I nemici del Papa in Vaticano
Piccolo atlante delle persone che dentro la Chiesa si oppongono alle riforme e allo stile di Papa Francesco, e con quali argomenti
Nel giro di un mese, due cose – quasi certamente slegate fra loro, ma rilevanti dal punto di vista simbolico – hanno fatto riparlare dell’aria che tira in Vaticano intorno a papa Francesco, eletto papa ormai da più di quattro anni. Il primo marzo Marie Collins, l’unica donna che faceva parte della Pontificia Commissione per la protezione dell’infanzia – un organo consultivo istituito dal Papa nel 2014 per affrontare il problema degli abusi sessuali nella chiesa – si è dimessa citando la «resistenza di alcuni membri della Curia vaticana al lavoro della Commissione», e parlando più in generale di «ostacoli costanti» al suo lavoro. Qualche settimana prima, la mattina del 4 febbraio, nel centro di Roma erano comparsi alcuni manifesti abusivi che accusavano il Papa di avere trascurato o danneggiato alcune istituzioni della Chiesa, come cardinali e sacerdoti, le Congregazioni del Vaticano – cioè i “ministeri” della Chiesa – e persino i Cavalieri di Malta, un antichissimo ordine cristiano fondato mille anni fa.
Papa Francesco, poi, è un personaggio che si adatta bene a un certo tipo di ipotesi e analisi: è una figura popolare e riformatrice – nello stile, nel linguaggio e nei fatti – inserita in un contesto conservatore, oscuro e gerarchico come la Chiesa di Roma. Parlare concretamente di persone e gruppi che si oppongono al Papa è molto complicato, per due ragioni legate fra loro: le rare prese di posizione “politiche” dei dirigenti della Chiesa e dei commentatori cattolici, molti dei quali evitano di criticare pubblicamente e direttamente il Papa per ragioni di opportunità, e la narrazione infantile e un po’ da romanzo – alimentata da questo silenzio e da un passato di macchinazioni e trame per il potere – sui misteriosi ambienti vaticani. Il rischio, per i giornalisti e gli esperti di cose vaticane, è adombrare più che raccontare, e affidarsi a ricostruzioni letterarie o interessate nella speranza di capirci qualcosa, in realtà per non capirci molto.
Eppure in Vaticano un’opposizione consolidata a Papa Francesco esiste, per qualcuno addirittura «non ha precedenti nella storia degli ultimi secoli», come ha scritto qualche giorno fa il vaticanista Gianni Valente su Vatican Insider. Ultimamente ci sono stati dei tentativi per mettere un po’ di ordine e cercare di capire meglio chi e cosa si oppone al Papa: una delle ricostruzioni più riuscite – anche se appena accennata – è quella pubblicata sull’ultimo numero dell’Economist.
L’Economist sostiene che i principali oppositori di Papa Francesco appartengono a due campi, che nel caso di alcune persone o istituzioni coincidono fra di loro. La prima fazione è quella dei conservatori: le persone che «dentro o fuori il Vaticano esigono certezza e solidità dalla propria religione, e pensano che le regole non possano essere cambiate senza abbandonare l’essenza del Cattolicesimo»; il contesto culturale nel quale potrebbero essere stati realizzati i manifesti abusivi contro il Papa, per esempio. Il secondo gruppo, più contenuto, è quello dei funzionari vaticani in disaccordo con le riforme del Papa, soprattutto quelle che riguardano istituzioni secolari della Chiesa (come le Congregazioni o il collegio dei Cardinali incaricato di eleggere il Papa): cioè le persone attaccate da Collins nella lettera in cui annunciava le sue dimissioni. Sul Religion News Service, una rivista americana che si occupa di temi cristiani, il giornalista David Gibson ha diviso la prima fazione in due sottogruppi, conservatori “interni” e conservatori politici. Ma andiamo con ordine.
I conservatori all’interno del clero
Prendendo per buona la distinzione di Gibson, il primo gruppo è formato da alti religiosi preoccupati sostanzialmente che lo stile e i messaggi del Papa non siano totalmente coerenti con la dottrina cattolica. La loro teoria, semplificando molto, è che l’attenzione del Papa sul valore della “misericordia” – a cui il Papa ha dedicato il Giubileo straordinario, e che per i cattolici vuol dire apertura totale e sospensione del giudizio nei confronti degli altri – sia riduttivo e un po’ fuorviante rispetto alla ricchezza teologica del cattolicesimo. Una delle loro preoccupazioni principali, inoltre, è che le aperture del Papa annullino dottrine e tradizioni consolidate da secoli.
Il simbolo di questa opposizione è stata una lettera molto critica inviata al Papa da quattro importanti vescovi della Chiesa, e poi resa pubblica in un secondo momento. La lettera si intitola Per fare chiarezza: un appello per risolvere i nodi irrisolti di Amoris Laetitia (qui tradotta in italiano dall’Espresso) ed è stata inviata da Raymond Burke, Carlo Caffarra, Walter Brandmüller e Joachim Meisner. Il più famoso dei quattro è Raymond Burke, un cardinale americano ex arcivescovo piuttosto conservatore – critico sull’Islam, morbido con Vladimir Putin – e vicino a Benedetto XVI, che gli aveva assegnato diversi importanti incarichi a Roma e dentro la Curia.
La lettera chiede conto al Papa di sue recenti posizioni contenute nell’enciclica Amoris Laetitia, pubblicata nell’aprile del 2016, che fra le altre cose parla in maniera un filo più morbida di altri papi del passato di matrimonio, coppie di fatto e omosessualità, e ha aperto alla possibilità di dare la comunione ai divorziati e risposati (come già accennato nella relazione finale del Sinodo dei vescovi del 2015). Più che per i suoi contenuti un po’ pretestuosi – viene chiesto al Papa, per esempio, se le sue posizioni annullano quelle di San Paolo, o quelle contenute nell’enciclica pubblicata da Giovanni Paolo II nel 1993 – la lettera è notevole anche solo per il suo significato: quattro importanti vescovi hanno scelto di criticare duramente in pubblico il Papa su questioni dottrinali, anche se dal loro punto di vista lo stavano aiutando nel suo compito. Caffarra, arcivescovo di Bologna e uno dei quattro firmatari della lettera, ha spiegato per esempio al Foglio che il problema consiste nel «vedere se i famosi paragrafi 300-305 di Amoris laetitia [che parlano delle situazioni dei cattolici “irregolari”, cioè soprattutto i divorziati risposati e gli omosessuali] e la famosa nota n. 351 sono o non sono in contraddizione con il magistero precedente dei Pontefici che hanno affrontato la stessa questione. Secondo molti vescovi, è in contraddizione. Secondo molti altri vescovi, non si tratta di contraddizione ma di uno sviluppo. Ed è per questo che abbiamo chiesto una risposta al Papa».
Da molti però la lettera è stata interpretata come una presa di posizione forte contro il Papa, una specie di dichiarazione pubblica da parte della fazione dei conservatori (anche se nell’introduzione alla stessa lettera, fra l’altro, i quattro firmatari hanno rifiutato il concetto di “conservatori” e “progressisti” applicato alla Chiesa). Qualche settimana fa Burke ha persino dovuto chiarire che non considera Papa Francesco “un eretico”. Il papa non ha risposto alla lettera dei quattro cardinali.
Non è chiaro quanti cardinali stiano effettivamente dalla parte di Burke: secondo una stima di Robert Royal, direttore del centro studi Faith & Reason Institute di Washington, circa 40 cardinali fra i 225 in giro per il mondo “non apprezzano ciò che vedono” dell’operato di Papa Francesco, e che fra loro ci sono anche alcuni che l’hanno votato nel 2013.
I conservatori “politici”
Sono quelli che, per usare per parole di Gibson, «sono insoddisfatti del fatto che il papa si concentri sui poveri e gli emarginati, sull’accoglienza per migranti e rifugiati, e dell’elevazione dei problemi economici e sociali al livello che in precedenza apparteneva all’etica della sessualità». Sono gli stessi che criticano il Papa, per esempio, per aver rinunciato a difendere i cosiddetti “valori non negoziabili” – espressione inventata nel 2002 dall’allora cardinale Joseph Ratzinger e ripresa da papa Giovanni Paolo II – che secondo un comportamento molto in voga negli ultimi 20 anni un cristiano dovrebbe essere tenuto a difendere: contrarietà all’aborto, difesa del matrimonio eterosessuale, libertà di educazione dei propri figli (cioè sostanzialmente di crescerli con un’educazione strettamente cattolica). Fra loro ci sono diversi singoli cattolici che hanno un ruolo pubblico, così come associazioni di stampo conservatore.
Non che papa Francesco abbia completamente ignorato questi temi: in diverse occasioni ha attaccato la cosiddetta “teoria del gender”, un’espressione con cui alcuni gruppi conservatori definiscono gli studi di genere, sostenendo che sia in corso «una guerra mondiale per distruggere il matrimonio». È vero però che ne parla molto meno spesso rispetto ai suoi recenti predecessori, e che in questi quattro anni ha preferito concentrarsi su altri temi: Aldo Maria Valli, rispettato vaticanista del TG1, ha spiegato più in generale che l’espressione “valori non negoziabili” è stata «messa nel cassetto» da Papa Francesco.
Si può dire che Papa Francesco sia più in sintonia con il mondo contemporaneo rispetto ai suoi predecessori. In tutto il mondo occidentale sempre più persone appoggiano per esempio il matrimonio omosessuale e il diritto ad abortire: persino in Italia, uno dei paesi più conservatori su questi temi. Molti cattolici conservatori considerano opporsi a questi cambiamenti una battaglia persa. Alcuni di loro però sembrano quasi trovarsi a proprio agio in questa nicchia di opposizione e paragonano il loro impegno religioso-civile a una cosa simile al martirio, come ha riassunto di recente il giornalista Rodolfo Casadei su Tempi (una rivista vicina a Comunione e Liberazione, una nota associazione cattolica conservatrice).
Ci sono destini ai quali è la coscienza del singolo che non si può sottrarre: l’ostetrica svedese che non potrà più lavorare nel suo paese perché nessuna clinica assume personale che si rifiuta di compiere interruzioni di gravidanza, il Testimone di Geova eritreo che si fa vent’anni di lager perché rifiuta il servizio militare, l’impiegata cristiana pentecostale del Kentucky incarcerata perché nega la registrazione di un matrimonio omosessuale, gli uomini yazidi che vengono passati per le armi dall’Isis perché si rifiutano di abiurare la loro religione, il sacerdote cattolico caldeo iracheno che viene trucidato perché rifiuta l’ordine dei jihadisti di chiudere i battenti della sua parrocchia in quanto «io non posso chiudere le porte della casa di Dio».
In tutti questi casi, a imporre di abbracciare un destino doloroso non è una costrizione biologica o fisica, ma la costrizione della coscienza, il vincolo indissolubile della coscienza. È proprio con questo spirito che oggi molti, cristiani e non solo, rispondono alla chiamata alle armi delle battaglie culturali e politiche che si profilano all’orizzonte.
Simili toni apocalittici sono usati spesso anche da commentatori cattolici militanti come Antonio Socci, ripresi da alcuni interventi ospitati sul Foglio – dove il sociologo cattolico Luca Diotallevi ha recentemente paragonato Papa Francesco a Vladimir Putin, Donald Trump e Marine Le Pen – o condivisi da leader politici come Matteo Salvini (che fra l’altro a febbraio del 2017 è stato ricevuto per un lungo incontro a Roma proprio da Raymond Burke). In italia, inoltre, esiste una notevole galassia di blog e piccoli siti di news cattolici conservatori più o meno schierati contro il Papa.
Un articolo apparso recentemente su “Cronache di Papa Francesco”, un misterioso sito che pubblica e riprende articoli molto critici contro il Papa
Comprensibilmente, lo spessore di questo tipo di critiche varia molto da chi le avanza: la critica di un esperto di cose di Chiesa che scrive su un quotidiano rispettato ha un certo peso, l’opposizione al Papa solo perché si occupa di migranti ne ha un altro. Queste posizioni però hanno in comune una cosa: l’accusa che il Papa stia sbagliando stile e messaggio del suo pontificato, e che quindi sia necessario un impegno pubblico per correggerlo e bilanciarlo.
Lo scontro fra il Papa e i conservatori di questa categoria non si limita all’Italia: Breitbart News, il sito di estrema destra che fino a poco fa era diretto dall’attuale consigliere alla Casa Bianca Stephen Bannon, attacca Papa Francesco quasi quotidianamente (due degli ultimi titoli: Papa Francesco: “il terrorismo islamico non esiste”, Un rabbino si è lamentato dell’uso “quotidiano” di una retorica antisemita da parte del Papa), mentre il Papa ha criticato pubblicamente i movimenti cosiddetti “populisti” e di estrema destra, che ricambiano l’antipatia.
Le resistenze dentro la Curia
È la fazione più informe: nessuno ha davvero idea da quali e quante persone sia formata. L’Economist li descrive semplicemente come «religiosi del Vaticano, la cui opposizione si basa sul trattamento che il Papa riserva ai suoi funzionari». Non sappiamo moltissimo di cosa comporti materialmente questa opposizione, se cioè il potere del Papa sia effettivamente limitato da queste resistenze: possiamo però farci un’idea del perché esiste.
Diversi vaticanisti sostengono che in futuro Papa Francesco verrà ricordato sia per il suo stile di comunicazione sia per il modo in cui ha riformato alcune strutture interne alla Chiesa, modificando procedure secolari o tagliando Commissioni o posti di altissimo prestigio all’interno della Curia. Fra le diverse riforme di questi anni, il Papa ha istituito un “super-ministero” con compiti di vigilanza finanziaria, semplificato le procedure per richiedere l’annullamento del matrimonio e l’assoluzione per il peccato dell’aborto, unito in un unico dipartimento gli organi stampa vaticani, sostituito diversi cardinali “occidentali” – usciti per questioni di età dal collegio che elegge il Papa – con colleghi da aree più remote del mondo, e infine si dice che abbia istituito una commissione per valutare se aggiornare le traduzioni dei testi liturgici, scavalcando l’apposita Congregazione guidata dal cardinale conservatore Robert Sarah (con cui in passato ha già avuto dei guai). Un vescovo americano, che ha diversi contatti a Roma e che ha voluto restare anonimo, ha spiegato al Religion News Service che queste riforme non hanno causato “una guerra civile”, ma piuttosto “una resistenza da parte di persone che hanno difficoltà ad accettare il cambiamento”.
Raramente questo conflitto interno è stato visibile: una delle poche volte è successa di recente, oltre alle dimissioni di Marie Collins dalla Commissione per la protezione dell’infanzia, in occasione delle dimissioni del Gran Maestro Matthew Festing dell’Ordine dei Cavalieri di Malta (un ordine cattolico antichissimo, considerato da molti paesi una specie di entità statale e solitamente indipendente dal Papa).
Tutto è nato quando uno dei più alti funzionari dell’Ordine, il Gran Cancelliere Albert von Boeselager, fu accusato dai suoi colleghi cavalieri di aver fatto distribuire decine di migliaia di preservativi nel corso di un programma assistenziale in Myanmar. A quel punto Festing – giudicato piuttosto conservatore e vicino a Raymond Burke – sospese von Boeselager e ne chiese le dimissioni. Secondo Boeselager, però, nel richiederle Festing avrebbe commesso una lunga serie di errori formali e procedurali che hanno reso la sua richiesta inaccettabile. Secondo diversi osservatori, fra l’altro, il licenziamento di Boeselager era un tentativo di Festing di aumentare il suo potere all’interno dell’Ordine e la storia dei preservativi distribuiti in Myanmar solo una scusa. Papa Francesco a quel punto è intervenuto e ha costretto Festing alle dimissioni, compiendo una rarissima ingerenza negli affari dell’Ordine che secondo molti ha confermato il suo netto approccio “interventista”.
Cosa può succedere?
Attualmente, a meno di sorprese clamorose, non molto: il Papa ha un’autorevolezza pubblica e interna persino superiore a quella di un capo di stato, grazie all’investitura divina. Papa Francesco, nonostante queste opposizioni, rimane una figura popolarissima in tutto il mondo (in Italia ha un tasso di popolarità superiore all’80 per cento, per esempio).
Mentre il piano a breve termine dei conservatori e oppositori più intransigenti potrebbe essere quello di creare sempre più pressione per spingere il Papa a dimettersi, come ha fatto Benedetto XVI, secondo diversi osservatori il piano è un altro. Secondo l’ex vaticanista di Repubblica Marco Politi, ad esempio, le critiche e la pressione potrebbero avere come obiettivo quello di spingere il prossimo conclave a scegliere un Papa meno riformatore, per bilanciare il pontificato di Papa Francesco. Più passano gli anni, però, e più il Papa avrà la possibilità di cambiare la composizione stessa del Conclave, nominando nel collegio cardinali sempre meno legati ai gruppi di potere occidentali, cosa che potrebbe creare un ostacolo a questo piano.