quanti lanci di notizie fare. Inoltre, non è certo ideale per l’indipendenza di un organo di stampa che il suo principale cliente – al punto che il suo eventuale venir meno ne possa determinare la chiusura – sia il governo.
Anche per questa ragione, e per evitare una distribuzione “a pioggia” a prescindere dai servizi di ogni agenzia e del suo valore, nel 2015 il sottosegretario con delega all’editoria, Luca Lotti, pubblicò una direttiva in cui si stabilivano una serie di regole più stringenti per partecipare alle assegnazioni dirette dei contratti di abbonamento. Tra i nuovi criteri c’era, per esempio, avere almeno 50 giornalisti assunti a tempo indeterminato, realizzare un certo numero di notiziari e di lanci al giorno e avere entrate per almeno il 55 per cento del fatturato da fonti che non fossero gli stessi contratti con il governo. Secondo alcuni calcoli pubblicati dal Fatto Quotidiano, soltanto quattro agenzie rispettavano i nuovi criteri. Per partecipare alle assegnazioni, le altre agenzie avrebbero dovuto formare dei consorzi e infine fondersi in realtà di maggiori dimensioni. Lo scorso novembre, però, il TAR del Lazio ha annullato la direttiva Lotti, a quanto sembra perché le motivazioni della scelta non erano illustrate in maniera corretta nel testo della direttiva.
Il problema principale sembrano essere le leggi con le quali è previsto che il governo possa fare ricorso ai servizi delle agenzie di stampa, alcune vecchie più di mezzo secolo. Nelle leggi si fa esplicito riferimento alla necessità di mantenere il “pluralismo” nella forniture di informazioni. Per questa ragione, il TAR ha bocciato la direttiva Lotti che, introducendo una serie di requisiti per partecipare alle assegnazioni, avrebbe, secondo il tribunale “ridotto il pluralismo”. Dopo la bocciatura il governo si è trovato in una situazione difficile. Mantenere la situazione precedente avrebbe rischiato di produrre ulteriori ricorsi, visto che diverse agenzie avevano realizzato importanti investimenti per avere l’opportunità di partecipare alle assegnazioni secondo la direttiva Lotti.
La sentenza del TAR si poteva aggirare approvando una nuova legge, che stabilisse requisiti simili a quelli previsti dalla direttiva. È una soluzione che era stata suggerita anche dall’ANAC, l’autorità anti-corruzione, interpellata dal governo sulla questione l’estate scorsa. Ma, come hanno spiegato fonti del dipartimento dell’Editoria al Post, questa soluzione avrebbe richiesto probabilmente troppo tempo: l’attuale regime è in proroga e scadrà il prossimo giugno, un tempo in cui rischia di essere difficile scrivere e far approvare dal parlamento una legge che ordini il settore. Per regolare il sistema, quindi, il governo ha deciso di intraprendere un’altra strada e, lo scorso 21 febbraio, Lotti ha annunciato ai rappresentanti delle agenzie che il governo avrebbe organizzato una gara europea per decidere a quali agenzie abbonarsi. Come tutti gli appalti oltre un certo valore, anche quella per questo tipo di contratti deve ricevere pubblicità internazionale, e per questo il bando è stato descritto spesso come un “bando europeo”.
Se il panorama frammentato delle agenzie italiane è insolito per un grande paese europeo, lo è altrettanto la scelta di decidere con una gara a chi assegnare il servizio. Secondo i rappresentanti sindacali dell’ANSA, nessun paese europeo ha mai messo a gara internazionale i servizi informativi dello Stato. Inoltre, diversi rappresentanti di agenzie notano come una gara di questo tipo difficilmente potrebbe essere considerata equilibrata e corretta, visto che i principali attori europei che potrebbero partecipare al bando sono sovvenzionati dai rispettivi governi con cifre molto superiori a quelle italiane. La particolarità italiana, infatti, non è che il governo finanzia le agenzie di stampa, ma che invece di concentrare le risorse in poche agenzie, le divide su numerosi soggetti. In Francia, ad esempio, il governo finanzia con 115 milioni di euro l’anno Agence France-Presse, una delle più importanti agenzie del mondo che opera in 150 paesi diversi. La spagnola Agencia EFE riceve 30 milioni di euro l’anno dal governo spagnolo, quanto ricevono tutte le agenzie di stampa italiane messe insieme.
Secondo i rappresentanti delle agenzie, il bando rischia di essere vinto da una grande società internazionale, con risorse e finanziamenti molto maggiori degli attori italiani. Senza le risorse pubbliche, molte agenzie, che già oggi si trovano in stato di crisi, sarebbero costrette a chiudere o a ridurre ulteriormente il loro personale. Per questa ragione anche quei rappresentanti delle agenzie che condividono l’obiettivo del governo di razionalizzare e rafforzare il settore sono contrari a utilizzare la strada del bando europeo. Fonti all’interno del dipartimento dell’Editoria, però, fanno notare che il bando sarà diviso in lotti, quindi sarà impossibile per un unico operatore ottenere tutti o gran parte dei contratti. L’impostazione del governo al momento sembrerebbe quella di mantenere, per quanto possibile, l’attuale situazione. Questa settimana ci sarà un nuovo incontro tra rappresentati delle agenzie e del governo.