Come cambiano i contributi pubblici ai giornali
Tra le novità principali: i giornali di partito e quelli dei movimenti politici non prenderanno più contributi diretti
Il 24 marzo il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legislativo che contiene le nuove regole per la distribuzione dei contributi diretti all’editoria, cioè i fondi con cui il governo finanzia alcune categorie di giornali. La novità più importante è che i fondi non potranno più essere ricevuto da «imprese editrici di organi d’informazione dei partiti, dei movimenti politici e sindacali». Tramite alcuni meccanismi, il nuovo sistema di distribuzione cercherà anche di incentivare il passaggio al digitale: per esempio potranno ricevere il finanziamento solo le imprese che pubblicheranno un’edizione digitale, oltre a quella cartacea, del loro periodico. Inoltre:
Per quanto riguarda i criteri di calcolo dei contributi, come nell’attuale sistema, i contributi sono calcolati in parte come rimborso di costi e in parte in base al numero di copie vendute. Vengono riconosciuti in percentuale più alta i costi connessi all’edizione digitale, al fine di sostenere la transizione dalla carta al web. Si prevedono parametri diversi a seconda del numero di copie vendute e si introduce un limite massimo al contributo, che non potrà in ogni caso superare il 50% dei ricavi conseguiti nell’anno di riferimento.
Non è ancora chiaro quanto sarà destinato a questo fondo nel corso del 2017. L’anno scorso, le risorse effettivamente disponibili sono state circa una decina di milioni di euro. Nel decreto legislativo approvato dal governo sono definite le sette categorie di imprese editoriali che possono chiedere il sostegno pubblico, e sono:
- Cooperative giornalistiche che editano quotidiani e periodici;
- Imprese editrici di quotidiani e periodici il cui capitale è detenuto in misura maggioritaria da cooperative, fondazioni o enti senza fini di lucro, limitatamente ad un periodo transitorio di cinque anni dall’entrata in vigore della legge di delega;
- Enti senza fini di lucro ovvero imprese editrici di quotidiani e periodici il cui capitale è interamente detenuto da tali enti;
- Imprese editrici che editano quotidiani e periodici espressione di minoranze linguistiche;
- Imprese editrici, enti ed associazioni che editano periodici per non vedenti e ipovedenti;
- Associazioni dei consumatori che editano periodici in materia di tutela del consumatore, iscritte nell’elenco istituito dal Codice del consumo;
- Imprese editrici di quotidiani e di periodici italiani editi e diffusi all’estero o editi in Italia e diffusi prevalentemente all’estero.
Questa lista esclude tutti i grandi gruppi editoriali e i principali quotidiani, come Repubblica e il Corriere, che non hanno mai goduto di finanziamenti diretti. Come ha scritto Prima Comunicazione sono escluse anche «le imprese editoriali quotate in Borsa, le imprese editrici di organi d’informazione dei partiti, dei movimenti politici e sindacali, nonché le pubblicazioni specialistiche». È stato cambiato un precedente limite che consentiva l’accesso ai contributi alle imprese editoriali che esistevano da almeno cinque anni; ora quel limite è stato portato a due anni. Sono però stati aggiunti alcuni requisiti che prima non erano previsti, come alcuni obblighi relativi ai contratti di lavoro dei dipendenti.
Parlando dei criteri di calcolo dei contributi, il Consiglio dei ministri ha spiegato che «come nell’attuale sistema, i contributi sono calcolati in parte come rimborso di costi e in parte in base al numero di copie vendute. Vengono riconosciuti in percentuale più alta i costi connessi all’edizione digitale, al fine di sostenere la transizione dalla carta al web. Si prevedono parametri diversi a seconda del numero di copie vendute e si introduce un limite massimo al contributo, che non potrà in ogni caso superare il 50% dei ricavi conseguiti nell’anno di riferimento». Sono stati cambiati anche i meccanismi di calcolo dei contributi di «quotidiani e periodici in lingua italiana prevalentemente diffusi all’estero».
Il decreto non modifica invece i contributi indiretti, un’altra forma di sostegno all’editoria che consiste in sconti fiscali e agevolazioni sugli acquisti di carta. I contributi indiretti sono stati ridotti moltissimo nel corso degli ultimi anni e oggi ammontano a pochi milioni di euro. Quasi tutti i grandi gruppi editoriali sfruttano questa forma di contributi, anche se non sono particolarmente rilevanti per i loro bilanci. Nell’ultimo bilancio del gruppo RCS, che pubblica il Corriere della Sera, i contributi sono indicati allo 0,5 per cento del totale dei ricavi.
Il decreto legislativo è stato approvato in attuazione della legge 198 del 2016 che istituiva un fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione e dava deleghe al governo per la ridefinizione, tra le altre cose, della disciplina del sostegno pubblico per il settore dell’editoria. L’obiettivo del decreto è ridefinire – attraverso il fondo creato con la legge del 2016 – il sistema dei contributi a quotidiani e periodici e «misure per gli investimenti delle imprese editrici, l’innovazione del sistema distributivo e il finanziamento di progetti innovativi, di processi di ristrutturazione e di riorganizzazione». Prendendo atto della «crisi del mercato editoriale» il decreto si propone quindi di «assicurare il sostegno pubblico necessario alle voci informative autonome e indipendenti, in particolare a quelle più piccole e legate alle comunità locali».
Il decreto legislativo è stato approvato in esame “preliminare” perché, come spiega il comunicato stampa pubblicato dopo il Consiglio dei ministri, «dopo l’approvazione preliminare, il provvedimento sarà trasmesso al Consiglio di Stato ed alle Commissioni parlamentari competenti per l’acquisizione dei rispettivi pareri». Una volta approvato in via definitiva il decreto sarà direttamente trasformato in legge, senza bisogno di ulteriori votazioni. Il parere delle Commissioni non è vincolante per quanto riguarda le modifiche da attuare ai decreti legislativi. Il decreto è stato proposto dal presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e da Luca Lotti, che è ministro dello Sport ma ha la delega all’Editoria.