Le scarpe di Emmanuel Carrère
Impressioni dall'affollato teatro di Milano dove domenica uno degli scrittori del momento ha presentato il suo ultimo libro
Ogni tanto Emmanuel Carrère viene lasciato solo dal suo editore italiano Roberto Calasso, che da capo di Adelphi e ospite ha maggiori impegni diplomatici e conosce tutti, malgrado non passi per la persona più socievole del mondo dei libri. In quei momenti Carrère resta solo in una propria bolla di spazio in cui non entra nessuno, in un angolo della stanza che il Teatro Parenti ha destinato a un aperitivo su inviti prima che inizi la serata a lui dedicata. Adelphi ha appena tradotto un’antologia di suoi articoli e saggi e questa data milanese è una tappa di un piccolo tour promozionale appena passato da Roma. «Mi sembra meno in forma di altre volte», commenta qualcuno che era anche là e che ha fatto il viaggio in treno con Carrère. «Quando c’è Hélène è sempre più trattenuto», aggiunge qualcun altro, raccontando un vecchio aneddoto di serate di balli scatenati dopo una presentazione. Hélène è Hélène Devynck, moglie di Carrère e in questo momento serenamente coinvolta in una conversazione in un capannello qualche metro più in là. Intorno a suo marito, invece, nessuno.
Probabilmente sono tutti intimiditi: sono venuti tutti per lui – e tra un’ora il teatro sarà strapieno di pubblico giovane e meno giovane che ha prenotato per poterci essere – ma non osano avvicinarsi e fare quelle cose goffe e imbarazzate che si fanno con le celebrities. Non è una celebrity qualunque, né un autore qualunque: è uno che ha dato la sensazione nei suoi libri e articoli di eccezionali brillantezze e intelligenze, e inclinazioni all’immediatezza e alla scarsa diplomazia, oltre a raccontare di esperienze forti e rocambolesche che metterebbero in soggezione molti, figuriamoci questa distinta e discreta comunità di invitati milanesi («Sono un genio perché vi metto in imbarazzo», era stata titolata ieri una sua intervista a un quotidiano italiano: forzando un po’ le sue parole, ma con un risultato convincente). Riconoscibili ci sono Tullio Pericoli, Marco Missiroli (che gestì un competitivo incontro pubblico tra Carrère e Baricco, anni fa, stasera molto ricordato), Ornella Vanoni, Andrea Bajani che è incaricato della successiva intervista sul palco. E Calasso, che ora torna a far compagnia all’autore. Carrère, che ha una faccia un po’ da pugile e un po’ da attore di film francesi del Dopoguerra, le orecchie appuntite e sporgenti e i capelli tagliati corti e dritti, ha un completo grigio e una polo nera aperta sul petto di un tessuto leggero, che si muove in pieghe continue.
La grande qualità di scrittore di Carrère – insieme appunto a un’intelligenza che esce da ogni pagina attraverso molte invenzioni, che funziona sempre – a volerne riassumere una sola e prevalente, è quella di rendere trasparenti e mescolare insieme le storie e il costruirsi delle storie e il loro racconto. Durante l’intervista userà diverse volte l’espressione “making of”, per alludere a questo. Nei suoi libri c’è una storia, e c’è lui che la racconta, e c’è quello che gli succede durante la ricerca e durante il racconto, e quello che succede ad altri: il risultato è che le storie diventano molte (sarebbe eccezionalmente riduttivo dire che il suo libro più famoso, Limonov, parli di Limonov: ne parla, anche) e che spesso si ribaltano rispetto agli approcci o alle intenzioni iniziali. Un altro suo libro molto amato, L’avversario, nacque come appunti su un libro non scritto e abbandonato, e ne divenne una diversa e imprevista versione. Il suo ultimo libro, Il regno, è una riflessione sulla religione a partire da un’esperienza autobiografica in cui affiora un po’ di tutto, compresa la descrizione di un video porno e le reazioni dell’autore a quella visione.
Ci sono guerre, sesso, violenze, odio, personaggi disdicevoli e insieme compresi, nei libri di Carrère, e tanta indiscrezione: e tutto questo lo ha reso uno degli scrittori più “di moda” degli scorsi anni, e un personaggio, come si dice. Anche se dal vivo lo è molto meno del previsto e del temuto, sia nei modi discreti e cortesi: a concludere il suo abito troppo largo e un po’ trascurato, porta delle scarpe completamente inadeguate a tanto personaggio e a tanta carica, un paio di similclarks flosce e in pelle lucida, consumate sulle pieghe, del genere che un maschio anziano senza ambizioni di vanità compra per poter stare comodo in casa.
Le scarpe di Carrère (Il Post)
Adesso insieme a lui e Calasso c’è un piccolo capannello, e si è avvicinata Hélène, che si chiama come la madre di Carrère, altro personaggio notevolissimo sia della realtà che dei libri di suo figlio, grande studiosa della Russia (di cui era originaria) e terza donna a essere nominata all’Académie Française. Carrère ascolta chi parla guardando soprattutto in un’altra direzione ma senza dare l’impressione di distrarsi, mentre stringe gli occhi e inarca le sopracciglia, che gli creano assieme alle rughe uno spesso arco sulla fronte. Si avvicinano finalmente due ragazzi sulla ventina, compìti, ma sempre da una distanza gli porgono il libro di cui si parlerà stasera, che si chiama Propizio è avere ove recarsi, una frase uscita per caso, ovvero non per caso, dalla consultazione dell’I Ching, come spiegherà poi. Più tardi forse sarà diverso, quando decine e decine di persone si disporranno in fila di fronte a lui per una dedica, a presentazione conclusa. Ma adesso, mentre scrive il suo nome e ascolta i due ragazzi, Carrère sembra contento.