Il Papa ha chiesto scusa per il genocidio in Ruanda
La Chiesa cattolica locale fu complice del massacro di centinaia di migliaia di persone del 1994, ma finora non c'era stata una vera assunzione di responsabilità del Vaticano
Lunedì papa Francesco ha incontrato al Palazzo Apostolico Vaticano il presidente del Ruanda Paul Kagame, e ha chiesto perdono per il ruolo della Chiesa cattolica nel genocidio del 1994, quando centinaia di migliaia di persone, soprattutto di etnia Tutsi, vennero uccise per motivi razziali e politici. Il Papa, dice il comunicato ufficiale del Vaticano, «ha manifestato il profondo dolore suo, della Santa Sede e della Chiesa per il genocidio contro i Tutsi, ha espresso solidarietà alle vittime e a quanti continuano a soffrire le conseguenze di quei tragici avvenimenti», e ha «rinnovato l’implorazione di perdono a Dio per i peccati e le mancanze della Chiesa e dei suoi membri, tra i quali sacerdoti, religiosi e religiose che hanno ceduto all’odio e alla violenza, tradendo la propria missione evangelica».
Il genocidio in Ruanda durò un centinaio di giorni, dall’aprile al luglio del 1994, ed ebbe inizio con l’abbattimento dell’aereo sul quale viaggiava il presidente del paese Juvénal Habyarimana, che era di etnia Hutu e guidava un regime dittatoriale. Il Ruanda era abitato in larga parte da persone di etnia Hutu, che avevano tolto il potere alla minoranza Tutsi alla fine degli anni Cinquanta. Cominciò allora un’operazione di sterminio condotta da milizie estremiste Hutu e in parte da civili, che uccisero – secondo le stime – 800mila persone, soprattutto Tutsi ma anche Hutu moderati. Circa 200 suore e sacerdoti furono uccisi, ma altri furono complici del massacro, permettendo a volte che le persone che avevano cercato rifugio nelle chiese venissero uccise. In una chiesa cattolica di Ntarama furono massacrate circa 5.000 persone il 14 agosto del 1994. In certi casi si conoscono anche i nomi dei sacerdoti responsabili, perché sono stati processati dai tribunali internazionali: Athanase Seromba per esempio fece abbattere la sua chiesa con dentro 2.000 Tutsi, mentre Wenceslas Munyeshyaka aiutò la compilazione di liste di persone che poi vennero uccise o violentate.
Le ragioni della collaborazione della Chiesa cattolica con il genocidio dipesero dalla vecchia collusione tra il clero locale e la classe dirigente Hutu: l’arcivescovo Vincent Nsengiyumva fece parte per 15 anni del comitato centrale del Movimento nazionale repubblicano per la democrazia e lo sviluppo, quello del presidente Habyarimana, in un periodo in cui il partito discriminava i Tutsi. Non fece niente per impedire il massacro, che anzi si rifiutò di riconoscere come genocidio. L’anno scorso avevano chiesto scusa per il ruolo della chiesa locale i vescovi del Ruanda, riconoscendo le responsabilità del clero nel compimento del genocidio, che vennero stabilite anche da un’inchiesta dell’Organizzazione dell’unità africana. Il Vaticano non aveva però mai riconosciuto esplicitamente le colpe della Chiesa cattolica – Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avevano lasciato intendere che le colpe fossero dei singoli sacerdoti – e in molti casi i vescovi e i sacerdoti colpevoli avevano lasciato il Ruanda e proseguito le loro carriere in altri posti: Munyeshyaka in Francia e Seromba a Firenze, per esempio. Il Vaticano fu anche accusato di aver ostacolato il processo di estradizione di Seromba. Louise Mushikiwabo, ministra degli Esteri del Ruanda, ha detto che l’incontro con papa Francesco «ci permette di costruire delle basi più resistenti per riportare l’armonia tra i ruandesi e le istituzioni cattoliche».