Quelli che lavorano per la cittadinanza
Un colloquio con Marwa Mahmoud a Reggio Emilia, sulle associazioni protagoniste delle campagne per gli italiani che non riescono a esserlo
di Marina Petrillo
Nella pigra atmosfera di un venerdì di mercato, lo striscione giallo che chiede “Verità per Giulio Regeni” sopra l’ingresso del municipio, e tutt’intorno le frazioni e le campagne sonnolente, è difficile ricordarsi che Reggio Emilia, che ha 170 mila abitanti, di cui il 17 per cento stranieri, conta 149 nazionalità diverse. E che rappresenta un ecosistema demografico unico nel suo genere, nato già prima dei due mandati da sindaco di Graziano Delrio, che ha messo Reggio Emilia alla testa di un movimento nazionale per i diritti di cittadinanza chiamato L’Italia Sono Anch’io. La vita pienissima di Marwa Mahmoud, 32 anni, egiziana di nascita e cittadina italiana, si svolge qui, fra la sede della Fondazione Mondinsieme, dove lavora da più di dieci anni e dove è responsabile dei progetti di educazione interculturale, il municipio, dove lavora al fianco dell’assessora alla Città Internazionale Serena Foracchia, le iniziative con gli Italiani Senza Cittadinanza, che stanno facendo pressione perché venga approvata al Senato la nuova legge sulla cittadinanza, il direttivo del CoNNGI di cui fa parte (il Coordinamento Nazionale delle Nuove Generazioni Italiane, legato al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali), e poi gli amici, l’asilo di sua figlia, e i genitori che abitano vicino, egiziani di Alessandria che l’hanno portata in Italia quando era bambina.
Mahmoud si è laureata a Bologna con una tesi su un grande scrittore del suo paese, il premio Nobel per la letteratura Nagib Mahfuz. Era ancora studentessa e si è appassionata alla mediazione interculturale: «Già a 22 anni ho capito che mi interessava il lavoro interculturale, la diversità. Se sei come me, entri in contatto con tante realtà diverse, e a Reggio poi ti senti molto sollecitato. Ho capito presto il senso della cittadinanza attiva. A Mondinsieme ci occupiamo di attività e laboratori nelle scuole e abbiamo a che fare soprattutto con gli adolescenti, perché ai bambini sono già dedicati i servizi di Reggio Children e di Officina Educativa», dice, citando i servizi di appoggio alle scuole e i famosi progetti reggiani all’avanguardia nel mondo per le scuole materne, che privilegiano l’autonomia di apprendimento del bambino.
«Interculturale è il termine antropologico che descrive l’essere a cavallo fra culture, o il fare avanti e indietro, e ci consente di tenere all’interno della stessa definizione sia gli stranieri che gli italiani. I nostri laboratori trasversali nelle scuole si impegnano intorno ai valori della contaminazione e del meticciato. Sono progetti che nascono per tutti, non solo per i ragazzi con un background migratorio, ma anche per i loro compagni di banco». Al compimento del diciottesimo anno, il Comune di Reggio manda una lettera a ogni ragazzo e ragazza per informarli del loro eventuale diritto a chiedere la cittadinanza italiana e dell’iter da seguire per farne richiesta. Ogni mese in municipio si svolge una cerimonia in cui l’assessora Foracchia celebra il conferimento della cittadinanza a ragazzi e adulti che hanno completato iter burocratici a volte anche molto lunghi. A scuola, la prima necessità è proprio quella di far conoscere ai ragazzi i loro diritti: «In alcuni casi, è la loro prima occasione di discuterne perché in casa non si parla molto di queste cose; considera che spesso i genitori immigrati hanno difficoltà linguistiche e culturali, si vergognano, e quindi non vanno nemmeno ai colloqui con gli insegnanti. Nei laboratori, i ragazzi riescono anche a confrontarsi con coetanei che hanno i loro stessi problemi». La situazione più complessa è quella di chi viene da paesi che non hanno accordi bilaterali con l’Italia che consentano la doppia cittadinanza. «Se sei cinese o ivoriano», dice Mahmoud, «al momento della maggiore età devi scegliere cosa sarai, e non è facile».
La coincidenza fra gli interrogativi tipici dell’età e le questioni di identità legate alla cittadinanza accresce l’inquietudine degli adolescenti di seconda generazione. «È l’età in cui ti rendi conto di non essere come i tuoi compagni», dice Mahmoud per esperienza. «Te ne accorgi quando vai in gita di classe all’estero e scopri di non avere automaticamente diritto all’assicurazione sanitaria nei paesi dell’Unione Europea, che per i tuoi compagni è scontata. E poi ci sono le file per il permesso di soggiorno, cose che da ragazzi cominciano a pesare. Insomma, studi Pirandello in classe, mangi pesce alla mensa il venerdì, ma intanto ti prendono le impronte digitali».
Il movimento Italiani Senza Cittadinanza, che sta lavorando per l’approvazione della nuova legge sulla cittadinanza al Senato, è nato anche per dare un’accelerazione dopo che la Rete G2, pionieristica negli anni Duemila, si era un po’ fermata man mano che i protagonisti diventavano adulti. Le associazioni riunite sotto il nome di L’Italia Sono Anch’io, invece, hanno vari filoni di attività: fare lobby politica per far conoscere ai membri del Parlamento la realtà delle seconde generazioni; preparare tutti i soggetti coinvolti nella questione, per esempio il personale delle prefetture; e raggiungere il più possibile i diretti interessati che non sono coinvolti nell’associazionismo, e i loro coetanei italiani. Tutto questo movimento sembra anche indicare al mondo del lavoro che le seconde generazioni offrono capacità e talenti particolari: «Il lavoro in Italia non sta ancora valorizzando il multilinguismo, la capacità di mediazione interculturale, l’elasticità identitaria», dice Mahmoud.
Arrivando da fuori, è inevitabile chiedersi perché questa sperimentazione decisamente fuori dal comune abbia trovato il suo luogo di maggiore intensità proprio a Reggio Emilia. «Fin dalle prime ondate di immigrazione straniera, quelle degli anni Sessanta e Settanta», dice Mahmoud, «Reggio è stata predisposta all’inclusione sociale. È sempre stata all’avanguardia, e c’entrano molte cose. La fortissima tradizione partigiana, che si è estesa a un generale interesse per i diritti umani, e un legame molto robusto con il territorio, che oggi senti ancora molto presenti nelle conversazioni di tutti i giorni. I primissimi egiziani ed eritrei che sono immigrati qui si sono fermati fra Reggio e Modena. Le istituzioni sono preparate, i servizi sono molto presenti; c’è grande attenzione al welfare interculturale, che puoi vedere anche in piccoli dettagli, come la scelta dei menù alle mense scolastiche. C’è tanto volontariato, e un associazionismo frenetico. Pensa che alcuni dei sistemi sociali nei quali lavoriamo oggi risalgono addirittura all’arrivo della prima ondata di immigrati calabresi». Reggio Emilia è gemellata con Cutro, la città degli scacchi in provincia di Crotone che ha diecimila abitanti ma ne conta almeno altrettanti emigrati altrove, con la presenza più folta proprio a Reggio. C’entra anche lo spirito imprenditoriale del reggiano, un’economia abbastanza florida da aver sempre attirato gli immigrati: «Mio padre», dice Marwa Mahmoud, «ha viaggiato molto, è andato a lavorare in Giordania, ha girato, e quando è emigrato da solo in Italia prima di portare la famiglia con sé, è andato a Reggio e a Modena, perché faceva il saldatore, e lì c’era richiesta. Questa è terra di ceramiche e di industria metalmeccanica».
Mahmoud pensa che per sua figlia, essere italo-egiziana avrà un significato diverso da quello che ha per lei. «Io e mio fratello abbiamo passato tutte le vacanze estive in Egitto con i parenti, mantenendo così un legame molto forte; partivamo con la pasta Barilla nella borsa e tornavamo con le spezie e la molokheya fresca da far seccare; là ci sentivamo più egiziani, qui ci sentivamo più italiani, ed è ancora così, ci adattiamo a seconda di dove siamo. Per mia figlia, invece, credo che l’identità egiziana sarà una cosa più nostalgica, meno vissuta, un romanticismo affidato ai racconti dei nonni, che tengono vivo il racconto abbellendolo, idealizzandolo, trasmettendolo con la tenerezza. Questo è già un po’ nella natura di tutti i nonni, e ancora di più nella natura dei nonni migranti».
Per Marwa Mahmoud, da giovane donna, la cittadinanza italiana ha un significato ancora più profondo. «Per me, essere italiana vuol dire avere la Costituzione come stella polare. Essere parte di un paese civile, di un paese democratico che mi protegge come essere umano, ma che gioca anche una parte importante nella mia autodeterminazione come donna – io questo lo sento molto».