Disneyland Paris continua ad andare male
I visitatori diminuiscono da anni, e quelli che ci vanno spendono sempre meno: ora Disney vuole comprare la società che gestisce il parco
Il parco divertimenti Disneyland Paris, che si trova a Marne-la-Vallée, a circa 30 chilometri a est da Parigi, ha aperto il 12 aprile del 1992, quasi venticinque anni fa: negli anni è stato visitato da 320 milioni di persone e si stima che abbia creato 56mila posti di lavoro in Francia. Quasi 8 miliardi di euro sono stati investiti nel tempo nel parco o nelle strutture che gli sono state costruite attorno, cioè il Walt Disney Studios Park, un secondo parco divertimenti più piccolo, un campo da golf, centri congressi e una serie di hotel con 8.500 camere in totale. Un articolo dell’Economist spiega che però la situazione economica del parco non è semplicissima, già da qualche tempo: il parco ha moltissimi debiti e Disney sta cercando di ricomprare la società che controlla il parco quasi interamente, per ragioni non del tutto chiare.
Disneyland Paris è il secondo parco divertimenti costruito dalla Disney fuori dagli Stati Uniti, dopo quello di Tokyo del 1983. Quando ne iniziò la costruzione, alla fine degli anni Ottanta, il progetto fu molto criticato dai sindacati e da un pezzo dell’opinione pubblica francesi: si diceva che fosse “un’americanata” e che non rispettasse la cultura francese (inizialmente nel parco erano vietati gli alcolici e i menu non prevedevano piatti francesi), al punto che venne definito una “Chernobyl culturale”. Per l’inaugurazione del parco erano previsti 500mila visitatori ma se ne presentarono solo 25mila. Poi le cose migliorarono, soprattutto dopo il cambio di nome del parco, da Euro Disney a Disneyland Paris, nel 1994: la Disney si accorse che forse gli europei associavano la parola “euro” al mercato, alla finanza e a cose noiose e quindi per questo potevano essere poco attratti dal parco. Il numero di visitatori continuò ad aumentare, nel 1995 la società registrò i primi profitti e nel 2002 furono aperti i Walt Disney Studios.
La situazione è peggiorata con la crisi economica globale iniziata nel 2008. La società che gestisce il parco ha dichiarato perdite per oltre 212 milioni di euro. Il valore delle azioni è crollato del 50 per cento – ognuna si aggira attorno ai quattro euro – mentre i debiti sono arrivati a 1,9 miliardi di euro. È dal 2008 che la società che controlla il parco (che si chiama ancora Euro Disney) è in perdita e il numero di visitatori continua a diminuire: nel 2016 sono stati 13 milioni, circa uno o due milioni in meno di quelli che visitavano il parco dieci anni fa, e le persone che continuano a farlo spendono meno, nonostante abbiano aperto nuovi ristoranti. Si pensa che la crisi del parco degli ultimi anni sia dovuta, oltre alla crisi economica, alla paura di attacchi terroristici.
Nel 1989 la società Euro Disney fu quotata in borsa per volere dell’allora presidente francese François Mitterrand. Il prezzo delle azioni di Euro Disney è sempre sceso dal 1992, quando era pari a 221 euro per singola azione, a oggi, che è circa pari a 2 euro. Disney più volte ha contribuito con aumenti di capitale per evitare che la società andasse in bancarotta: nel 1989 l’azienda americana possedeva il 49 per cento di Euro Disney, ora circa l’86 per cento dopo averne recentemente acquistato il 9 per cento dalla Kingdom Holding del principe saudita Alwaleed bin Talal (ripagata da azioni Disney), che era il più grande degli azionisti di minoranza, e un’altra percentuale da azionisti più piccoli. L’intenzione di Disney è controllare sempre di più Euro Disney e di ricapitalizzare la società fino a 1,5 miliardi di euro per ripagare parte del suo debito e rafforzarne la posizione sul mercato.
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— Paul Albright (@paulalbright) March 20, 2017
Un dirigente di Euro Disney che ha parlato con l’Economist chiedendo di restare anonimo ha detto che forse gli azionisti più piccoli (che probabilmente hanno investito in Euro Disney anche per ragioni emotive e affettive verso il brand del parco) non saranno contenti di vendere le proprie azioni, visto il basso prezzo. Il dirigente ha anche detto che Euro Disney ha sempre rischiato di fallire a causa dei suoi grossi debiti.
L’Economist ha parlato anche con Anne-Sophie d’Andlau, la vicepresidente del fondo di investimento attivista francese CIAM (cioè un fondo che oltre a fare profitti per i suoi investitori cerca di fare pubblicamente pressione sulla gestione societaria), che dal 2015 detiene l’1,4 per cento delle azioni di Euro Disney. Le amministratrici di CIAM ritengono che il valore delle proprie azioni di Euro Disney sia sottostimato, hanno deciso di non venderle e hanno chiesto a un giudice istruttore di indagare se il valore delle azioni sia stato valutato in modo corretto da Disney.
La ragione per cui secondo CIAM il valore delle azioni è sottostimato è che Euro Disney possiede i diritti di prelazione per costruire su 22 chilometri quadrati di terreni commerciali attorno al parco (e quindi vicino a Parigi) fino al 2035; questi diritti prevedono anche un prezzo d’acquisto particolarmente vantaggioso, 1,69 euro al metro quadrato. Un perito assunto da CIAM ha stimato il valore di questi diritti di Euro Disney in 1,9 miliardi di euro, cioè un valore molto maggiore di quello della società sul mercato. CIAM è critico nei confronti di Disney anche per un’altra ragione: pensa che la grande azienda americana abbia fatto pagare a Euro Disney un eccesso di royalties per usare il brand Disney nel corso degli anni e che questa sia una delle cause dei bassi profitti della società di Disneyland Paris. Secondo CIAM, Disney dovrebbe rimborsare Euro Disney con quasi un miliardo di euro. Il portavoce di Euro Disney François Banon ha detto all’Economist che le accuse di CIAM sono «false e infondate», che le sue stime «esagerano tantissimo il valore dei diritti sui terreni commerciali» e che le royalties sono pari al 6 per cento o meno dei profitti del parco divertimenti.
Non è detto che la richiesta di indagini di CIAM sia presa in considerazione, ma il fondo d’investimenti ha già raggiunto l’obiettivo di far salire la quota per singola azione offerta da Disney ai piccoli azionisti: inizialmente era di 1,25 euro invece che di 2.